"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


giovedì 24 dicembre 2009

Nella Casa delle Coccinelle








L’avevano chiamata La Casa delle Coccinelle perché c’erano le coccinelle. Erano in tre e se ne stavano rintanate per l’inverno sotto vecchie tende e vecchie coperte in quella vecchia casa.

Le coccinelle erano saltate fuori svolazzando, quando i nuovi inquilini - pretendendo di rinnovare l'ambiente - le aveno accidentalmente distolte dal loro sonno. Imbufalite per il disturbo, avevano subito fatto capire che da lì non se ne sarebbero andate tanto facilmente.

Una aveva occupato l’ultimo piano della libreria, minacciando di volersi buttare giù. Un’altra s’era messa proprio di fianco al frigo, e intimava che se l’avessero sfrattata si sarebbe lasciata morire di freddo buttandosi nel congelatore, la prima volta che lo si fosse lasciato aperto. L’ultima aveva scelto di nascondersi tra gli scatoloni del trasloco al grido di:
Il-nuovo_che-avanza_ti-cambia-copriletto?
Tu_ Coccinella_Su!-fagli-lo-sgambetto!

Insomma, sembrava proprio che da lì non volessero schiodarsi. Erano tre, ma facevano più casino degli operai FIAT quando occupano la Milano-Laghi fuori da Arese. Così, la direzione degli inquilini si decise a mandare avanti un delegato per avviare una trattativa.

Le coccinelle però avevano inteso che quella era solo una manovra degli invasori, e mandarono a monte gli incontri.

Com’è noto, le coccinelle per comunicare usano i gesti, ma non come gli umani che gesticolano con le mani, la testa e a volte le dita: loro gesticolano con le ali, sei zampe, due antenne e quei bellissimi gusci pieni di pois che racchiudono le ali. Una trattativa di quella portata, tuttavia, avrebbe necessitato incontri tête-à-tête: chiamandole a trattare una per volta finiva che quelli le avrebbero messe una contro l’altra, e non avrebbero potuto nemmeno mollare i rispettivi presidi, che sarebbero subito caduti nelle mani del Nemico Invasore.

Insomma, gesticolando, le coccinelle si convinsero che era il momento di provare il tutto per tutto, e optarono per il modello francese. Col favore delle tenebre, abbandonarono in silenzio i loro presidi e si ritrovarono svolazzando in mezzo al salone. Si misero in formazione d’attacco silenzioso e ronzarono all’unisono fino alla stanza da letto principale. Laggiù dormiva l’Invasore.

Entrate nella stanza, le coccinelle schiantarono la porta alle loro spalle. Il clangore spaventevole svegliò di soprassalto l’Invasore che dormiva impunito. Compagne, addosso! Le coccinelle si avventarono su di lui intimandogli Nel nome del diritto alla casa, del diritto al sonno, del diritto all’asilo politico contro il Generale Inverno, ti prendiamo in ostaggio fino alla tua completa e incondizionata resa!

Immobilizzato nelle coperte dalle tre coccinelle per una notte intera, l’Invasore non potè più nulla. Anzi, le sue grida richiamarono ragni e cimici, che si sporsero sospettosi dai loro buchi e si avvicinarono più sicuri quando capirono che cosa stava succedendo. A quel punto, l’Invasore capitolò e riconobbe il valore dei Diritti Inalienabili delle Coccinelle e degli Esseri a più zampe, sottoscrivendo il Trattato di Convivenza che ancora oggi prevede la libera circolazione degli esseri a due o più zampe all’interno dei locali e nelle immediate vicinanze del balcone.

Fu allora che la chiamarono La Casa delle Coccinelle. E il nome rimase.

giovedì 17 dicembre 2009

Una passeggiata Oltremanica






Il ragazzo era in cammino dalla mattina, qualche ora prima.

Avrebbe preso un treno e poi la metropolitana, deciso ad arrivare dove doveva in meno di 30 minuti e poi godersi la mattina in un turbine di novità da riempire anima e stomaco.

Alla prima fermata aveva avuto la sensazione che forse avrebbe cambiato i suoi programmi. Alla seconda fermata aveva avuto la tentazione di urlare. Alla terza fermata era sceso dal treno con un impeto assassino, schiantando la ventina di persone che lo dividevano dall'aria aperta.

Diavolo, avrebbe camminato. Avrebbe tagliato per le passeggiate lungo i canali, avrebbe attraversato i parchi e avrebbe ispezionato vicoli e stradine adornate di muri con mattoni a vista. Non reggeva quell'ammasso di gente accalcata dappertutto. Sui treni, sugli autobus, nelle vie principali, dentro i fastfood, sotto le scale, nei tombini, dietro le insegne pubblicitarie, accanto ai lampioni, lungo il fiume, sui barconi, sopra e sotto i ponti. Pienone ovunque.

Via, via, nervoso e fastidio.
Via dalla gente, cerchiamo un po' di respiro.

Fortunatamente l'aria era fredda e pungente, e il sole non si alzava troppo oltre l'orizzonte. Ne apprezzava il calore che colpiva la giacca e gli scaldava le braccia.

Aveva abbandonato i mezzi di trasporto in una zona imprecisata del conglomerato urbano e - stando alla carta da viaggio - c'era la possibilità di tornare a casa facendo un giro lungo una decina di ore, senza il rischio incrociare nemmeno mezza bionda con tacchi ai piedi, cagnolino al seguito e borse dei regali zeppi di cianfrusaglie dai costi inverosimili sottobraccio.

Aveva staccato il cervello dagli occhi, dalle orecchie e dal naso. Lo aveva messo in collegamento diretto coi piedi. Impegnativo, ma altamente gratificante. Aveva sentito la suola delle sneakers lavorare in sintonia con l'asfalto. Erano scarpe vecchie ma affidabili: ne ebbe la conferma qualche tempo dopo, quando piedi e gambe abbandonarono l'asfalto per calpestare erba, fango e foglie morte.

Fino ad allora, il respiro si era fossilizzato dietro al petto. I polmoni andavano con ansia, come i vecchi pistoni di un treno a vapore, sfiatando ad ogni passo in sintonia con l'andazzo delle braccia e delle spalle. Non appena piedi e gambe avevano abituato il passo al fango e all'erba, anche il respiro era cambiato. Era sceso fin sotto la pancia, allargandola e spingendola con delicata ingordigia, regolando il battito del cuore, ammazzando l'ansia, facendo tornare in vita l'olfatto. Troncando ogni sbuffata e trasformandola in una strana soddisfazione.

Il ragazzo si trovava in un qualche cimitero, pieno di lapidi sverze e sbilenche, immerse in una vegetazione selvaggia e incontrollabile: rovi, rampicanti, edere ormai capaci di soverchiare anche la più alta quercia, anche il più robusto faggio, capaci di penetrare nei mattoni della cappella nel mezzo di quel labirinto di ricordi affettuosi, come a dire che Dalla terra alla terra è un viaggio senza fine.

Dal cimitero era passato in un qualche pertugio del muro, diretto ad un passatoio accanto al canale nascosto là dietro. Dal ballatoio sopra l'acqua era passato attraverso un paio di scatole di cemento - quasi di corsa - per poi ritrovarsi sperso in uno dei prati più grandi e belli che avesse mai visto. L'orizzonte lo inscatolava, certo, ma prima di battere il muso su una di quelle pareti sarebbero passate delle ore. E questo poteva bastare.

Camminando, si portò nel centro della prateria collettiva. Il vociare lontano di bambini, cani, mamme e innamorati non poteva recargli danno: erano schiamazzi simili al canto dei parrots, al rosicchiar di ghiande degli scoiattoli, al picchiettare schietto e sincero delle cince sui rami più ricchi di insettini golosi.

Lì, nel centro della prateria, il ragazzo si sedette sotto un castagno. Una pianta enorme, che portava nel legno il lavorio paziente di secoli e secoli. Torsioni, flessioni, imbarcamenti, pressioni radicali e ramificanti: una muta tenacia, uno sforzo indicibile ed invisibile che ciclicamente tornava dal mondo nel mondo, senza fermarsi mai.

Sotto il castagno il ragazzo si sentì finalmente in pace.
Chiuse gli occhi e spostò il cuore.

Lasciò che scendesse lungo la colonna vertebrale. Che all'altezza della pancia si dividesse in più parti, e che ognuna di esse si divincolasse lungo le gambe, le braccia, la testa, la bocca e le orecchie. Che la dispersione dell'animo e dell'esperienza continuasse in ogni piede, in ogni dito, in ogni pelo e in ogni capello. Che da lì passasse nei fili d'erba, nelle radici, nel terreno. Nelle gocce d'acqua disperse laggiù, nelle radici del castagno, nei rami, nelle sue foglie - le poche rimaste. Da lì il cuore e l'anima si dispersero nell'aria.

Il ragazzo era in cammino dalla mattina, qualche ora prima. Era partito da Londra, si era spostato in Abruzzo, aveva visitato i boschi in Svezia, il giardino storico di una villa a Città dei Vicoli, il suo amato Fiume Azzurro ed era tornato a casa.

Tutto d'un fiato.






venerdì 4 dicembre 2009

... felicità è anche...


...Sentirsi il cuore gonfio per...


... una telefonata, mentre stai per addormentarti, che non ti aspettavi e che cambia tutta la prospettiva di una brutta giornata, se non molto di più...

... aver fatto il primo incontro in classe del primo progetto della prima associazione della tua vita in una uggiosissima giornata di pioggia e aver ricevuto un quantitativo di calore umano tale da incidere sul riscaldamento globale...

...una sorellina che ti scrive millanta regole per curare il suo cagnolino nuovo mentre lei è via, e si affida a te pur sapendo benissimo che, anche sforzandoti al massimo, le disattenderai quasi per intero...

...Il genuino entusiasmo di una socia che crede nei tuoi stessi progetti e non gli importa che tu le dimostri quanto le sei grato per questo, tanto è entusiasta di suo...

... la malinconia delle cose sbagliate e l'ingenuità dei "La prossima volta farò così", mentre speri di esser capace di far ridere qualche principessa quando ti caricherai il prossimo asino sulle spalle, sempre che tu abbia la possibilità di incontrarne un'altra...

...le piccole cose belle che si incastrano magicamente tra le gocce di pioggia, mentre aspetti la neve di metà dicembre, col cappello in mano, la testa bagnata e il naso all'insù...








mercoledì 2 dicembre 2009

La ricetta della felicità (per 3 persone)







- 300gr di mozzarella fresca,

- 200gr di caprino appena fatto,

- 100gr di miele di castagno,

- thé alla menta (3 tazze abbondanti)

- pane (q.b.)

- 3 Soci fondatori di un'associazione un po' bislacca

- un appartamento in disordine

- scatoloni per un trasloco

- un appuntamento non previsto presso una Azienda Agricola



Fondare con altri due colleghi un'APS. I colleghi diventano Soci fondatori all'atto della firma, continuare ad amalgamare per evitare che l'associazione impazzisca.

Recarsi in gruppo all'appuntamento non previsto presso l'Azienda Agricola preferita.

Fare un sacco di moine e lusinghe fin tanto che il gestore non ceda e vi regali prodotti caseari a chili. In questo caso, si prendano solo le quantità sopra descritte, con l'educata ritrosia di chi non vuole approfittare.

Rientrare verso l'ufficio e, a metà strada, accorgersi che non c'è pane a disposizione.

Girare l'auto e fare rotta verso casa.

Arrivati in cortile, lasciar riposare al sole per circa 10 minuti i due Soci. Nel frattempo risistemare l'appartamento disordinato, buttare dalla finestra gli scatoloni per il trasloco in corso e riassettare il tavolo della cucina. I piatti del giorno prima fanno contorno, lasciateli pure dove sono.

Disporre sulla tavola piatti, posate, bicchieri. Meglio se puliti.

Mettere a bollire delle foglie di thé al bergamotto con foglie di menta e un cucchiaio di miele di castagno.

Far accomodare i Soci nell'appartamento per poi guidarli al tavolo apparecchiato.

Spalmare il caprino su piccole fette di pane e irrorarlo con miele a gocce.

Tagliare con grazia la mozzarella, aspergerla di miele.

Assaporare.

Sorseggiare il thé.

Ripetere gli ultimi passaggi a volontà.



martedì 1 dicembre 2009

Dispaccio di inzio dicembre







Fioccano le notizie e gli impegni.

La ciurma dei Nomadi sulle Spine al completo si è staccata dagli affari interni per dedicarsi alla vita sociale e reale, ultimamente.

Stakanov e la Megattera Bebop hanno dato una mano alla neonata Associazione di promozione sociale, la quale annuncia fiera e compatta un buon numero di progetti approvati. Con il giusto terrore di chi comincia a muovere i primi passi - con o senza girello - tutta l'associazione ride di gusto, sbatte le mani e guarda il mondo con gli occhi sgranati.

Coraggio o incoscienza? si chiederanno i più: i Soci Fondatori si abbracciano contenti e appena girato l'angolo alzano il bavero del cappotto, assaliti da un turbinio di emozioni tra l'incredulità e la speranza.

Gli stessi Soci Fondatori, negli ultimi due mesi, sono stati visti farsi valere in diversi modi e diversi ambiti. Durante il workshop della Regione Lombardia a Cremona. Durante gli incontri con le varie amministrazioni comunali. Durante gli incontri con altri attori di educazione ambientale (si legga "concorrenti", detti anche "possibili partner di progetto" in gergo partecipativo).

Sono stati tacciati di idealismo, di estremismo, di partecipazionismo, di dilettantismo, di naifismo, di volontarismo, di fancazzismo e - in alcuni casi contradditori - di precipitazionisimo. Ma i Soci Fondatori non si sono tirati indietro: si sono rimboccati le maniche e hanno spaccato.

Bravi ragazzi. Continuate così, fintanto che c'è qualcuno che vi dà credito. Poi si vedrà!

Nel frattempo, Il Saggio sull'Albero ha deciso di scendere e vedere di darsi da fare anche lui. Così si staglia all'orizzonte con un lavoro-pagnotta ad alto contenuto umano, dal devastante impatto psico-emotivo come può esserlo solo il diventare educatore in una comunità di minorenni tolte alle famiglie per i motivi più svariati. Una di quelle cose che più lo fai, meno il tuo fisico lo regge e più lo faresti.

A latere di tutto questo, qualcuno della ciurma dei Nomadi - Il Marinaio, n.d.r. - sta scandagliando il sottobosco, in cerca di ghiande particolarmente dolci e di pulci particolarmente pruriginose. La ricerca sembra essere solo agli inizi e si presenta come una di quelle ricerche che non hanno nessunissima intenzione di essere chiuse in tutta fretta. Anzi.

La ricerca tra le foglie è un'azione strana - fa sapere il Marinaio - Non sai quello che cerchi, non hai la minima idea di quello che trovi, e non sai perchè ma quando alzi lo sguardo sai quasi sempre sotto quale albero ti trovi. E riesci anche a dirlo in giro.

Sorprese a parte, sostenibilità vuol dire anche coltivare i propri sogni e avere il tempo di goderseli. Quindi grandi e lunghe pause, nessuna fretta, tanta buona musica, ottime birre, buone letture, punti di ritrovo improbabili, legnetti intagliati, dita tagliate quasi di netto, collage impossibili, e un po' di sana nostalgia per i momenti sacri in cui si pretende di stare soli.


mercoledì 18 novembre 2009

Guarda in su, guarda in giù...







E' un po' come spostare le foglie
per vedere cosa c'è sotto.
Uno scava, seguendo gli odori buoni,
e crede di andar giù per linea dritta,
poi alza lo sguardo e si accorge
d'essersi spostato in tondo, in giro, in lungo:
come i cinghiali.

Che, sazi e satolli delle ghiande trovate,
poi s'allontanano trottando
col muso all'insù
tra una quercia e un noce
ad annusar l'aria e la pioggia.


lunedì 16 novembre 2009

Strane assonanze






Anche in giro per il mondo ho qualche fratellino e sorellina.
Madri diverse, si capisce...
E i padri di stoffe diverse, s'intende...




Insomma, quel genere di fratelli e sorelle
che li incontri tra un porto di mare e l'altro,
e ti rimangono attaccati come fossero parte della tua ombra,
o della tua anima.
Che poi, a volte, è lo stesso.







sabato 14 novembre 2009

Un venerdì con le cuffiette







Il ragazzo era alto, barbuto e spettinato, con i vestiti un po’ usati, quasi venisse lì per lì da una corsa a perdifiato dietro a chissà quale bel sogno. Parcheggiò la sua auto appena fuori dal numero civico che gli avevano notificato.

- Era la sede di un vecchio supermarket – avevano precisato – non ti puoi sbagliare!.

Di fatti, il vecchio stemma del proprietario blasonava ancora le lunghe e fredde vetrate. Per la metà superiore, le vetrate erano coperte da saracinesche grigie e polverose, per la metà inferiore da uno strato di vernice bianco panna, dal quale permeava la luce giallastra dell’interno.

Il ragazzo suonò il campanello. Una voce squillante non si fece attendere, seguita a ruota dallo scatto elettrico della serratura. Appena tre secondi dopo, una figura altissima ed enorme zampettò dietro le vetrate d’ingresso. Era la Donna Cannone, vestita con una tenda di velluto nero, adornata con più accessori che curve in eccesso e sormontata da un indecifrabile cappellino in lana viola, portato sulle ventitré.

Il ragazzo allungò la mano, presentandosi, e fece scrocchiare qualcosa nascosto nelle dita di quell’insolita figura. Un sorrisino abbozzato da quel viso suino e la stretta molliccia sparì in un lampo, trasformandosi in un ampio gesto di cortesia. Misegualaprego.

Il ragazzo si servì un caffè, si accomodò in una scrivania d’angolo e si mise a leggere. Mentre leggeva, cercava di intuire qualcosa dal gran vociare che arrivava dall’enorme salone alle sue spalle. Buttando un’occhiata di tanto in tanto. Il vecchio supermarket era stato trasformato in un call-centre. Era stato sventrato da scaffali e casse e uffici, per essere rimpinzato con qualche computer e qualche cuffietta, sistemati in una squallida isola di cartone al centro dell’enorme scantinato.

La Donna Cannone era in piedi, in mezzo al salone, tra le scrivanie: si muoveva tra le postazioni telefoniche toccando gli operatori sulla spalla, uno ad uno. Tivedo Tisento Ticontrollo. Alle sue spalle, d’improvviso, spuntò la Donna Gatto, che sinuosa e flessuosa si avvicinò al ragazzo.

- Buongiorno sono Elettra, la Responsabile dell’Azienda, sono contenta che abbia accettato di sostenere il colloquio, siamo un’Azienda Leader nel settore da undici anni e ci occupiamo di vendite telefoniche per un fornitore di servizi informativi nazionale, dopo due mezze giornate di formazione, per il primo mese lavorerà a contratto con la società interinale, alla fine di questo mese, se la valuteremo idoneo, sarà messo sotto contratto a progetto direttamente da Noi, il che prevede 15 euro netti di rimborso spese al giorno e una provvigione del 4% per almeno 14 contratti stipulati nel mese-lavoro. Al termine del progetto, della durata di 3 mesi, sempre che sia nuovamente ritenuto idoneo, le faremo un nuovo contratto a progetto, con due mezze giornate di formazione per il nuovo servizio da vendere: rimborsi e provvigioni rimarranno sempre gli stessi.

- Buongiorno a lei, signora Elettra. – rispose il ragazzo.

- Bene, vedo che lei lavora al mattino, cos’è un’associazione di volontariato la sua? Mmm… e vedo che abita parecchio lontano da qui, spero davvero che questo non sia un problema. Abbiamo già avuto casi di persone che venivano da città lontane e allo scadere del contratto con l’agenzia interinale hanno preferito rinunciare al nostro contratto perché non sopportavano più di dover fare tutta quella strada, confidiamo che lei prenda da subito in considerazione la cosa e che ci pensi bene, prima di farci rifare tutto il lavoro di formazione da capo.

- Non è mai stato un problema fare un po’ di strada per andare al lavoro… –

- Bene, un’altra cosa che voglio sia chiara è che durante i due giorni di formazione che faremo (lei comincerà lunedì) è come trattare con i clienti, certo, ma soprattutto come trattare i clienti. Proprio oggi, ad esempio, un interinale di 48 anni che era con noi da appena due settimane si è preso la libertà di insultare un cliente e poi ha avuto anche la bella faccia di fare lui quello ch’era stato offeso, ha fatto fagotto e se ne è uscito sbattendo la porta!… Non sia mai, intesi? Un atteggiamento del genere rovina il clima positivo delle vendite e mette in cattiva luce tutta l’azienda, gettando nel ridicolo tutta la squadra. Un cliente trattato così è un cliente bruciato. Meno male che quel “signore” se n’è andato prima che riuscissi a prenderlo io, che ero al telefono col cliente da recuperare: lo avrei sbattuto fuori con le mie stesse mani! Che razza di ebete! –

- Ah… come hanno reagito i colleghi? –

- … in che senso scusi? –

- Che cosa hanno detto o fatto i colleghi, quando è successa questa cosa? –

- Che domande… gli si sono messi a ridere in faccia! Cosa puoi fare con uno così? Una come me passa anni a costruire un bel gruppo di venditori, con un bel senso di sana competitività, una sana voglia di fare meglio degli altri, sempre a spingersi per migliorarsi a vicenda… e poi arriva un tizio che fa una scenata del genere! Non le dico come hanno reagito! Se le facessi vedere il grafico giornaliero di ieri e il grafico giornaliero di oggi capirebbe che dramma è stato! –

- …

- Ascolti… allora noi ci vediamo lunedì alle 14.00. Puntuale, la prego, che cominciamo la formazione con gli altri nuovi come lei. Martedì prova pratica, da mercoledì si comincia con le vendite reali.

- Uh, certo, come no.

Il ragazzo si alzò, si infilò sciarpa e cappello. Raccolse lo zaino, strinse qualche mano. Con un sorriso ebete stampato in faccia. La sensazione di stordimento era completa, abissale. Uscì in strada, e l’aria fredda e buia della sera lo accolse come un abbraccio tenero e consolatorio. Di stelle non se ne vedevano, dietro ai lampioni, ma lui sapeva ch’erano là.

Il ragazzo salì in macchina. Un mese pagato dall’interinale e poi piantare un casino tale da farsi licenziare. Urlare in faccia a quella Gatta Morta che il lavoro è sacro, che il lavoratore è sacro. Che quello che offriva lei non era lavoro, ma uno schifo di schiavitù, e che quelli lì alle scrivanie non erano lavoratori, ma schiavi inebetiti da scrollare, da svegliare. Urlare a tutti di prendete coscienza, che il signore di 48 anni sì che sapeva cos’era la dignità!

Aveva bisogno di lavorare, il ragazzo, ma a tutto c’era un limite. Certo, non lo aveva mai fatto prima, di farsi licenziare.

Un sorriso gli si abbozzò sincero, illuminandogli gli occhi. Aveva tutto un fine settimana per decidere.


giovedì 5 novembre 2009

Traslochi malriusciti








C'è che alle volte va proprio così.

Vedi un armadio che ti piace e che sai ci starebbe troppo bene in salone, 'fanculo quell'Ikea di merda. Sarà grosso ma ce la puoi fare lo stesso. Costi quel che costi.

E allora, quelle volte lì, ti ritrovi a portare un armadio dell'Ottocento gigante al piano più alto del palazzo in cui traslochi e non entra nell'ascensore. Così chiedi all'amico di fiducia di darti una mano, che i soldi per il traslocatore mica li hai... E lui arriva tutto contento per poter essere d'aiuto, e si rimbocca le maniche con lo sguardo di chi ha seriamente intenzione di farsi valere.

Tu te ne stai lì, immobile, che ti interroghi sul da farsi, ne vedi gli angoli morti, ne scruti le crepe, ne valuti il peso enorme, eppure ti carichi quel coso sulle spalle e fai di tutto per riuscire a portarlo ai piani alti.

Il compare ti aiuta tenendo l'armadio da sotto, mentre ti crista dietro santi e madonne che il peso dell'affare ce l'ha addosso tutto lui, Perdio tienilo che mi schiaccia! Mentre a te ti si stirano le dita, ti saltano i tendini delle spalle, ti si inciampano i piedi e ti si arrotano le ginocchia dal dolore.

E in due vi fate i mille gradini che separano l'antro d'ingresso dal primo pianerottolo, e dovete mettere giù l'armadio in tempo zero... Cazzononcipassa, Masìspingi!, Nogiralo, TiradaiperlamadonnaTira!, Nochesiriga!, Madaiiii!... E alla fine riuscite a passare il pianerottolo, solo per affrontarne chissà quanti altri.

C'è che alle volte va proprio così. Che alla fine quel peso immane, lo si porta fino in cima, sgrabelato come il ginocchio d'un ciclista di quart'ordine, con i fumi che escono dalle orecchie, ma in cima ci si arriva. E allora si brinda, si festeggia e ci si gode l'armadio ottocentesco mentre ci si scioglie in brodo di giuggiole.

Ci sono delle volte, invece, che arrivati al secondo, terzo, quarto pianerottolo, avete tra le mani un armadio che a furia di cozzare contro i muri è diventato largo la metà di quanto era. Le antine cascano, lo specchio s'è rotto, le maniglie d'ottone penzolano e cigolano. Mentre le forze abbandonano te e il tuo compare con la stessa velocità con la quale avete appreso nuovi e stravaganti insulti con i quali appellarvi.

Quelle volte lì, l'unico momento di condivisione sincera - a parte gli insulti - siete voi due che vi guardate negli occhi e, senza dire niente, aprite la finestra che da sul cortile, guardate che di sotto non passi nessuno e, in un impeto liberatorio, scaraventate quel maledetto peso più in là che potete. Mentre urlate in faccia al mondo la fatica di quelle scale.

Poi vi allungate la mano, ve la stringete con una certa mestizia, mista ad una quasi immutata stima, e vi salutate.

Tu sali in casa a farti una doccia, e l'amico va a fare shopping.

Sicuro, in quei momenti lì, nei tuoi occhi aleggia un solo, fugace pensiero. Però, quell'Ikea..?



lunedì 5 ottobre 2009

Aspettando la qualsivoglia meraviglia














Era da tempo che non riusciva a scrivere qualcosa. La sua scrivania era un disastro. Pezzi di carta d'ogni genere e specie ammuffivano assieme a pezzi di liquirizia in trucioli. Mozziconi di tabacco da pipa spenti in bicchieri opachi odoravano la stanza senza alcuna pietà. Il letto si confondeva con il pavimento, grazie ad un accumulo insulso di lenzuola e biancheria.

Lui era bloccato al centro della stanza, distante dalla macchina da scrivere almeno quattro passi, nudo come un pesce, con due orrendi calzini di cotone spugnoso a coprire quel poco di decenza che da tempo calpestava sotto i talloni. Sapeva che il sole era salito alto nel cielo, attraversando le persiane della finestra, e poi era sceso sempre più in fretta, trasformandosi di nuovo in buio e freddo e miseria. Chissà quante volte.

Il racconto non voleva procedere. Non ne voleva sapere di avanzare. Il sole era venuto e andato non sapeva più quante volte. Ormai le gambe non lo sorreggevano più e le braccia erano completamente addormentate. Il freddo che aveva avvertito ai testicoli era ormai scomparso, lasciando il posto ad un frequente formicolio che saliva dai talloni e non lo avrebbe abbandonato a breve.

Il marinaio se ne stava così, con le finestre aperte e le persiane chiuse, con lo sguardo fisso sulla pagina nella quale da tempo cercava di scrivere che cosa gli fosse capitato. Ne aveva tutto il diritto. Ne aveva bisogno, quanto di mangiare e bere - cosa che per altro non gli riusciva e non gli sarebbe riuscita fintanto che quelle maledette parole non fossero state messe su carta.

Il racconto era la sua vita, sua e dei suoi compagni nomadi. Se non procedeva quello, le loro vite sarebbero rimaste sospese. Se lui fosse morto cercando di raccontarsi, sarebbero morti anche loro. Aveva un mondo da scrivere. Un mondo da inventare. Un mondo da vivere.

La macchina da scrivere sembrava ridesse. Impossibile, assurdo. Ma gli rideva in faccia. Non ha senso quello che vuoi dire. Non ha senso per te, non ha senso per loro. Non ha senso per nessuno. Sembrava dirgli. Come in un vecchio film nel quale le macchine da scrivere erano in realtà agenti segreti di un mondo deforme e imbambolato dalle droghe.

Ma lui non era drogato. Era sveglio e vigile, per quanto gli concedessero le sue gambe e il suo stomaco vuoto e disidratato. Avvertiva il ronzio delle mosche nella stanza immobile. Sentiva gli odori delle cose nel frigo, immobili quanto lui. Percepiva le correnti d'aria che portavano di tanto in tanto gli odori da fuori: la pioggia, l'asfalto caldo bagnato di fresco, l'erba del vicino tagliata, l'azzurro del cielo.

Lui era sveglio e vigile, e quelle parole le avvertiva perfettamente. Si erano gelate da qualche parte in fondo allo stomaco. Il marinaio sapeva esattamente quale fosse la loro forma e che colore avessero. Ma non ne comprendeva il suono. Erano parole mute, gelate come blocchetti di ghiaccio sperduti in fondo ad un freezer da scongelare. E, perdio, non sarebbero venute fuori nemmeno a morire. Erano parole spaventose, che nessuno - proprio nessuno - riusciva ad immaginare. Né parole d'amore, né parole di terrore. Semplicemente parole spaventose.

Gli altri nomadi sulle spine erano preoccupati per il Marinaio e si affacciavano, di quando in quando alla porta della stanza: facevano per avvicinarsi alla macchina da scrivere, da soli o tutti assieme, per distrarlo e cercare di suggerire al foglio almeno un incipit giusto. Ma gli occhi del marinaio li trafiggevano come l'arpione di Queequeg, precisi fino alla morte, ardenti d'una luce assassina e violenta. Non azzardatevi, la preda è mia. Sembrava dire senza proferire nemmeno un sibilo.

Così tutt'attorno alla stanza, la vita continuava. Stakanov non aveva un attimo di tregua e creava situazioni strampalate nelle quali indaffararsi e industriarsi. L'eremita australiano se ne stava a gridare al mondo la sua vanità. Dal canto suo, la Balena Bebop navigava tra oceani pieni di ingiustizie cercando di mettere un po' del suo impegno nelle vite altrui. Ma tutti quanti avevano una paura fottuta e pregavano perché il Marinaio capisse esattamente che cosa stesse succedendo al loro mondo.

E finalmente lo rendesse reale, raccontandolo.







venerdì 25 settembre 2009

La Paura...








06 settembre 2009.

Domenica.
1h16.
Scritto e mai pubblicato.




Ho così bisogno di scrivere. E non riesco più a farlo. Sul blog non posso raccontare cosa mi succede perché c'è chi potrebbe non capire, o capire troppo. E' come se, in questo momento di folle corsa verso il futuro, io abbia tagliato la maggior parte delle vie di comunicazione col mondo, come se il far sapere agli altri dove voglio arrivare sia di per sé un pericolo, uno sbaglio. Un modo per rendere assolute scelte e bivi che, altrimenti, potrei invertire e convertire fino all'ultimo momento, e oltre.

Voglio mantenermi indipendente, negli spazi e nelle azioni, voglio vivere ancora in questo bozzolo, in questo appartamento isolato dal mondo per qualche tempo, voglio avere ancora la possibilità di imparare più e più cose sul mio lavoro, sulla mia vita.

Ed ora tutto è sconvolto, tutto si agita e mi vortica attorno. Ed io mi gelo, mi comprimo, diminuisco la superficie esposta e aspetto che gli eventi mi diano uno spiraglio, una via di fuga da poter plasmare e far rimbalzare su altri eventi, per andare nella direzione più aderente ai miei intenti ultimi.

La Donna Ottocentesca è l'unica che mi smarscheri, l'unica che mi faccia alterare e che ogni volta voglia scoperchiare questa mia ostinata incomunicabilità, col risultato di vedermi esplodere e vedersi scaricare addosso le mille e più paure che dovrebbero stare compresse, aspettando la via risolutiva con tempi autunnali.

La perdita del lavoro, la nascita d'una mia associazione, la dismissione del contratto d'affitto, il lavoro, l'educazione ambientale, la società, la vita stessa. A volte mi chiedo davvero che senso abbia tutto questo.


Per chi sto inseguendo questa mia balena bianca?Per chi ho deciso di stracciarmi l'anima?Per chi ho deciso che questi sono i miei sogni?Da dove arriva questa folle determinazione?Sono forse schiavo di un vuoto cosmico, che non mi vale da solo il senso di vivere?
Per cosa? Perdio! Per chi?

Per chi?

La solitudine, a volte, mi è parsa una soluzione. Via dai vincoli urbani, senza compromessi lavorativi, lontano da una società sudicia e suicida, corrotta nell'anima e nello spirito, incapace di bloccare la cupidigia che l'ha spinta a divorarsi le membra e i figli.


Ma quale soluzione può essere, questa solitudine, quando anche nell'abisso, il cuore non smette mai di sperare?










giovedì 6 agosto 2009

Tempeste






Perdonate l'immobilità che m'ha colto,
Ma come spiegare la paura e la meraviglia delle ultime settimane?
A volte anche un buon vecchio marinaio di foresta
resta senza parole adatte.
Quel che è sicuro è che, prima o poi, le trova.






mercoledì 8 luglio 2009

Respiro








Le mani,
le mani, mai ferme.
Colorano il mondo
di nuova esperienza.

Al passo coi piedi,
con la testa leggera,

col cuore a zonzo,
in cerca di Casa.

Con le fronde al cielo
e le radici nell'acqua:

nel mezzo,
le braccia aperte,
spalancate agli eventi,
e la bocca alle stelle.





venerdì 3 luglio 2009

SegnalAzioni









il babau è un mostro bianco
per chi di vivere è ormai stanco
il babau è un mostro nero
finisci dritto al cimitero
il babau è tutto rosso
corri corri a più non posso
il babau è tutto giallo
tocca pure al maresciallo
il babau è anche blu
occhio il prossimo sei tu
il babau è di tutti i colori
se lo incontri sicuro muori


mercoledì 1 luglio 2009

Rotolando sotto il sole









Un sassolino,
dalla cima della montagna,
decise di farsi una ruzzolata.
Scendi qui,
Scendi là,
diventò una valanga.
E la foresta gli gridò.
chi Evviva!
chi Dove vai!
chi Ma fermati!
E il sassolino continuò.
Fin giù al fiume.
Pluf...











giovedì 18 giugno 2009

Novelle





...E mentre a Boscolandia spuntano nuovi inquilini,
quasi morti di Fame e Freddo e Spavento,







...Altrove spuntano luoghi dove rintanarsi
a fare l'amore
quando il caldo sfianca...









... o dove progettare il primo esproprio proletario
della prossima resistenza...









giovedì 11 giugno 2009

Entusiasmi miracolosi










E ieri che ho portato tra i monti una masnada di undicenni con Suor Biba come riferimento?

Tra un CammineròCammineròSulllaTuaStradaSignore e un IoLoSoSignoreCheVengoDaLontano, ho fatto il pieno di fede cristiana: come non ne facevo da quando portavo la croce ai funerali e suonavo la campanella durante le messe solenni.

Insomma, un Avemaria prima di partire, un Padrenostro prima di pranzo, un Ohgesùdamoreacceso prima della discesa per il rientro.

Sta di fatto che arriviamo al pullman, che è rimasto sotto il sole tutto il giorno.

La suora sale con la prima infornata di marmocchi, e io subito dietro, seguito da Vincenzo l'autista. Nel bus si muore di caldo.

- Oh, che caldo - fa Suor Biba, tutta accorata - Presto, chiediamo al signore di accendere l'aria condizionata!

- Sorella, non le pare di esagerare? - dico con sorriso beffardo.




martedì 9 giugno 2009

i pensieri del giorno








Una carrozza nuova, che la vecchia sta perdendo i raggi delle ruote, si dovrebbe poterla trovare senza tutti 'sti casini.

Un brutto voto a scuola, decisamente non meritato, può effettivamente minare l'entusiasmo. Meno male che è di cemento armato.

Una stupida discussione notturna con la Signorina Airone, senza potersi ammorbidire di persona, non passa inosservata in Svizzera nemmeno quando è per telefono. Meglio rimediare prima possibile.

Due giorni di riunioni all'Acquario senza quasi soluzione di continuità rendono Timothy idrofobo.

Un tempo sulla testa che Parrebbe voler piovere, Ma dai no, anzi magari diluvia, No dai che esce il sole, Ma no tuona, non senti? Bah... c'è il sole rende Timothy più curioso che mai.

I progetti di vita a lisca di pesce, che non s'incastrano nemmeno a bestemmiare, ma che quando s'impuntano, cazzo se riesci a venirne fuori, rendono Timothy sarcasticamente eccitato.

La Svizzera che se non fosse oltre confine sarebbe meglio (forse), sarebbe meglio andarci noi, anche piuttosto in fretta.

Un branco di freakkettoni - che tra un po' devo diventarci amicone e non ci son cazzi che mi vada a genio 'sta cosa, anzi: più ci penso peggio è - è meglio che mi insegnino a travestirmi da freak se no butto qualcuno a mollo.

Stasera si esce a cena con l'Angelo Con gli Stivali. Ma che fine han fatto la Duchessa e la Fata Anarchica?

Le guance restan sempre le guance e un pancino morbido vale mille telefonate consolatorie.




venerdì 5 giugno 2009

La storia dei due ricci
















La giornata era una di quelle piene di sole, alla fine dell'estate. L'aria era chiara e trasparente e persino le zanzare avevano capito che mettersi a volare con un cielo del genere sarebbe stato un delitto sociale. Così la brezza svolazzava leggera tra le fronde degi alberi e l'enorme disco dorato splendeva incastonato in un indaco compatto e senza striature.

Due ricci se ne andavano, ognuno per la sua strada, lungo i sentieri del Grande Prato: sotto le siepi, in mezzo agli aghi dei Cedri, sgambettando per il verde smeraldo dell'erba appena rasata e il giallo paglierino del fieno lasciato sul campo. Tutti e due avevano il naso all'insù: un piccolo bottoncino nero umido, fissato sul musetto morbido, appena sotto un paio di occhi tanto meravigliati dalla bellezza della giornata da starsene spalancati come un poderoso sbadiglio.

Il primo riccio, che poi era una Riccia, se ne scendeva dalla collina. Aveva gustato la frescura dei boschi e se ne tornava tranquillamente verso il fondovalle, dove scorreva il fiume. Aveva sentito parlare di una pozza dove potersi fare il bagno senza doversi preoccupare dei corvi o di attraversare la strada. Si vedeva che aveva letto Gramsci. Portava sulla schiena un'enorme mela rossa, tutta lucida e luccicante: l'aveva raccolta sotto il grande melo a mezzacosta, rotolandosi su un lato, finché non era riuscita a infilzarla ben bene nei suoi aculei. Ora se ne camminava via, un po' barcollando sotto quel peso gigante, un po' chiedendosi come avrebbe fatto a mangiarsela, questa mela, ora che ce l'aveva sulla schiena.

Il secondo riccio, che era poi un Riccio, stava risalendo il prato verso la collina. Era stato al fiume a darsi una rinfrescata e aveva sentito dire che su per i monti, proprio lungo le siepi del campo, si poteva incontrare un grande melo, le cui mele erano senz'altro tra le più succose e dolci della valle. Era un riccio strambo, lo conoscevano un po' tutti, da quelle parti: sempre dietro a parlare di cose difficili - che chiamava concetti - boffonchiava d'aver letto Shopenauer e passava gli inverni ad inseguire le altre ricce cercando di avvicinarle il più possibile, Per scaldarci a vicenda! diceva convincente - sbagliando poi clamorosamente le distanze e finendo inevitabilmente per farsi pungere e scappar via.

Nel loro camminare col musetto all'insù, i due ricci si giravano di qua e di là: ora guardavano che nessuno fosse nascosto dietro un cespuglio per portarseli a casa in un sacco, ora seguivano con lo sguardo lo svolgersi delle radici di farnie e faggi, ora ascoltavano rapiti il vento che frusciava tra le fronde delle siepi, ora porgevano le orecchie ai richiami di usignoli e fringuelli. Mai che guardassero dove stavano andando o dove mettessero le zampette.

Un bel momento, appena prima di imbucare la via del bosco, il Riccio di Shopenauer sentì un gran roboare di cose rotolanti. Qualcosa a metà tra il rosso lucente e il marrone pungente gli fu addosso, sbucando d'un salto dalla siepe e trascinandoselo via lungo il pendio della collina: fino in fondo al prato, proprio in mezzo al sole.

Proprio un attimo prima, mentre ammirava estasiata il volo d'una piuma, la Riccia di Gramsci aveva cominciato a rotolarsene giù per la collina picchiando la mela, il muso e la schiena tra i sassi e le radici. Cozzò a tutta velocità su un'ultima radice, rimbalzandosene in aria per poi travolgere qualcosa di incredibilmente morbido e stranamente pungente, trascinandoselo via lungo il pendio della collina: fino in fondo al prato, proprio in mezzo al sole.

A quel punto, Riccio e Riccia cercarono di rimettersi in piedi, un po' intontiti. Il sole gli riempiva gli occhi, e il paesaggio intorno stentava a farsi sempre più nitido.

Riccio si accorse che qualcosa non quadrava. La sua schiena era appesantita e i suoi aculei erano come impigliati: non che riuscisse a girarsi per guardare, ma gli sembrava come se qualcosa di rosso e lucido, un po' tondo e un po' no, gli si fosse infilzato addosso. Anche Riccia s'era accorta che qualcosa era cambiato: il capitombolo aveva spezzato la mela, metà della quale s'era incuneata sulla schiena di quel buffo riccio steso lì davanti, a grattarsi la testa sconcertato.

Messo a fuoco il mondo, le pupille nere e profonde dei due si incrociarono.

- Hai metà della mia mela sulla tua schiena, Shopenauer... - La voce sorridente di Riccia si fece sentire

- Uh, come? Ah, la mela... E' una metà mela questa? Proprio qui, sul mio dorso? Dì un po', Gramsci, sarà mica una di quelle rosse e succose del melo a mezzacosta? - La voce titubante di Riccio era un unico punto interrogativo.

- Eh, sì... l'ho raccolta da poco... Se vuoi puoi assaggiare un po' della mia metà...

- Uh, davvero? ...Beh, potrei pensarci, grazie... Direi che sembra proprio una delizia!

E se ne zampettarono via insieme, felici e contenti di mordicchiarsi di tanto in tanto, alla giusta distanza di mezza mela.





Che domanda!








Sapete dirmi chi popola questa stupenda immagine
di Roberto Innocenti?



Io e la Donna Ottocentesca abbiamo individuato Ahab, Ismaele, Moby Dick, il commissario Maigrait e l'aviatore del Piccolo Principe.



Chi altri riconoscete?


giovedì 28 maggio 2009

Heard in the Grapewine










L'Acquario ha una piccola corte proprio fuori dal portone. Una corte discreta, appena rimessa a nuovo, con tutto un ciottolato bianco nel mezzo e una serie di lastre grigioperla tutt'attorno. E un fontanile in pietra nell'angolo nascosto.

La Corte dell'Acquario è piena degli schiamazzi dei giannizzeri che rientrano dalle loro incursioni nel Mondo Esterno, ma è anche piena di piante, che in questo maggio di piogge e sole hanno avuto la voglia e lo spirito di darsi da fare e crescere d'un verde che più smeraldo non si può.

C'è un angolo di luce e silenzio, nella Corte dell'Acquario: se ne sta rintanato tra la porta del refettorio e le scale che salgono agli alloggi del piano superiore, dove dimorano gli avi e i saggi che tanto hanno fatto per l'esistenza dell'Acquario.

Se si entra nel refettorio all'ora del Meriggio, appena prima dell'Ora dei Giannizzeri, e si ha la pazienza ed il tempo di sedersi guardando di fuori, si può gustare tutta la meraviglia di un cielo intonacato d'indaco che a malapena riesce ad infilarsi tra le spledenti foglie di vite che pendono dal pergolante balcone.

E proprio lì sotto, dove il sole spinge quelle ombre saltellanti dentro gli occhi socchiusi su quel mondo verde-acqua, si può sentire l'aria e la calma di un cuore che piano piano riprende a respirare.



sabato 23 maggio 2009

Fantasie di cuore






Grazie
grazie grazie
di quest'intesa fatta di parole
raccontate

che mi regali sempre
anche se

o proprio perchè
senza prezzo

e senza tempo.




venerdì 22 maggio 2009

Una goccia nell'oceano...









In quinta elementare


- Ciao bambini!

- Ciao maestro Timoteo!

- Allora, ieri abbiamo visto la vita dei rifiuti, oggi parleremo dell'acqua, che ne dite?

- Si, che bello! Figataprof! Checosavediamodell'acqua?

- Allora, per cominciare, chiudete gli occhi e immaginate d'essere una gocciolina...

- ???

- Dai, provateci!

- Ah, ok... maciprendiingiromaestro?

- Dai, su, non vergognatevi... chiudete gli occhi... bravi... concentratevi... siete tutti goccioline d'acqua... ecco... ora ditemi: che goccioline siete?

- Io sono una gocciolina in una cascata!

... Io sono una gocciolina nel mare!

... Io una in una pozzanghera!

... Io sono una gocciolina di nuvola!

... Ehi, prof: Io sono uno sputo!

- ...





mercoledì 20 maggio 2009

A cominciar dalle piante, si finisce con le api















E ringrazio Dio, o chi per lui, di non avere TV a casa.
E lo ringrazio per non avere telefono fisso.
E lo ringrazio, soprattutto per non avere un accesso internet.
Per vivere fuori dal mondo, perso in un tempo fatto di uova di pasqua in dicembre e bagni in fiumi gelati in piena estate.
Lo ringrazio perché se c'è una cosa che ho scoperto essermi sacra è la vita come la conosco quando sono da solo, senza mai essere solo per davvero. Perché chi vuole sa bene come e dove e quando raggiungermi.


E ringrazio chi di dovere che nessuno mi vieta di chiudermi nell'Acquario ad ore impensabili, non certo per compilare scartoffie e spedire veline, ma per meditare e respirare. E l'Acquario allora diventa un velo, un filtro, attraverso il quale far passare un respiro e la vita, ed un altro respiro, ed un altro po' di vita. Boccheggiandola, non più ingurgitandola. Per leggerla e scriverla ancora una volta.



E' così che finalmente, al terzo giorno dal rientro, riesco ad isolarmi in un bozzolo autistico per rendermi conto che ho vissuto un'esperienza fuori dal comune nei giorni passati.



C'è qualcuno - con un nome impossibile - che descrive l'esperienza come un flusso continuo che culmina nella massima presenza all'interno dell'azione compiuta, nel momento pieno del vivere quello che si sta facendo, per poi rifluire in una coscienza più razionale e distaccata.


E' un po' come quando ci si ribalta con un kayak in mezzo ad una rapida. Per chi ti guarda da fuori, il tempo di reazione è minimo, una mezza frazione di secondo: con un colpo di reni, e sei di nuovo con la testa dalla parte giusta, e stai pagaiando lontano dai guai. Ma per te, che ti sei ribaltato, il mondo si ferma. E vedi i sassi che scorrono ad un pelo dal tuo naso, e guardi le mani che riafferrano la pagaia, e aspetti che la pagaia sia di nuovo in superficie, e ti appiattisci contro la coperta, e ti slanci in fuori e ruoti e tiri e sbuffi. Col mondo fermo e l'acqua completamente trasparente tutto intorno. Che son passati secoli e tu non ne sai nulla.


Fate conto che questa settimana sia andata un po' così, solo che i tempi - al posto che dilatarsi all'infinito - si sono ristretti uno sull'altro e sono passati così veloci che nemmeno ci si accorge d'essercisi trovati dentro.

E allora, quando sputi acqua dal naso, o quando ti ritrovi in ufficio senza nessuno intorno, hai il tempo e la voglia per pensare a quello che hai appena fatto. Che per quanto banale possa sembrare, ha sempre dello straordinario.




E allora ti ritrovi a pensarti


…Mentre stai conoscendo un branco di personaggi strani, tutti "amici degli alberi" dichiarati, che se non sono freak in questa vita lo sono stati nella scorsa - durante gli anni '70 - e sono morti e risorti dopo qualche dose extra di droghe tropicali.


…Mentre ti presenti a loro in un inglese francesizzato, o un francese inglesizzato, che nemmeno tu sapevi di parlare. E rivedi i loro sorrisi quando gli dici che sei italiano e pensi Che sfiga, m'han beccato. ma poi tutto cambia e capiscono che d'italiano hai quello che serve e nulla di più, e iniziano a prenderti per quello che sei, non per quello che dovresti essere.


… Mentre sei a piantare alberi assieme ad una strega bionda di 450 anni, due pixies irlandesi dagli occhi troppo grandi e dalle risate troppo contagiose, un azteco adoratore della Dea Madre, un saggio con gli occhi e le mani piene di domande, una cow-girl senza stivali, una predatrice caraibica persa tra gli squali, una cantante ebraica e un oratore brasileno, filosofo e cialtrone quanto basta per fartelo risultare simpatico a pelle.


Ecco, in questi momenti di riflessione, dopo un'esperienza come una settimana in Canada a discutere delle sorti del Mondo e della chiamata alla quale noi tutti educatori ambientali stiamo rispondendo, uno può rivedersi…


…Mentre incrocia nei corridoi del Palais de Congress di Montréal qualcosa come 2000 delegati da tutto il mondo


…Mentre sfoglia un programma degli eventi lungo 82 pagine scritte piccole che hai bisogno la lente


…Mentre bestemmia perchè per seguire tutto ci vorrebbe la clessidra di Hermione, mentre sorride perchè sa che le cose che seguirà - alla fine - saranno senz'altro le migliori.

... Mentre si scambia racconti ed esperienze e matura l'idea che questo sia più di un lavoro e che a casa, in Italia, saranno contenti di quello che riporterà.


E poi uno ci ripensa, e si vede…



…Mentre corre in giro per i corridoi e fa i salti mortali per non inciampare tra un coreano e un africano che seduti a terra stanno animatamente discutendo se sia o no il caso di chiudere del tutto il sistema di compensazione monetaria dell'inquinamento globale.


…Mentre, testardamente, prende un paio di sonori due di picche da volontarie e delegate, per poi restituirli altrove, con nettamente meno classe.


…Mentre pende dalle labbra di studiosi della risata, di saggi della riunificazione tra anziani e bambini, di danzatrici del buio, di pedagogisti della lentezza.


…Mentre la conversazione con la strega e le pixies si accende sul destino del mondo e sul pessimismo latente che ci si deve scrollare dalle spalle. Ora o mai più.


E dopo un lungo sospiro, se proprio si vuol passare in rassegna le cose fatte e dette e vissute in una settimana così intensa, arrivano anche i sentimenti contrastanti.


La voglia di piacere e la voglia di capire a chi si piace e a chi no, e perché dannazione le due cose combaciano tanto raramente.


La voglia di amare e sentirsi amati. La strana sensazione che persi come si è, senza un amore a casa, di Case non ce ne siano poi tante nel mondo e che l'anima sia costretta a vagare senza fine e senza meta.

La brutta sensazione di districarsi tra due persone che ti dicono in tutti i modi che Tu, sì tu vai bene, se vieni qui vicino ti spiego. E tu nemmeno ci pensi, che in fondo ti vuoi bene abbastanza da non voler mettere in aria un altro casino.


E la voglia di partire, proprio quando credi di aver trovato radici e ti senti come se il vaso sia sempre troppo piccolo.

E poi uno ripensa alla partenza. Rimandata di una giornata e mezza, per passare del tempo con Streghe e Pixies in una famiglia tutta internazionale di Api Danzerecce, ballando nei metrò e scambiandosi effusioni con le mani-antenne davanti ai pub, mentre qualcuno suona un folk irlandese col violino e tiene il tempo col tacco dello scarpone, sulle assi di legno.









venerdì 8 maggio 2009

Prima del viaggio Oltreoceano








Ora chiudo. Lo giuro. Scrivo le ultime mail e chiudo.


Questa settimana ho battutto qualsiasi record di quantità di lavori fatti nello stesso momento. E mi sono stupito per la destrezza dimostrata - anche se un paio di birilli li ho segati... Eppure la partenza è alle porte. Domani mattina prendo un aereo che mi porterà in Canada. Solo per qualche giorno, solo per una breve esperienza.

Ma il Canada è la mia terra dei sogni, da sempre. E anche se ormai so che non è tutto laghi e boschi e montagne verdi, anche se so che può nascondere dietro l'angolo enormi e deprimenti distese di grano, il Canada è il Canada. E sarà la prima volta che ne calcherò il terreno e ne saggerò la pioggia.

Chiudo il pc, chiudo l'ufficio e per qualche ora chiudo anche gli occhi. Che nella frenesia della preparazione mi son completamente scordato ch'gni taant gh'è bisugn de riposass.


Aggiornamenti come e quando potrò. Per intanto, buon viaggio a chi va e a chi resta.











martedì 5 maggio 2009

Con la bricolla in spalla










Ninna nanna, dormi piccolo,
che il tuo papà ha un sacco in spalla...
e si arrampica su per la notte:
Prega la luna, che nessuno lo prenda
Prega la stella, che guardi dove và
Prega il sentiero, che ce lo riporti a casa...

Ninna nanna, ninna oh…

Ninna nanna, dormi piccolo…
il tuo papà ha un sacco in spalla
che è pieno di cose:
ha dentro il suo coraggio
ha dentro la sua paura
e le parole che non può dire…

Ninna nanna, ninna oh…

Ninna nana, dormi piccolo…
Che ti sogni con un sacco in spalla
Per arrampicarti dietro il tuo papà:
su per questa vita che viviamo di frodo,
su per questa vita che sognamo di frodo,
in questa notte che preghiamo di frodo...

Prega il Signore, a bassa voce,
con la sua bricolla a forma di croce...



(libera traduzione della "Ninna Nanna del Contrabbandiere"
di D. Van De Sfroos)



lunedì 4 maggio 2009

LeggeriPensieri







Un sabato di riposo e pulizie,
mentre il cuore e gli occhi si gonfiano lungo le note
di canzoni che parlano di
improbabili contrabbandieri comaschi
e storie d'amore tempestose.

Poi un pic-nic senza grandi pretese,
in una domenica pomeriggio di sole e vento,
tra le fronde dei castagni e delle farnie,
ascoltando lo sciabordio del lago
e le risate lontane dei bimbi in barca.

E i polmoni respirano senza pesi sullo sterno,
lasciando spazio al sorriso.





sabato 2 maggio 2009

GranTorino il Primodimaggio







Alba, treno e zaino e cappello,
Cortei operai, vecchi partigiani
e la banda comunale con Bellaciao,
Birre, gioventù europea
e piccoli affetti,
Vino rosso, grandi risate
e fiducia infinita nel seno,
Ozio, sonnellini
e coccole trafugate,
Condivisione, discussione
e dibattiti,
Passeggiate sulla Dora, i muri che parlano
e gli alberi che cantano,
Fiumi alcolici, musica tra le fronde
e danze scabrose,
Problemi esistenziali sloveni, la luna riflessa negli occhi
e troppe parole,
Passeggiate lungo il Po, salsiccia al freddo del vento
e saluti calorosi.
Alba, treno e zaino e cappello.






lunedì 27 aprile 2009

Giorno per giorno
















Due giorni di fumo di griglia, ottimi vini, lividi di gioco, palloni volanti, coccole e risate, lupi e villici, battaglie di cuscini, sculture di pietra, equilibri impossibili, vestiti bagnati, documentari antropologici e resistenza: alla nostalgia, alla omologazione, all'assenza di senso, alle paranoie, alla vigliaccheria, alla ipocrisia. Verso il sorriso ammiccante di un avvenire improbabile, ma più che desiderabile e assolutamente sostenibile.






Un grazie speciale alla Fata anarchica,
per il suo corso accelerato di feng-sushi,
sul passaggio dei flussi di equilibrio dalla mente,
al cuore, alle mani, alle pietre del giorno.








sabato 25 aprile 2009

VenticinqueaprileDuemilanove








Un post complicato, questo del Venticinqueaprile Duemilanove.Non complesso, proprio complicato: non c'è una trama ben delineata, e i pensieri si attorcigliano ogni volta di più, quando provo a metterci mano.


***


C'è Scientology, rientrata nella mia vita in maniera prepotente, per un errore tanto grave quanto banale. Una manica di delinquenti, che fanno leva su sentimenti quali il sospetto, la rivalsa, il desiderio d'essere vincenti. Ma il sospetto, prima di tutto.


Offrono strumenti per essere vincenti. Non tutti subito, sia chiaro. Un passo alla volta, perchè mica si possono capire tutte le verità in una botta sola. Allora, per essere vincenti, dicono, devi imparare a capire chi attorno a te sta mentendo, sbagliando, tramando: chi ti vuol fottere e chi ti vuol ferire, per gusto o interesse.


E allora cominci a segnarti tutti i discorsi che fai con le persone che hai vicino, le parole che ritornano e le parole che vengono usate solo una volta, mai per caso. le cose che fanno, i posti dove vanno e le persone con le quali parlano. Allora inizi a fare caso a quando uno si tocca il naso, si gratta la testa, accavalla le gambe, rotea gli occhi, sbuffa, si scaccola, trattiene una risata o una scoreggia. Quando uno si ammala, quando l'altro gli vien la cacarella e quando quell'ultimo si rompe un braccio o fa un incidente.


E inizi a perdere il senso d'insieme, il senso di comunione, il senso di attaccamento: sei sormontato da milioni di dettagli che montano e montano e montano, fino a sommergerti di indizi che credi di mettere a posto secondo un filo logico tutto naturale e invece è l'unico filo logico possibile - quello della tua paura più profonda: le persone che hai attorno intendono abbandonarti, possibilmente fregandoti.


Per questa cricca di psico-delinquenti, il primo passo è individuare una frattura nel tuo animo, una paura. Il secondo è instillarti il sospetto che quella non sia una paura, ma una realtà. Punto di appoggio e leva. Paura e sospetto, ben orchestrati e mascherati. E questo porta all'inevitabile collasso delle relazioni, tanto amicali quanto familiari.

E ti convinci che la vita è una gara, e che devi dimostrare di arrivare dove gli altri non si aspettano. E che devi dimostrare che gli altri falliranno.

Quando invece gli altri sono lì che ti vorrebbero al loro fianco, così come sei. Per amarti e mettersi in discussione con te.


E' come l'anello di Frodo: dagli enormi poteri, che logorano l'anima di chi lo usa, fino a fargli cacciare il migliore amico, convinto che si sia pappato di nascosto tutto il Pandivia. Senza rendersi conto che Gollum si sta fregando le mani...


***


C'è che ho preso il coraggio a quattro mani e ho detto ad una certa persona che la ritengo un vero e proprio punto di riferimento. E che per questo non mi verrà facile misurarmi con i problemi che abbiamo avuto nella nostra fallimentare esperienza di coppia. Non è esattamente quello che si sarebbe voluta sentir dire, ma credo fosse importante farglielo sapere.


Perchè un punto di riferimento vuol dire qualcuno con il quale vuoi confrontarti, del quale sei desideroso di avere un'opinione, per poi scontrarti, discutere, cercare di fargli cambiare idea o anche no, approfondire, litigare magari.


Qualcuno di cui avere fiducia. Anche quando si sbaglia, anche quando ci si metterebbe le mani nei capelli per le cose dette o non dette, fatte o non fatte. Di cui fidarsi, di pancia, a pelle, senza alcuna riserva. Al di là degli errori.


Perchè avere un punto di riferimento significa avere qualcuno con il quale aver voglia di condividere qualcosa, che sia un'opinione, un'esperienza personale o un momento professionale, e poi ritornarci sopra e trarne qualcosa. Per quanto bella o dolorosa sia quell'esperienza.


Un punto di riferimento è qualcuno davanti al quale non hai preoccupazione di farti vedere perdente o vincente, ma sempre e solo come sei. Per metterti, e mettervi, in discussione.


E se con questo qualcuno hai avuto una storia d'amore che faceva acqua un po' dappertutto , beh... la cosa è importante in sé, ma può creare qualche disguido tecnico di comprensione e gestione...


***


C'è che al lavoro stiamo progettando come dei matti, e che ho la sensazione - condivisa nella Sala Acquario - che noi si stia scalando a grandi falcate la Scala dell'Autocoscienza professionale. Avevo il sospetto che i confini dell'Educazione ambientale mi sarebbero stati stretti, prima o poi. E sono contento di avere come guida e partner qualcuno in grado di lasciarmi abbastanza libertà per spararle grosse e abbastanza polso da tirarmi coi piedi per terra quando esagero. certo che la soddisfazione del lavoro ben fatto nelle ultime due settimane aleggia palpabile in ogni angolo dell'ufficio.


***


C'è che il cuore è sempre là... col broncio... perchè resta in disparte.


***


C'è che è la Festa di Liberazione. E il Re del Ferro e del Fuoco non passerà a trovarmi, per tutti i suoi motivi. E questo mi rattrista.


***


Resta la Festa di Liberazione, però.

E vanno ricordati i morti, e vanno ricordati vivi, come dice un amico fotografo. Per quello che hanno fatto, per i motivi per i quali l'hanno fatto: da una parte e dall'altra. Per ribadirne le dovute differenze.


E si festeggerà, con chi ha scelto di condividere una giornata, si spera, di sole: tra una canzone partigiana, una salamella, una bottiglia di rosso, e una bella discussione accesa sull'eredità della Resistenza.




giovedì 16 aprile 2009

Marzo a metà aprile







E mah è forse
è quando tu voli rimbalzo dell'eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte
è credere o no

margherita di campo
è la riva lontana è, ahi! è la fata Morgana
è folata di vento
onda dell'altalena
un mistero profondo
una piccola pena
tramontana dai monti domenica sera

è il contro è il pro
è voglia di primavera
è la pioggia che scende
è vigilia di fiera
è l'acqua di marzo
che c'era o non c'era

è si è no
è il mondo com'era
è Madamadorè
burrasca passeggera
è una rondine al nord la cicogna e la gru,
un torrente una fonte
una briciola in più
è il fondo del pozzo è la nave che parte
un viso col broncio
perché stava in disparte

è spero è credo
è una conta è un racconto
una goccia che stilla
un incanto un incontro
è l'ombra di un gesto,
è qualcosa che brilla
il mattino che è qui
la sveglia che trilla
è la legna sul fuoco, il pane, la biada,
la caraffa di vino
il viavai della strada


è un progetto di casa
è lo scialle di lana, un incanto cantato
è un'andana è un'altana
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te

è mah è forse
è quando tu voli rimbalzo dell'eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte è credere no

è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te

(Ivano Fossati, La pioggia di Marzo)



mercoledì 15 aprile 2009

giovedì 9 aprile 2009

Le ultime libertà dell'uomo delle reti











A voler ben vedere, quel pezzo d'uomo che se ne stava curvo sulle reti non era malconcio come lo raccontavano. Passava dei gran giorni in mare, a strappare via i pesci dalle corde intrecciate e ne aveva il puzzo sulle mani, nell'alito, nei capelli - quelli che c'erano, quelli corti e ingrigiti che gli giravano attorno alla nuca e sfioravano le tempie. E' vero, aveva il passo malfermo, quando camminava sul molo, ma quell'andatura ondosa sembrava dargli l'innata capacità di passare tra la gente come l'acqua di riflusso tra gli scogli: senza che nessuno lo vedesse, senza che nessuno si accorgesse di lui. Eccetto, certo, per la scia di pesce che si lasciava dietro: ma in un porto, chi voltete che se ne accorga?

Era lì, che se ne stava accovacciato, a cacciar dentro le mani in una cassa gigante, tirando fuori un filo alla volta le sue reti immense, col volto corrucciato e attento. Ogni nodo sfatto, lo riannodava, ogni maglia strappata, la rammendava, ogni cordino intrecciato, lo disfava. E le dita, tozze e di marmo, parevano filare le corde come un ragno fila la seta: pareva che i fili uscissero dalla punta delle dita, come lacrime, una ad una, in un pianto silenzioso e incupito. A sentire la gente, non era un bello spettacolo averci a che fare. Quelle mani, che lavoravano sulle reti con la delicatezza del burro, sapevano spezzare un remo come fosse il collo d'un gabbiano e sapevano maneggiare i coltelli da intarsio con sicurezza e abilità ben note agli stomaci di chi aveva avuto la malaugurata idea di contraddirlo, nel corso degli anni.

Buono buono, se ne stava contemplando quella matassa che gli usciva dalle mani, con lo sguardo perso oltre le dita, oltre i fili, oltre le reti. Sicuramente pensava alla sera prima. Alla sera in cui, rientrato in porto, rientrato a casa, ad un certo punto s'era trovato più solo di quanto non fosse mai stato. Forse non ricordava bene che cosa fosse successo. O forse lo aveva ben chiaro ma i suoi occhi si rifiutavano di andare a cercare tra le pieghe dei ricordi. O forse preferiva perdere la vista in un insieme sfuocato di onde e riflessi di sole. Per non rivedere quegli occhi azzurri che si gli spegnevano tra le mani serrate, per non rivedere quelle labbra rosse storpiate da un grido strozzato.

Avremmo potuto restare a guardarlo per giorni. Le sue mani filavano ancora quando le nostre ombre gli coprirono il capo. Alzò la testa e con occhi scavati guardò dritto nei nostri. Il volto, i solchi e la pelle: tutto raccontava di mille storie e viaggi ed esperienze. Gli occhi, però, parevano vuoti. E le mani continuavano a filare. Un gioco di sguardi, tra noi e lui, e le mani, sistematiche, posarono attrezzi e reti con la cura di sempre. L'uomo delle reti si alzò, sovrastandoci. Tirò su le maniche della camicia ormai lisa, e tese avanti i polsi.

Abbiamo fatto scattare le manette, ben sapendo che comunque non sarebbe scappato.