"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


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martedì 30 agosto 2011

Attraverso








A volte vorrei essere capace di disegnare una mappa dell'Amore.



Lì un fiume di parole da attraversare, laggiù un lago di tenerezza nel quale bagnarsi, più in là qualche foresta oscura e profonda, delle distese aride di pensieri foschi e gelosie. Poi un oceano infinito di speranza, ghiacci bianchi come la fiducia. Paesini disabitati, vecchie città antiche e gargantuesche, nuove città a misura d'uomo, porti sovraffollati e baie inesplorate. Strade grandi e piccole, cascate, torrenti, boschetti, colline e brughiere.



Poi mi ricordo che non sono un cartografo e che so così poco dell'Amore, se non che ho voglia di viverlo.



Così mi rimetto la cappa da geografo e ci viaggio attraverso.




venerdì 18 giugno 2010

Di fiumi, baci e mari lontani







Noi,

che sappiam di terra e aria smossa
di piogge
e foglie strappate
di secche e radici divelte,

Ci si chiede quanto a lungo
si possa aspettare
un bacio che sappia di mare:

che del sale pare avere
l'ardore, delle onde il ritmo
e dei riflessi il sorriso.






giovedì 24 dicembre 2009

Nella Casa delle Coccinelle








L’avevano chiamata La Casa delle Coccinelle perché c’erano le coccinelle. Erano in tre e se ne stavano rintanate per l’inverno sotto vecchie tende e vecchie coperte in quella vecchia casa.

Le coccinelle erano saltate fuori svolazzando, quando i nuovi inquilini - pretendendo di rinnovare l'ambiente - le aveno accidentalmente distolte dal loro sonno. Imbufalite per il disturbo, avevano subito fatto capire che da lì non se ne sarebbero andate tanto facilmente.

Una aveva occupato l’ultimo piano della libreria, minacciando di volersi buttare giù. Un’altra s’era messa proprio di fianco al frigo, e intimava che se l’avessero sfrattata si sarebbe lasciata morire di freddo buttandosi nel congelatore, la prima volta che lo si fosse lasciato aperto. L’ultima aveva scelto di nascondersi tra gli scatoloni del trasloco al grido di:
Il-nuovo_che-avanza_ti-cambia-copriletto?
Tu_ Coccinella_Su!-fagli-lo-sgambetto!

Insomma, sembrava proprio che da lì non volessero schiodarsi. Erano tre, ma facevano più casino degli operai FIAT quando occupano la Milano-Laghi fuori da Arese. Così, la direzione degli inquilini si decise a mandare avanti un delegato per avviare una trattativa.

Le coccinelle però avevano inteso che quella era solo una manovra degli invasori, e mandarono a monte gli incontri.

Com’è noto, le coccinelle per comunicare usano i gesti, ma non come gli umani che gesticolano con le mani, la testa e a volte le dita: loro gesticolano con le ali, sei zampe, due antenne e quei bellissimi gusci pieni di pois che racchiudono le ali. Una trattativa di quella portata, tuttavia, avrebbe necessitato incontri tête-à-tête: chiamandole a trattare una per volta finiva che quelli le avrebbero messe una contro l’altra, e non avrebbero potuto nemmeno mollare i rispettivi presidi, che sarebbero subito caduti nelle mani del Nemico Invasore.

Insomma, gesticolando, le coccinelle si convinsero che era il momento di provare il tutto per tutto, e optarono per il modello francese. Col favore delle tenebre, abbandonarono in silenzio i loro presidi e si ritrovarono svolazzando in mezzo al salone. Si misero in formazione d’attacco silenzioso e ronzarono all’unisono fino alla stanza da letto principale. Laggiù dormiva l’Invasore.

Entrate nella stanza, le coccinelle schiantarono la porta alle loro spalle. Il clangore spaventevole svegliò di soprassalto l’Invasore che dormiva impunito. Compagne, addosso! Le coccinelle si avventarono su di lui intimandogli Nel nome del diritto alla casa, del diritto al sonno, del diritto all’asilo politico contro il Generale Inverno, ti prendiamo in ostaggio fino alla tua completa e incondizionata resa!

Immobilizzato nelle coperte dalle tre coccinelle per una notte intera, l’Invasore non potè più nulla. Anzi, le sue grida richiamarono ragni e cimici, che si sporsero sospettosi dai loro buchi e si avvicinarono più sicuri quando capirono che cosa stava succedendo. A quel punto, l’Invasore capitolò e riconobbe il valore dei Diritti Inalienabili delle Coccinelle e degli Esseri a più zampe, sottoscrivendo il Trattato di Convivenza che ancora oggi prevede la libera circolazione degli esseri a due o più zampe all’interno dei locali e nelle immediate vicinanze del balcone.

Fu allora che la chiamarono La Casa delle Coccinelle. E il nome rimase.

giovedì 17 dicembre 2009

Una passeggiata Oltremanica






Il ragazzo era in cammino dalla mattina, qualche ora prima.

Avrebbe preso un treno e poi la metropolitana, deciso ad arrivare dove doveva in meno di 30 minuti e poi godersi la mattina in un turbine di novità da riempire anima e stomaco.

Alla prima fermata aveva avuto la sensazione che forse avrebbe cambiato i suoi programmi. Alla seconda fermata aveva avuto la tentazione di urlare. Alla terza fermata era sceso dal treno con un impeto assassino, schiantando la ventina di persone che lo dividevano dall'aria aperta.

Diavolo, avrebbe camminato. Avrebbe tagliato per le passeggiate lungo i canali, avrebbe attraversato i parchi e avrebbe ispezionato vicoli e stradine adornate di muri con mattoni a vista. Non reggeva quell'ammasso di gente accalcata dappertutto. Sui treni, sugli autobus, nelle vie principali, dentro i fastfood, sotto le scale, nei tombini, dietro le insegne pubblicitarie, accanto ai lampioni, lungo il fiume, sui barconi, sopra e sotto i ponti. Pienone ovunque.

Via, via, nervoso e fastidio.
Via dalla gente, cerchiamo un po' di respiro.

Fortunatamente l'aria era fredda e pungente, e il sole non si alzava troppo oltre l'orizzonte. Ne apprezzava il calore che colpiva la giacca e gli scaldava le braccia.

Aveva abbandonato i mezzi di trasporto in una zona imprecisata del conglomerato urbano e - stando alla carta da viaggio - c'era la possibilità di tornare a casa facendo un giro lungo una decina di ore, senza il rischio incrociare nemmeno mezza bionda con tacchi ai piedi, cagnolino al seguito e borse dei regali zeppi di cianfrusaglie dai costi inverosimili sottobraccio.

Aveva staccato il cervello dagli occhi, dalle orecchie e dal naso. Lo aveva messo in collegamento diretto coi piedi. Impegnativo, ma altamente gratificante. Aveva sentito la suola delle sneakers lavorare in sintonia con l'asfalto. Erano scarpe vecchie ma affidabili: ne ebbe la conferma qualche tempo dopo, quando piedi e gambe abbandonarono l'asfalto per calpestare erba, fango e foglie morte.

Fino ad allora, il respiro si era fossilizzato dietro al petto. I polmoni andavano con ansia, come i vecchi pistoni di un treno a vapore, sfiatando ad ogni passo in sintonia con l'andazzo delle braccia e delle spalle. Non appena piedi e gambe avevano abituato il passo al fango e all'erba, anche il respiro era cambiato. Era sceso fin sotto la pancia, allargandola e spingendola con delicata ingordigia, regolando il battito del cuore, ammazzando l'ansia, facendo tornare in vita l'olfatto. Troncando ogni sbuffata e trasformandola in una strana soddisfazione.

Il ragazzo si trovava in un qualche cimitero, pieno di lapidi sverze e sbilenche, immerse in una vegetazione selvaggia e incontrollabile: rovi, rampicanti, edere ormai capaci di soverchiare anche la più alta quercia, anche il più robusto faggio, capaci di penetrare nei mattoni della cappella nel mezzo di quel labirinto di ricordi affettuosi, come a dire che Dalla terra alla terra è un viaggio senza fine.

Dal cimitero era passato in un qualche pertugio del muro, diretto ad un passatoio accanto al canale nascosto là dietro. Dal ballatoio sopra l'acqua era passato attraverso un paio di scatole di cemento - quasi di corsa - per poi ritrovarsi sperso in uno dei prati più grandi e belli che avesse mai visto. L'orizzonte lo inscatolava, certo, ma prima di battere il muso su una di quelle pareti sarebbero passate delle ore. E questo poteva bastare.

Camminando, si portò nel centro della prateria collettiva. Il vociare lontano di bambini, cani, mamme e innamorati non poteva recargli danno: erano schiamazzi simili al canto dei parrots, al rosicchiar di ghiande degli scoiattoli, al picchiettare schietto e sincero delle cince sui rami più ricchi di insettini golosi.

Lì, nel centro della prateria, il ragazzo si sedette sotto un castagno. Una pianta enorme, che portava nel legno il lavorio paziente di secoli e secoli. Torsioni, flessioni, imbarcamenti, pressioni radicali e ramificanti: una muta tenacia, uno sforzo indicibile ed invisibile che ciclicamente tornava dal mondo nel mondo, senza fermarsi mai.

Sotto il castagno il ragazzo si sentì finalmente in pace.
Chiuse gli occhi e spostò il cuore.

Lasciò che scendesse lungo la colonna vertebrale. Che all'altezza della pancia si dividesse in più parti, e che ognuna di esse si divincolasse lungo le gambe, le braccia, la testa, la bocca e le orecchie. Che la dispersione dell'animo e dell'esperienza continuasse in ogni piede, in ogni dito, in ogni pelo e in ogni capello. Che da lì passasse nei fili d'erba, nelle radici, nel terreno. Nelle gocce d'acqua disperse laggiù, nelle radici del castagno, nei rami, nelle sue foglie - le poche rimaste. Da lì il cuore e l'anima si dispersero nell'aria.

Il ragazzo era in cammino dalla mattina, qualche ora prima. Era partito da Londra, si era spostato in Abruzzo, aveva visitato i boschi in Svezia, il giardino storico di una villa a Città dei Vicoli, il suo amato Fiume Azzurro ed era tornato a casa.

Tutto d'un fiato.






lunedì 16 novembre 2009

Strane assonanze






Anche in giro per il mondo ho qualche fratellino e sorellina.
Madri diverse, si capisce...
E i padri di stoffe diverse, s'intende...




Insomma, quel genere di fratelli e sorelle
che li incontri tra un porto di mare e l'altro,
e ti rimangono attaccati come fossero parte della tua ombra,
o della tua anima.
Che poi, a volte, è lo stesso.







mercoledì 8 luglio 2009

Respiro








Le mani,
le mani, mai ferme.
Colorano il mondo
di nuova esperienza.

Al passo coi piedi,
con la testa leggera,

col cuore a zonzo,
in cerca di Casa.

Con le fronde al cielo
e le radici nell'acqua:

nel mezzo,
le braccia aperte,
spalancate agli eventi,
e la bocca alle stelle.





martedì 31 marzo 2009

e se l'anima












E se l'anima ha un posto, e se i pensieri la seguono,
di tanto in tanto, quando non se ne vanno per la strada loro
- dietro a palloncini trasparenti -
quel posto dell'anima assomiglia ad un lago.

Profondo e assopito e grande,
grande grande e quasi gonfio, pergiunta.









giovedì 26 marzo 2009

Valle degrado







Se dalle nostre parti dite Olona!, i nasi si accartocciano, le mani salgono come durante una rapina e la testa si scuote come sotto una secchiata d'acqua gelida.

L'Olona è stato, ed in molti casi è ancora, il simbolo di un'industrializzazione scellerata che nessuno scrupolo si fece a disfarsi dei suoi scarti direttamente nelle acque di una bella valle incavata tra le colline moreniche.

Quella stessa industrializzazione che, spostata la produzione in posti che possono ancora essere inquinati senza un gran bisogno di danari, ha lasciato dietro di sé scheletri architettonici e sociali.

Ammassi d'ossa di cemento e acciaio, cumuli di operai senza case o stipendio: gli uni a cicatrizzarsi in mezzo ai rovi e alle robinie, gli altri a vagare senza più memoria di che cosa voglia dire vivere un territorio, nel bene e nel male, nel godimento e nell'impegno.

Stiamo preparando una serie di interventi a scuola sulla qualità delle zone umide di Lonate Ceppino. Ci sarà davvero un sacco da dire.










Il Fiume Olona e le zone umide all'altezza di Lonate Ceppino (VA).





venerdì 28 novembre 2008

Attese bianche










Con la neve, qui sulla panchina,
le gambe le ho coperte con una trapunta di lana,
a scacchi colorati.

Il fiato mi volteggia intorno alla faccia,
indugiando un po' tra la sciarpa e il cappello,
mentre i fiocchi si fermano tra le mani aperte.







lunedì 17 novembre 2008

A passeggio con la Duchessa






Nel pomeriggio del Giorno del Sole, ho potuto godere di una sana e tonificante passeggiata in compagnia della dolce Duchessa di Borgogna.


Venuta a visitare la mia nuova tana, non potevo tenerla allo scuro delle meravigliose bellezze del fiume che corre a poche centinaia di passi dalla Grande Arca, incagliata su una collina probabilmente a causa di una qualche piena ancestrale finita piuttosto repentinamente.



Così, tra un dolorino al ginocchio e uno al cuore, abbiamo camminato con i gomiti vicini, sussurrando parole che snocciolavano gli aggiornamenti più importanti degli ultimi mesi, trascorsi senza mai riuscire ad incrociare le nostre vie.



Il sole tramontava. Il caldo della solare giornata d'autunno andava sparendo. Le folaghe e gli svassi si divertivano come potevano sull'acqua calma del Fiume Azzurro.

E noi passeggiavamo.

E chiacchieravamo.

Intercalando i racconti con frasine sorridenti come Oh che meraviglia!, Hai visto laggiù?, Che bello...









domenica 2 novembre 2008

Palato allo zenzero




Me ne resto seduto come un cowboy in disarmo. Il cappello appoggiato sulla coperta, accanto ai piedi. Il fuoco che scoppietta sotto la tolla dell'acqua per il caffé. Il caffé è speziato, allo zenzero secondo me: ma lo fanno lontano, dove la pelle è scura, e dove la magia corre a gambe levate davanti alla danza e alla musica sincopata dei tamburi di pelle. Lo bevo un poco alla volta, mi brucia la lingua e mi zenzera il palato.

Il ginocchio ha deciso di prendersi una vacanza.

Ieri camminavo per la Città dei Vicoli, sottobraccio ad amori passati che non sanno mai bene se prendermi a sberle o riempirmi di baci. Camminavo per la Città dei Vicoli ad incontrare volti e strette di mano, pacche sulle spalle e meraviglie della scienza. Camminavo soddisfatto per tutto quello che altri sono riusciti a fare, mortificato perchè lo avevano fatto senza di me. Camminavo e camminavo. E avvertivo un qualche lamento dalla mia fedele articolazione. Ma sono settimane che mi parla e non l'ascolto.

Questa mattina, ho aperto gli occhi su un soffitto non mio, e fresco dell'ospitalità di nuove amicizie ho sollevato le coperte al ritmo della sveglia, saltando dal letto direttamente nelle braccia di una giornata di sole e fiume. Ma il ginocchio non c'era più. Si era licenziato nella notte. Così sono franato sull'anta di un armadio in legno massello. Con buona pace dell'ospite.

Allora ho impacchettato la mia voglia di fiume, sono tornato nel vecchio Borgo dei Galli, direttamente dagli spaccaossa d'emergenza. SetteGiorniSette di riposo, con le stampelle. Poi visita dall'Uomo Medicina che guarda nelle ossa, per vedere in che condizioni di stress è il mio menisco. Per decidere se mandarlo in pensione definitivamente o rimetterlo in piedi in qualche modo.

E intanto penso alle uscite nei boschi di questa settimana, ad una donna lontana che non sa se scegliere me o le terre infinite dei caffé speziati, ai cuori spezzati che cerco di tenere assieme con qualche coccola e tanto cocciuto affetto, a qualche amore passato mai troppo dimenticato, al mio gemello non fratello dalla Piramide di CollinaScura e al suo trasloco, alle persone amiche che per fortuna ci sono anche quando sono lontane e che quando sono con te, diamine quanto le senti vicine.

Intanto il fuoco crepita, la coperta mi scalda, il ginocchio mi saluta.

E il caffé mi zenzera il palato.


lunedì 22 settembre 2008

Una voce, sottile...





Ho nostalgia dei vicoli, puzzolenti, sempre affollati e pieni di Storie.

Del mare, che calma gli animi in burrasca.

Delle salite, che rubano il fiato ma lasciano spazio ai graffittari.

Delle scalinate, così docilmente dissestate.

Della focaccia al formaggio, che col crudo è anche meglio.

Dello yogurt, da mangiare sui gradini del presidio militare.

Della Nave Italia, che prenderci il sole son buoni tutti, ma ci farei volentieri l'amore.

Della De Amicis, a piedi nudi sulla moquette a leggere o intrattenere i marmocchi.

Della Berio, piena di facce snob e bei libri da custodire.

Di Piazza De Ferrari, coi toffa da una parte e i bauscia dall'altra.

Della passeggiata di Pegli, in due, in quattro, ma anche da solo.

Di piazza Caricamento, sui gradini a mangiar schifezze dal sapore divino.

Di Principe e anche un po' di Brignole, che quando sbuchi dalle gallerie sai di essere a Casa.

Degli autobus, impareggiabili destrieri mastodontici, leggiadri come libellule.

Della vespa, l'unico mezzo di locomozione ad avere un senso (poetico).


Ma soprattutto dei vicoli.

E degli accenti.

E di tutti i volti che lì in mezzo mi hanno accompagnato.

Per quattro anni.



Avanti e indietro.




lunedì 8 settembre 2008

Al giro di boa


Arrivano giornate, nel corso egli eventi, che si distinguono per la chiarezza del cielo, il caldo gentile del sole e la virata improvvisa degli odori verso una tonalità umida e rossastra.

Sono le giornate settembrine, cariche di una malinconia provocante, che spinge a guardare verso l'autunno già in cammino e l'inverno incombente come si guarderebbe un castello diroccato, poco prima di entrarvi: carico di memorie nascoste, ma pronto ad un'esperienza completamente rinnovata.

Ancor più cariche di energia lo sono, queste giornate, se si accompagnano a grandi novità e cambiamenti, tanto nella testa e nel cuore, quanto nelle mani e nelle gambe.
Il giro di boa è arrivato mentre me ne stavo a navigare tra i boschi del nord, senza quasi che me ne accorgessi, leggero e acrobata come un piccolo geco alla sua prima caccia solitaria.

Prendere coscienza che esistono Nomi che ritornano o Nomi che mai se ne sono andati vuol dire molto, nella vita di un marinaio.
Ancor più significativi sono i motivi per i quali questi nomi continuano ad apparire, anche dopo averli chiusi nei più reconditi cassetti. Magnificamente impensabile, infine, è quando si riesce a prendere una decisione sul come ci si dovrà comportare, verso questi Nomi. E perchè.

Anche l'aver cambiato del tutto luogo e mansioni del mio vagabondaggio professionale promette grandi cose.
Mi si prospettava un ambiente stranamente alternativo, chiuso tra una scrivania di compensato e quattro mura in vetro-cemento. E invece mi si offre carta bianca sui progetti e la possibilità di mantenere inalterata la mia natura di guida escursionistica. Un piccolo universo nel quale dar finalmente libero fondo ad estro, fantasia e voglia di coinvolgimento.

Ed è così che questo Giorno della Luna si lascia alle spalle la prima settimana di settembre, nella quale notte e giorno si sono inseguiti senza soluzione di continuità: tra gnocchi fritti, Mercanti di Liquori, grappini, birre, affetti, tenerezze e qualche ciurma di marmocchi desiderosa di apprendere i segreti dei naviganti di fiume.

Una prima settimana settembrina chiamata a portare questa nave dai Mari Estivi dell'Introspezione oltre la boa, verso le Acque Autunnali delle Meraviglie.



domenica 31 agosto 2008

Di risate e ali spezzate






Al rientro, un piccolo weekend di fiume senza angeli custodi, di racconti spassosamente bilingue, di passeggiate in montagna in strette gole scoscese, di affetti e amicizie a lungo trascurati.

Indossando Stivali delle Sette Leghe e valicando in quattro balzi le prealpi di Città Primadeimonti, per ritrovarsi nella piana di Nebbiascura e poi su monti alle spalle della Città dei Mattoni.

Ma saltellando felici e incoscienti per la campagna, si fa anche in tempo a calpestare qualcuno che non meriterebbe altro dolore, ma solo quiete.

E chiedere scusa mentre si cerca di spiegar d'esser stati fraintesi, non è cosa facile per i più abili oratori, figuarsi per un rozzo marinaio. Ma quiete sia.

giovedì 28 agosto 2008

Big Jim goes to Sweden






Riuscire a tradurre in parole quasi un mese di camminate in completa o semi-completa solitudine è qualcosa di poderoso. Per cui dovrò cominciare, e sperare di finire in un modo o nell'altro.


Da piccolo avevo un solo, grande eroe.
Big Jim.
E non era per i muscoli o per le mutande rosse o per il pulsantone sulla schiena.
E non era nemmeno per gli amici con i quali lottava contro le spie nemiche e il Professor Obb.

Era per i piccoli dettagliatissimi equipaggiamenti che disponeva.
Quei piccoli kit da comprare separatamente, che lo trasformavano in Big Jim Cacciatore, Big Jim Sommozzatore, Big Jim Astronauta, Big Jim Cow Boy.

Non che ne avessi uno preferito. Li adoravo tutti.
Adoravo come le piccole pistole si infilassero nelle mani di gomma.
Adoravo i disegni sui pannelli di cartone degli edifici, del camper e dell'elicottero.
Adoravo gli stivali, i pantaloni e le giacchette.
Adoravo i cappelli.

Ecco.

C'è stato un attimo, in queste giornate, nel quale il sole ha deciso di bucare le nubi e inondarmi gli occhi. E proprio in quell'attimo, mentre l'acqua del Klaralven scivolava tranquilla, mi sono reso conto che era come se mi avessero calato in una grossa scatola dei giochi e mi avessero detto Ecco, ora sei Big Jim Canoista. Sei Big Jim Canoista e hai canoa, pagaia e salvagente. Ma anche baracchino per cucinare nella tormenta, bidoni stagni, razioni per giorni e giorni, tenda, materassino e - soprattutto - piccola vanga tuttofare. Oltre ovviamente ad un poncho contro la pioggia e un nuovo cappello a tesa larga - da abbellire con qualsivoglia penna d'oca.




Ma forse è il caso di fare un passettino indietro.
Perchè non sono andato in Svezia a navigare e basta.
Ho anche camminato e fatto l'autostop. E fatto il bagno nei laghi gelati. Per un totale di quasi 600 km, tra andata e ritorno.



Sono partito dall'aereoporto di Skavsta, vicino Nykoping, a meno di un centinaio di Km a sud da Stoccolma.
Mi sono spostato verso nord-ovest e sono passato per


- Stigtoma, il paese da un solo edificio

- Yxtaholm, il castello sul lago dove sono stato attaccato dai vitelli


- Vingaker, la prima vera chiacchierata amichevole


- Orebro, la città delle paludi e dall'enorme torre-osservatorio

E poi


- Nora, dalla quale ho raggiunto l'isola di Alntorps, dove ho trascorso 3 giorni tra scoiattoli e trote


- Hallefors, il villaggio degli zombie, nel quale auto ed edifici affollavano le strade più di qualsiasi essere vivente, fatta eccezione per il maniaco guidatore del carretto dei gelati, dall'agghiacciante richiamo


- Filipstad, la città del sorriso e della mia "mamma" svedese, con i suoi gelati gratis e le sue torte regalate


- Hagfors, una palude restaurata a centro estivo


Dopo 12 giorni di cammino e autostop, finalmente Gunnerud. Buco nel mondo forestale e fluviale del Varmland, nella Svezia centrale. Base per il mio Grand Tour canoistico.


Da Gunnerud, dove mi hanno equipaggiato, sono stato trasportato in furgone fino a Branas, oltre 100 km più a nord, e lì ho cominiciato a scendere il Klaralven come solo Big Jim avrebbe potuto.

Acqua bruna quanto una Chimay, per i fondali sabbiosi ricchi di ferro. Fuoco a tarda notte, che c'era luce fino alla Mezza. Castori che si tuffano ad ogni piè sospinto. Alci che passeggiano timidi nella foresta. Stupidi topolini che vengono a chiederti se stai dormendo. Band folk tedesche itineranti che si fermano al fianco dei ponti fermando fiumane di gente. Pioggia a catinelle. Salsicce, minestre, polpette, e patate cotte nella brace.


Tornato così a Gunnerud, mi sono spostato a Stoccolma. Nella quale ho speso del tempo in compagnia di persone meravigliose, per poi scapparmene dalla città il giorno dopo, alla ricerca di incisioni rupestri vichinghe a Eskilstuna.

E poi di nuovo verso Nykoping, e l'aereoporto. E casa.



Tanta solitudine.
Tanta suggestione.
Tanta paura.
Tanta meraviglia.


La meraviglia di sentirsi diluito in un paesaggio immenso ed espanso, tra un cielo basso e gonfio, uno specchio d'acqua che intima soggezione e delle colline boscose che inducono la tentazione di carezzarne le curve con le dita.


La meraviglia del desiderio di perdersi, e lasciare che ogni parte del corpo lasci andare la presa e si metta a volteggiare per suo conto, adagiandosi dove crede sia più appropriato, per poi lasciarvisi sprofondare.


Tanta pace.
Le delusioni si sono appianate e hanno trovato altre dimensioni per esprimersi. Diventando tenacia e positività per il futuro.

Ma soprattutto, tanto tempo per scavare a fondo nella mia testa e nel mio passato. E trovare l'origine di tanti dei miei atteggiamenti, dei miei errori e delle mie piccole cose buone. E di cose interessanti ne ho trovate.
Ed era decisamente tempo che lo facessi.
Non che andasse fatto prima, ma adesso.


Senza tema di smentita sono stati i 22 giorni più significativi della mia vita.





Un ringraziamento speciale va a Ilse, i ragazzi dal Belgio, Mbabi, Anders, Natasha, Lawrence, i ragazzi di Londra che si sono incidentati in canoa, Marco e Franziska, Bijorn, Lisa e Joanna.



A casa




È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna


freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.


È una notte in Italia che vedi
questo darsi da fare
questa musica leggera
così leggera che ci fa sognare

questo vento che sa di lontano
e che ci prende la testa
il vino bevuto e pagato da soli
alla nostra festa.


È una notte in Italia anche questa
in un parcheggio in cima al mondo
io che cerco di copiare l'amore
ma mi confondo

e mi confondono più i suoi seni
puntati dritti sul mio cuore
o saranno le mie mani
che sanno così poco dell'amore.


Ma tutto questo è già più di tanto
Più delle terre sognate
Più dei biglietti senza ritorno
dati sempre alle persone sbagliate

Più delle idee che vanno a morire
senza farti un saluto
Di una canzone popolare
che in una notte come questa
ti lascia muto.


È una notte in Italia se la vedi
da così lontano
da quella gente così diversa
in quelle notti
che non girano mai piano
io qui ho un pallone da toccare col piede
nel vento che tocca il mare
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.


È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

che è poi la fortuna di chi vive adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.

Questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.







"Una notte in Italia", Ivano Fossati.


Un'altra canzone non poteva essere più adatta.







venerdì 25 luglio 2008

Elaborazioni


Con oggi si è chiusa la stagione alta, la stagione del superlavoro, delle levatacce alle 5 del mattino, delle giornate da 14 ore, delle ore infinite di code da superare passando per i paesini sperduti della Bassa padana.

Ma si è chiusa anche la stagione degli sguardi dei bimbi, delle loro lacrime e dei loro sorrisi, dell'impegno, delle energie incanalate in qualcosa che frutti e che faccia crescere, delle esperienze condivise, delle litigate costruttive, delle spanciate al ristorante, dei genitori in lacrime perchè non si aspettavano una tale partecipazione del figlio, dei giochi di ruolo che strappano ragazzi e ragazze dal computer, delle risate sotto gli alberi, dei bagni in fiume, del relax in riva al lago a parlare per ore dopo il lavoro - fino a vedere il sole al limitare degli alberi.


Si è chiusa una stagione intensa e produttiva, tenace e vigorosa, sfiancante e provante. E - soprattutto - vissuta fino in fondo. Al 100%.


Ora, si bradipa.


A modo mio.

lunedì 2 giugno 2008

La svezia dietro casa



Sul finire di questo maggio autunnale, ho fatto visita ad un angolo di svezia. Ma non la Svezia lontana e piena di renne: una svezia vicina e intima, che mi fregio di conoscere ma alla quale ultimamente stento ad avvicinarmi, più per limiti emotivi che di età...

A spingermi nella sperimentazione e a farmi compagnia - condividendone il bene e il male, senza alcuna malcelata equidistanza - la dolce donna Tuttatonda Testaquadra, teneramente più avventuriera nell'animo che nella pratica. Semplicemente adorabile.

A farci da campo base, una tenda barattata per due bicchieri di rhum, qualche masserizia da viaggio, una pioggia lieve che andava e veniva, l'erba bagnata tra i piedi nudi e il canto di civette e allocchi. Lì accanto, qualche ignaro viandante che passava a chiedere i miei servigi di traghettatore.

Culmine dell'esperienza, una discesa in corrente con canoa in stile apache nella luce di un tramonto rosso fuoco e gonfio del profilo di mille nubi. Come vecchi cercatori d'oro alle prime armi, ci siamo affannosamente prodigati per risalire un ramo secondario del fiume, solo per vederci costretti a piegare il capo davanti a Sua Maesta il Fiume Azzurro.

Intrappolati dalla corrente, abbiamo affrontato guadi di acqua avvelenata, intricati sentieri di rovi carnivori e il pericoloso Gorgo di Sottoponte, per uscirne indenni e ricevere aiuto da due giovani cavalieri del fiume, che ci hanno gentilmente riaccompagnato al campo con le loro cavalcature senza sella.

Dopo una buona pizza e qualche bacio, siamo tornati a prendere la canoa laddove l'avevamo abbandonata dopo la poco assennata discesa, accompagnati da mille risate e altrettante realtà alternative che si snocciolavano dalle nostre labbra affamate di fantasia e avventure.

Il giorno dopo, per chiudere degnamente, ho persino ricevuto in dono da un vecchio druido traghettatore due pagaie in legno che potrebbero avere l'età del mondo e che luccicano al solo sentir parlare di fiumi. Mi stupirei se tra le loro venature non celassero un qualche sortilegio per il Dominio dell'acqua.













martedì 29 aprile 2008

Happiness suggestions


Quando si cresce con Leopardi, Schopenhauer, Vasco, Einstein e Isaia come confratelli è difficile mettersi a scrivere qualcosa, se al momento si è fondamentalmente felici e soddisfatti.

La malinconia di fondo dei marinai di foresta sparisce, davanti ad un week-end intenso e meraviglioso come quello che ho appena vissuto. Perchè mentre il Benamato Paese scendeva sempre più la china, posso dire di aver passato senza dubbio il più bello e significativo fine settimana del 25 aprile degli ultimi anni.

Un finesettimanalungo fatto di grandi discussioni filosofico-politiche, patimenti emozionali e sentimentali, chiacchiere leggere, baci spinti e carezze affettuose, ma anche di canti collettivi e struggenti, visite a sorpresa in mezzo a vigneti sperduti, piccole diatribe sugli amori trascorsi, spanciate clamorose a suon di crema di nocciola, birra, pizza, salame e zuppa di pane e uova, bagni in fiume, camminate nei boschi in visita ai leprotti e ai fagiani, e lunghe passeggiate in almeno 4 città diverse. Tutto senza accorgersi del tempo che scorreva e dello spazio che viaggiava.

Insomma, una vita e mezza condensata in 3 memorabili giornate.
Dedicate a chi le ha vissute con me a strettogiro.
Al 100per100.
Proprio come siam capaci noi.

giovedì 24 aprile 2008

Meraviglie liberate


C'era questa quercia, ieri, che pendeva dall'argine del fiume. Inclinata come volesse bere o lavarsi le fronde nell'acqua ferma, tanto da tirar fuori le radici dal terreno. E molte sue foglie, verdi e giovanissime, sfrioravano la superficie lasciandosi carezzare dalle piccole onde del vento.

E c'era questo sole, ieri, che filtrava tra i rami e colpiva le onde. Rimandando i suoi raggi sotto la chioma della quercia. Lì mi sono seduto, sulla riva vicino alle radici sradicate, a guardare le trote saltare, meravigliandomi del silenzio e della luce portati dal vento.



Nel frattempo si è aperta la stagione dei Sentieri d'Acqua sul Fiume Azzurro, con le prime due discese in gommone, con qualche marmocchio eccitato all'idea di sobbalzare sulle onde e battagliare a suon di cannonate d'acqua con i professori. Si è anche aperta la stagione dei bagni in fiume. Il primo tuffo del mese ha fatto scorrere l'acqua gelida tra le pieghe della muta, e la limpidezza della risorgiva si è materializzata in una vivida sensazione di freddo acuto.

Questa mattina ho chiuso una piccola serie di lezioni in classe, a Città Grande di Nebbiascura. I ragazzi della cascina erano interessati a conoscere la filiera bosco-legno, per capire bene che cosa volesse dire sfruttare il governo di un bosco in modo rinnovabile al fine di produrre energia in maniera alternativa ai combustibili fossili. Credo proprio di esserci riuscito.



Ora mi preparo a festeggiare una Liberazione coi fiocchi. Faccio rotta per Città dei Vicoli, dove mi attendono a braccia aperte dolci coccole e fresche risate. E domani con un gruppo di altri 30 squinternati, ci sposteremo poco più a nord dei monti che circondano la città per partecipare ad una giornata collettiva di pranzi, danze, giochi e rotolate sui prati.

Per ricordarci per che cosa hanno combattuto i nostri nonni e i nostri padri, e per che cosa hanno sofferto le nostre nonne e le nostre madri. E viceversa.

Buona Liberazione, marinai e marinaie.

E ricordate: il lavoro per vivere, non la vita per lavorare.

E ancora: viva l'antifascismo intimo, cosciente e consapevole.