
La retrospettiva della fantasiosa vita di un educatore-geografo, un po' nomade e un po' no.
"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari
martedì 30 agosto 2011
Attraverso

venerdì 18 giugno 2010
Di fiumi, baci e mari lontani
giovedì 24 dicembre 2009
Nella Casa delle Coccinelle

L’avevano chiamata La Casa delle Coccinelle perché c’erano le coccinelle. Erano in tre e se ne stavano rintanate per l’inverno sotto vecchie tende e vecchie coperte in quella vecchia casa.
Le coccinelle erano saltate fuori svolazzando, quando i nuovi inquilini - pretendendo di rinnovare l'ambiente - le aveno accidentalmente distolte dal loro sonno. Imbufalite per il disturbo, avevano subito fatto capire che da lì non se ne sarebbero andate tanto facilmente.
Una aveva occupato l’ultimo piano della libreria, minacciando di volersi buttare giù. Un’altra s’era messa proprio di fianco al frigo, e intimava che se l’avessero sfrattata si sarebbe lasciata morire di freddo buttandosi nel congelatore, la prima volta che lo si fosse lasciato aperto. L’ultima aveva scelto di nascondersi tra gli scatoloni del trasloco al grido di:
Il-nuovo_che-avanza_ti-cambia-copriletto?
Tu_ Coccinella_Su!-fagli-lo-sgambetto!
Insomma, sembrava proprio che da lì non volessero schiodarsi. Erano tre, ma facevano più casino degli operai FIAT quando occupano la Milano-Laghi fuori da Arese. Così, la direzione degli inquilini si decise a mandare avanti un delegato per avviare una trattativa.
Le coccinelle però avevano inteso che quella era solo una manovra degli invasori, e mandarono a monte gli incontri.
Com’è noto, le coccinelle per comunicare usano i gesti, ma non come gli umani che gesticolano con le mani, la testa e a volte le dita: loro gesticolano con le ali, sei zampe, due antenne e quei bellissimi gusci pieni di pois che racchiudono le ali. Una trattativa di quella portata, tuttavia, avrebbe necessitato incontri tête-à-tête: chiamandole a trattare una per volta finiva che quelli le avrebbero messe una contro l’altra, e non avrebbero potuto nemmeno mollare i rispettivi presidi, che sarebbero subito caduti nelle mani del Nemico Invasore.
Insomma, gesticolando, le coccinelle si convinsero che era il momento di provare il tutto per tutto, e optarono per il modello francese. Col favore delle tenebre, abbandonarono in silenzio i loro presidi e si ritrovarono svolazzando in mezzo al salone. Si misero in formazione d’attacco silenzioso e ronzarono all’unisono fino alla stanza da letto principale. Laggiù dormiva l’Invasore.
Entrate nella stanza, le coccinelle schiantarono la porta alle loro spalle. Il clangore spaventevole svegliò di soprassalto l’Invasore che dormiva impunito. Compagne, addosso! Le coccinelle si avventarono su di lui intimandogli Nel nome del diritto alla casa, del diritto al sonno, del diritto all’asilo politico contro il Generale Inverno, ti prendiamo in ostaggio fino alla tua completa e incondizionata resa!
Immobilizzato nelle coperte dalle tre coccinelle per una notte intera, l’Invasore non potè più nulla. Anzi, le sue grida richiamarono ragni e cimici, che si sporsero sospettosi dai loro buchi e si avvicinarono più sicuri quando capirono che cosa stava succedendo. A quel punto, l’Invasore capitolò e riconobbe il valore dei Diritti Inalienabili delle Coccinelle e degli Esseri a più zampe, sottoscrivendo il Trattato di Convivenza che ancora oggi prevede la libera circolazione degli esseri a due o più zampe all’interno dei locali e nelle immediate vicinanze del balcone.
Fu allora che la chiamarono La Casa delle Coccinelle. E il nome rimase.
giovedì 17 dicembre 2009
Una passeggiata Oltremanica

Avrebbe preso un treno e poi la metropolitana, deciso ad arrivare dove doveva in meno di 30 minuti e poi godersi la mattina in un turbine di novità da riempire anima e stomaco.
Diavolo, avrebbe camminato. Avrebbe tagliato per le passeggiate lungo i canali, avrebbe attraversato i parchi e avrebbe ispezionato vicoli e stradine adornate di muri con mattoni a vista. Non reggeva quell'ammasso di gente accalcata dappertutto. Sui treni, sugli autobus, nelle vie principali, dentro i fastfood, sotto le scale, nei tombini, dietro le insegne pubblicitarie, accanto ai lampioni, lungo il fiume, sui barconi, sopra e sotto i ponti. Pienone ovunque.
Via, via, nervoso e fastidio.
Via dalla gente, cerchiamo un po' di respiro.
Fortunatamente l'aria era fredda e pungente, e il sole non si alzava troppo oltre l'orizzonte. Ne apprezzava il calore che colpiva la giacca e gli scaldava le braccia.
Aveva abbandonato i mezzi di trasporto in una zona imprecisata del conglomerato urbano e - stando alla carta da viaggio - c'era la possibilità di tornare a casa facendo un giro lungo una decina di ore, senza il rischio incrociare nemmeno mezza bionda con tacchi ai piedi, cagnolino al seguito e borse dei regali zeppi di cianfrusaglie dai costi inverosimili sottobraccio.
Aveva staccato il cervello dagli occhi, dalle orecchie e dal naso. Lo aveva messo in collegamento diretto coi piedi. Impegnativo, ma altamente gratificante. Aveva sentito la suola delle sneakers lavorare in sintonia con l'asfalto. Erano scarpe vecchie ma affidabili: ne ebbe la conferma qualche tempo dopo, quando piedi e gambe abbandonarono l'asfalto per calpestare erba, fango e foglie morte.
Fino ad allora, il respiro si era fossilizzato dietro al petto. I polmoni andavano con ansia, come i vecchi pistoni di un treno a vapore, sfiatando ad ogni passo in sintonia con l'andazzo delle braccia e delle spalle. Non appena piedi e gambe avevano abituato il passo al fango e all'erba, anche il respiro era cambiato. Era sceso fin sotto la pancia, allargandola e spingendola con delicata ingordigia, regolando il battito del cuore, ammazzando l'ansia, facendo tornare in vita l'olfatto. Troncando ogni sbuffata e trasformandola in una strana soddisfazione.
Il ragazzo si trovava in un qualche cimitero, pieno di lapidi sverze e sbilenche, immerse in una vegetazione selvaggia e incontrollabile: rovi, rampicanti, edere ormai capaci di soverchiare anche la più alta quercia, anche il più robusto faggio, capaci di penetrare nei mattoni della cappella nel mezzo di quel labirinto di ricordi affettuosi, come a dire che Dalla terra alla terra è un viaggio senza fine.
Dal cimitero era passato in un qualche pertugio del muro, diretto ad un passatoio accanto al canale nascosto là dietro. Dal ballatoio sopra l'acqua era passato attraverso un paio di scatole di cemento - quasi di corsa - per poi ritrovarsi sperso in uno dei prati più grandi e belli che avesse mai visto. L'orizzonte lo inscatolava, certo, ma prima di battere il muso su una di quelle pareti sarebbero passate delle ore. E questo poteva bastare.
Camminando, si portò nel centro della prateria collettiva. Il vociare lontano di bambini, cani, mamme e innamorati non poteva recargli danno: erano schiamazzi simili al canto dei parrots, al rosicchiar di ghiande degli scoiattoli, al picchiettare schietto e sincero delle cince sui rami più ricchi di insettini golosi.
Lì, nel centro della prateria, il ragazzo si sedette sotto un castagno. Una pianta enorme, che portava nel legno il lavorio paziente di secoli e secoli. Torsioni, flessioni, imbarcamenti, pressioni radicali e ramificanti: una muta tenacia, uno sforzo indicibile ed invisibile che ciclicamente tornava dal mondo nel mondo, senza fermarsi mai.
Sotto il castagno il ragazzo si sentì finalmente in pace.
Il ragazzo era in cammino dalla mattina, qualche ora prima. Era partito da Londra, si era spostato in Abruzzo, aveva visitato i boschi in Svezia, il giardino storico di una villa a Città dei Vicoli, il suo amato Fiume Azzurro ed era tornato a casa.
lunedì 16 novembre 2009
Strane assonanze
Anche in giro per il mondo ho qualche fratellino e sorellina.
Insomma, quel genere di fratelli e sorelle
e ti rimangono attaccati come fossero parte della tua ombra,
mercoledì 8 luglio 2009
Respiro
martedì 31 marzo 2009
e se l'anima
giovedì 26 marzo 2009
Valle degrado
Se dalle nostre parti dite Olona!, i nasi si accartocciano, le mani salgono come durante una rapina e la testa si scuote come sotto una secchiata d'acqua gelida.
Quella stessa industrializzazione che, spostata la produzione in posti che possono ancora essere inquinati senza un gran bisogno di danari, ha lasciato dietro di sé scheletri architettonici e sociali.




venerdì 28 novembre 2008
Attese bianche
lunedì 17 novembre 2008
A passeggio con la Duchessa
Venuta a visitare la mia nuova tana, non potevo tenerla allo scuro delle meravigliose bellezze del fiume che corre a poche centinaia di passi dalla Grande Arca, incagliata su una collina probabilmente a causa di una qualche piena ancestrale finita piuttosto repentinamente.
domenica 2 novembre 2008
Palato allo zenzero

lunedì 22 settembre 2008
Una voce, sottile...

lunedì 8 settembre 2008
Al giro di boa

domenica 31 agosto 2008
Di risate e ali spezzate

Indossando Stivali delle Sette Leghe e valicando in quattro balzi le prealpi di Città Primadeimonti, per ritrovarsi nella piana di Nebbiascura e poi su monti alle spalle della Città dei Mattoni.
Ma saltellando felici e incoscienti per la campagna, si fa anche in tempo a calpestare qualcuno che non meriterebbe altro dolore, ma solo quiete.
giovedì 28 agosto 2008
Big Jim goes to Sweden
Riuscire a tradurre in parole quasi un mese di camminate in completa o semi-completa solitudine è qualcosa di poderoso. Per cui dovrò cominciare, e sperare di finire in un modo o nell'altro.
Da piccolo avevo un solo, grande eroe.
Big Jim.
E non era per i muscoli o per le mutande rosse o per il pulsantone sulla schiena.
E non era nemmeno per gli amici con i quali lottava contro le spie nemiche e il Professor Obb.
Era per i piccoli dettagliatissimi equipaggiamenti che disponeva.
Quei piccoli kit da comprare separatamente, che lo trasformavano in Big Jim Cacciatore, Big Jim Sommozzatore, Big Jim Astronauta, Big Jim Cow Boy.
Non che ne avessi uno preferito. Li adoravo tutti.
Adoravo come le piccole pistole si infilassero nelle mani di gomma.
Adoravo i disegni sui pannelli di cartone degli edifici, del camper e dell'elicottero.
Adoravo gli stivali, i pantaloni e le giacchette.
Adoravo i cappelli.
Ecco.
C'è stato un attimo, in queste giornate, nel quale il sole ha deciso di bucare le nubi e inondarmi gli occhi. E proprio in quell'attimo, mentre l'acqua del Klaralven scivolava tranquilla, mi sono reso conto che era come se mi avessero calato in una grossa scatola dei giochi e mi avessero detto Ecco, ora sei Big Jim Canoista. Sei Big Jim Canoista e hai canoa, pagaia e salvagente. Ma anche baracchino per cucinare nella tormenta, bidoni stagni, razioni per giorni e giorni, tenda, materassino e - soprattutto - piccola vanga tuttofare. Oltre ovviamente ad un poncho contro la pioggia e un nuovo cappello a tesa larga - da abbellire con qualsivoglia penna d'oca.
Mi sono spostato verso nord-ovest e sono passato per
Ed era decisamente tempo che lo facessi.
Non che andasse fatto prima, ma adesso.
Un ringraziamento speciale va a Ilse, i ragazzi dal Belgio, Mbabi, Anders, Natasha, Lawrence, i ragazzi di Londra che si sono incidentati in canoa, Marco e Franziska, Bijorn, Lisa e Joanna.
A casa

È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
e grande come la nostra fortuna
la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.
È una notte in Italia che vedi
questo darsi da fare
questa musica leggera
così leggera che ci fa sognare
questo vento che sa di lontano
e che ci prende la testa
il vino bevuto e pagato da soli
alla nostra festa.
È una notte in Italia anche questa
in un parcheggio in cima al mondo
io che cerco di copiare l'amore
ma mi confondo
e mi confondono più i suoi seni
puntati dritti sul mio cuore
o saranno le mie mani
che sanno così poco dell'amore.
Ma tutto questo è già più di tanto
Più delle terre sognate
Più dei biglietti senza ritorno
dati sempre alle persone sbagliate
Più delle idee che vanno a morire
senza farti un saluto
Di una canzone popolare
che in una notte come questa
ti lascia muto.
È una notte in Italia se la vedi
da così lontano
da quella gente così diversa
in quelle notti
che non girano mai piano
io qui ho un pallone da toccare col piede
nel vento che tocca il mare
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.
È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
che è poi la fortuna di chi vive adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.
Questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.

venerdì 25 luglio 2008
Elaborazioni
Ma si è chiusa anche la stagione degli sguardi dei bimbi, delle loro lacrime e dei loro sorrisi, dell'impegno, delle energie incanalate in qualcosa che frutti e che faccia crescere, delle esperienze condivise, delle litigate costruttive, delle spanciate al ristorante, dei genitori in lacrime perchè non si aspettavano una tale partecipazione del figlio, dei giochi di ruolo che strappano ragazzi e ragazze dal computer, delle risate sotto gli alberi, dei bagni in fiume, del relax in riva al lago a parlare per ore dopo il lavoro - fino a vedere il sole al limitare degli alberi.
Si è chiusa una stagione intensa e produttiva, tenace e vigorosa, sfiancante e provante. E - soprattutto - vissuta fino in fondo. Al 100%.
Ora, si bradipa.
A modo mio.
lunedì 2 giugno 2008
La svezia dietro casa


martedì 29 aprile 2008
Happiness suggestions

Quando si cresce con Leopardi, Schopenhauer, Vasco, Einstein e Isaia come confratelli è difficile mettersi a scrivere qualcosa, se al momento si è fondamentalmente felici e soddisfatti.
La malinconia di fondo dei marinai di foresta sparisce, davanti ad un week-end intenso e meraviglioso come quello che ho appena vissuto. Perchè mentre il Benamato Paese scendeva sempre più la china, posso dire di aver passato senza dubbio il più bello e significativo fine settimana del 25 aprile degli ultimi anni.
Un finesettimanalungo fatto di grandi discussioni filosofico-politiche, patimenti emozionali e sentimentali, chiacchiere leggere, baci spinti e carezze affettuose, ma anche di canti collettivi e struggenti, visite a sorpresa in mezzo a vigneti sperduti, piccole diatribe sugli amori trascorsi, spanciate clamorose a suon di crema di nocciola, birra, pizza, salame e zuppa di pane e uova, bagni in fiume, camminate nei boschi in visita ai leprotti e ai fagiani, e lunghe passeggiate in almeno 4 città diverse. Tutto senza accorgersi del tempo che scorreva e dello spazio che viaggiava.
Insomma, una vita e mezza condensata in 3 memorabili giornate.
giovedì 24 aprile 2008
Meraviglie liberate

Nel frattempo si è aperta la stagione dei Sentieri d'Acqua sul Fiume Azzurro, con le prime due discese in gommone, con qualche marmocchio eccitato all'idea di sobbalzare sulle onde e battagliare a suon di cannonate d'acqua con i professori. Si è anche aperta la stagione dei bagni in fiume. Il primo tuffo del mese ha fatto scorrere l'acqua gelida tra le pieghe della muta, e la limpidezza della risorgiva si è materializzata in una vivida sensazione di freddo acuto.
Questa mattina ho chiuso una piccola serie di lezioni in classe, a Città Grande di Nebbiascura. I ragazzi della cascina erano interessati a conoscere la filiera bosco-legno, per capire bene che cosa volesse dire sfruttare il governo di un bosco in modo rinnovabile al fine di produrre energia in maniera alternativa ai combustibili fossili. Credo proprio di esserci riuscito.
Per ricordarci per che cosa hanno combattuto i nostri nonni e i nostri padri, e per che cosa hanno sofferto le nostre nonne e le nostre madri. E viceversa.
Buona Liberazione, marinai e marinaie.
E ricordate: il lavoro per vivere, non la vita per lavorare.
E ancora: viva l'antifascismo intimo, cosciente e consapevole.