"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


giovedì 31 gennaio 2008

Di avangambe, pitagorici e pesciolini


Nei giorni dedicati alla Luna e Marte sono passato a trovare l'angelo bebop, nella sua dimora sui tetti di Città Dei Mille Colonnati.

Due giorni forse non adeguati alle visite di cortesia ed affetto (l'uno tipicamente altalenante, l'altro tipicamente guerrafondaio), ma sicuramente carichi di parole, sguardi e piccoli sberleffi.

Se dovesse capitarmi di incontrare un angelo, d'ora in avanti dovrò ricordarmi di citare - elogiandolo - il suo avangamba, senza giammai provare ad accarezzarlo, a meno che non voglia ritrovarmi sventagliato di buffetti formato famiglia. Quando un angelo vuol farsi intendere, è bene mettersi al riparo.

Comunque, ci tengo a precisare che quest'angelo non ha bisogno di nulla e di nessuno, nè di sentirsi dire che cosa deve fare nè di gridare brutte cose in faccia ad un mondo che non la vuole com'è. Sono con te, angioletto!


Al rientro da Città Dei Mille Colonnati, non riuscendo a stare fermo a filosofeggiare, ho creduto opportuno filosofeggiare in movimento.

Così, dopo una notte nella vecchia casa di legno in mezzo a boschi, ho levato l'ancora e fatto rotta verso Città dei Vicoli, ove una sparuta e malassortita compagnia di Pitagorici sta aspettando ch'io metta la parola fine alle trattative e mi decida a spostare cavalli, armamenti e bagagli nella loro stamberga.

Ora, non è ch'io abbia qualcosa contro i Pitagorici: men che meno contro questi pitagorici, che si sono rivelati amorevoli compagni di scorpacciate di formaggi e mieli da collezione, nonché bevitori sopraffini. Purtroppo il vil danaro e la mia concreta, gretta, grebana pellaccia d'orso non mi permettono di siglare l'accordo come predetto dagli aruspici.

Resta da risolvere che io, a Città dei Vicoli, per un pezzo dovrò far dimora.

Fortuna che in mio aiuto è venuta una pesciolina dell'Isola Tricuspide, che - per spirito di sacrificio e abnegazione nei confronti d'una Congregazione di cui facciamo parte - ha acconsentito a divider con me alcuni dei suoi pagliericci, in via temporanea e garantendole che non supererò mai le tre notti filate (nonché le dovute distanze).

Con l'inizio del mese più corto cominceremo lo spostamento, e vedremo che cosa accadrà.

Intanto stasera si cavalca di nuovo verso gli amati boschi, e il giorno del Sole sarà dedicato al Grande Fiume Azzurro. Finalmente.

mercoledì 30 gennaio 2008

Crepuscoli



Il momento delle scelte è un momento pieno di crepuscolo.

Si sa solo che un giorno finisce, senza che si abbia la benché minima idea della notte che incombe.

Quello che si ha negli occhi e nel cuore è la vasta immensità di un sole caldo e gentile che scende, e accende il cielo di una vita di colori pastello. E si pensa volentieri al pomeriggio, passato a rotolarsi sul prato, o alla mattina, con gli occhi meravigliati su un giorno che stava nascendo.

E si resta lì, un po' attoniti: come davanti al mare, alle nuvole di cotone e alla porta di casa dopo un viaggio durato troppo o ancora da cominciare.

Si stringono i pugni, si stringono gli occhi, si stringono i denti. Si stringe il cuore. Nella speranza che avendo scelto arrivi anche il momento in cui la tensione cali e i muscoli contratti esplodano di soffice tranquillità.

Il momento in cui si china il capo, si stacca una foglia dall'albero a fianco, e si muove il primo passo.

domenica 27 gennaio 2008





I cambiamenti arrivano quando meno ve lo aspettate.

E per quanto bravi siate a cambiare dimora tutte le notti, qualcosa vi seguirà sempre sotto il cuscino.

Dormite sodo, cari compagni di viaggio,
perchè il sole domattina vi guarderà dritto nel petto.


E al sole, come al cuscino, non si nasconde nulla.




giovedì 24 gennaio 2008

Interrare



Se sei una pianta da vaso, abituata ad essere spostata per il giardino, o da un davanzale all'altro, pensare di metter radici da qualche parte fa sempre un po' paura. Specialmente se "qualche parte" è fuori dal tuo giardino - sempre che tu ne abbia mai visto uno.

Tempo fa mi sono imbarcato in un'avventura che non sapevo quali esiti potesse dare, e che ora meno che mai mi offre risposte per il futuro. Solo speranze. E domande.

Ma è allora che ho cominciato ad accarezzare l'idea che Città dei Vicoli non sia solo un posto per viandanti che sanno guardare oltre, una testa di ponte sul mondo o un rifugio per marittime tempeste. No, non solo questo... ma anche un posto dove piantare le tende, un nuovo campo base, una fortezza dalle mura imprendibili, un porto sicuro dal quale partire con bastimenti, vivande e cavalli.

E questa idea mi si è accoccolata in grembo come fa la mia fedele gatta, col suo muso bicromatico che si struscia tra le dita ruvide.

Già...

è un po' che l'accarezzo...

E poi, non sono mica una pianta da vaso, io...

martedì 22 gennaio 2008

Dagli abissi



Mi aspetta una passeggiata che dagli abissi marini mi riporti a galla, tra pinguini, delfini, squali e tartarughe.

Mi sentirò un piccolo Capitano Nemo, in un Nautilus che non è il mio, accompagnato da un personalissimo Pierre Arronax. Mi manca solo un prodigio di Ned Land a fiocinare i disturbatori.

Una sola grande soddisfazione, il sorriso dei bimbi che verrano con me.
Ah, già... e la stretta di mano dei papà, che in questi casi nasconde sempre una lacrima.

Da veri uomini.

La casa della lumaca


Di nuovo in cammino, oggi.
Di ritorno, in partenza.
Con la sacca mai pronta, e i vestiti raccolti da stesi che sono ancora quasi umidi.

Come fa la lumaca a fare il bucato?
Voglio dire, se la sua casa se la porta sempre a spasso, come fa?
Si ferma un paio di giorni e si attacca a qualche stelo d'erba?
Ha un essicatore incorporato? Ha un ferro da stiro ultrafox turbo?
O un asciugacapelli con un diffusore per il cotone e uno per la lana?

Perchè, diciamocelo, non è che la lumaca sia una poco di buono.
Io la conosco.
E' una tipella a modo, forse alla mano e vestita comoda, ma mai una volta che puzzi.
Sempre così pacata, amichevole, mai un capello fuori posto.

E allora quale sarà il secreto della casa della lumaca?

venerdì 18 gennaio 2008

Via, via... vieni via con me...

Domani in cammino ancora.
E questa sera il bagaglio non è pronto.
E nemmeno io.
Così mi piace...

Intanto rendo omaggio a quella che spero sia una ritrovata amicizia.

Quella tra un marinaio mai abbastanza cialtrone e un pingitore di mondi (im)possibili mai troppo ciarliero.




(illustrazione di Mattia Ottolini)









giovedì 17 gennaio 2008








Sono un orso, perché sono grande e grosso e mi muovo scuotendo gli alberi, mi gratto la schiena come posso e dove posso, e non so mai bene se mi sto comportando come si deve, ma sempre e solo come mi viene.

Sono una formica, perché lavoro sodo e corro in giro: senza una parvenza di meta, zampetto a destra e a manca portando carichi mille e mille volte più grandi di me. Eppure corro, giro e ricorro. Non una formica regina, mille formicai.

Sono un bradipo, perché mi prendo i miei tempi, perché per far scoppiare i piedi, le mani, gli occhi e il cuore c'è sempre tempo. Perchè è bello starsene appesi ad un ramo e vedere gli orsi e le formiche che corrono e si grattano la schiena.

Un po' di zucchero, Come il sole all'improvviso...

Nel mondo io camminerò
tanto che poi i piedi mi faranno male
io camminerò un'altra volta

E a tutti domanderò
finché risposte non ce ne saranno più
io domanderò un'altra volta

Amerò in modo che il mio cuore
mi farà tanto male che
male che come il sole all'improvviso
scoppierà, scoppierà...

Nel mondo io lavorerò
tanto che poi le mani mi faranno male
io lavorerò un'altra volta

Amerò in modo
che il mio cuore mi farà tanto male che
male che come il sole all'improvviso
scoppierà, scoppierà...

E nel mondo tutti io guarderò
tanto che poi gli occhi mi faranno male
ancora guarderò un'altra volta

Amerò in modo
che il mio cuore mi farà tanto male che
male che come il sole all'improvviso
scoppierà, scoppierà


... Nel mondo io non amerò tanto che poi
il cuore non mi far male...

Apparizioni





Questa sera un angelo mi ha parlato.

Uno di quegli angeli che tornano quando meno te lo aspetti, ma sempre al momento opportuno. E che, in un modo o nell'altro, sanno ascoltare, sanno parlare e soprattutto sanno farti le domande giuste al momento giusto.

Un angelo un po' funky e un po' rock. Decisamente un po' bebop.
Non che porti i jeans a risvolto o il ciuffo a banaba, no... Ma nelle ali conserva una musica tutta sua: calma il cuore come un infuso al miele negl'inverni più nevosi o lo riscalda al suono di risate cristalline e battute pungenti.

Una parola, una carezza, una risata.
Senza pretese.



Ci sono momenti in cui uno sa di essere fortunato.

mercoledì 16 gennaio 2008

come stai, tu?






Hai presente Indiana Jones quando scambia la statuetta maledetta con il sacco di sabbia, rimane immobile e attonito per qualche secondo a vedere la meraviglia della sua opera e poi il tempio crolla e lui deve mettersi a correre come un ossesso per non essere travolto dall'enorme masso che incombe?






Ecco.







lunedì 14 gennaio 2008

Conoscevo una fata dai piedi nudi



Sono rientrato.

La mia polverosa dimora mi aspettava come un gatto vicino al camino. Al caldo e senza alcuna fretta.

Sul tavolo di legno, accanto alle tazze e alle candele, ho trovato una lettera della Fata della Neve.

Una vera e propria pergamena, di quelle sigillate con la ceralacca e scritte con le piume delle oche intinte nei calamai. Raro. Inaspettato, quantomeno.

La letterina è accompagnata da un disegno, a matita. Io che incido un tavolo in un vecchio casone di montagna, anni fa. Davanti a me è seduta, minuscola, una dolce signorina dai capelli corvini, tanto cara a me e alla Fata.

Lo ricordo bene, quel disegno. E ricordo la Fata della Neve intenta mentre tracciava linee sottili di luci e ombre.

Nella lettera mi chiama Orso Saggio. Come durante quelle torride giornate alla Casa Del Cervo, di ritorno dalle passeggiate mattutine a piedi nudi, lungo i sentieri e nei torrenti.

Spera che un giorno, per un caso del destino, quel casone e quel tavolo in legno ci rivedano seduti assieme, a parlare delle avventure del giorno, degli orsi che ci hanno salutati l'anno prima alla partenza e dei camosci che non siamo riusciti a veder partire.

Lo spero anch'io, mia cara Fata.
Con tutto il cuore.




venerdì 11 gennaio 2008

Domino





Oggi è una giornata triste.

Per tre motivi.

Chiedeteli all'eremita del grande albero.

Io mi sistemerei volentieri il cappello in testa e partirei, con gli occhi bassi.

Pensando che, in fondo, se piove a dirotto me lo merito.

mercoledì 9 gennaio 2008

Vicoli



L'ennesimo viaggio verso Città dei Vicoli. A cavallo, anche questa volta: niente carrozza, si viaggia leggeri nella nebbia e nella pioggia. Il freddo sulle spalle, gemello dell'umidità che s'attacca ai piedi e intorpidisce le mani, lo terrò lontano dal volto e dalla testa con la benda calata sul naso e la bocca: mi scalderò come il bue scaldava la culla. Il cappello, saldo a coprire un filo lo sguardo, e il bavero di panno pesante alzato chiuderanno l'inverno fuori dai miei pensieri.

Città dei Vicoli è magica perché, da fuori, non la puoi vedere. Si nasconde dietro altissime muraglie cammuffate da pendii montuosi e strapiombi a picco sul nulla, spogli d'ogni vegetazione e impenetrabili all'occhio dei viandanti. Laggiù, nel fondo, righi di acqua malcilenta sembrano essere stati calpestati da chissà quale strana specie.

Ci si arriva dall'alto: le vie d'accesso bucano i monti alle sue spalle aprendo un varco all'enorme lago che giace ai suoi piedi. Ma Città dei Vicoli non si vede. Si mimetizza nel fianco della montagna e lascia che lo sguardo le passi accanto, quasi lo spinge via, verso il lago che rumoreggia più in basso.

E' piccola, Città dei Vicoli, e forse si nasconde bene per questo, dietro la sua facciata chiusa e riluttante. Nuda roccia accatastata come se una natura beffarda avesse deciso di gettare dei blocchi scolpiti a rotolar giù dai fianchi dei monti: chi crederebbe mai che là sotto si nasconde, in realtà, una geometria di spazi che si ripiegano in quattro dimensioni, dilatando ogni paesaggio una infinità di volte e rendendo impossibile ogni primo tentativo di orientamento?

Ma esiste, Città dei Vicoli. Uno strazio è lasciarla, così come è dolce il viaggio che mi porta di nuovo a visitarla e ad affondare le dita dentro la sua labirintica materia. Esiste così come esistono le persone che la intrecciano, la ricostruiscono, la violentano quotidianamente con le loro esperienze.

E' un posto dell'anima, Città dei Vicoli. Dove il cuore e il corpo e la mente si ritrovano a vagare soddisfatti della propria erratezza, mentre si fondono ad ogni tocco con quell'ammasso di carne e volontà che le è proprio, con quella esperienza vecchia e umida che trasuda dal lastricato che appare una volta passate le finte difese, ch'ella s'impone per tenere lontani i viandanti.

Una volta cadute le mura, Città dei Vicoli ti sorride, e ti abbraccia. Per non lasciarti mai più.

Se non per costringerti a tornare.

Ancora e ancora.











Il pensiero della complessità, dunque, è l'errare, nel duplice e ambiguo senso del camminare e del mancare la meta.







Bianca Spadolini, "Edgar Morin, o della nostalgia dell'errante", introduzione a E. Morin, Educare alla complessità.












Scala a chiocciola



In Australia, quel giorno, stava arrivando il tramonto.

Avevamo corso una folle gara contro la luce che svaniva, per arrivare sotto l'enorme albero giusto in tempo perchè le fronde si colorassero di scuro mentre il cielo esplodeva in una tenue, velluatata, kermesse pastello.

L'enorme albero era stato fornito, da qualche guardiano buontempone, di tondini di acciaio: di quelli che si vedono spuntare dal cemento armato in prossimità di qualche edificio abbandonato dell'edilizia popolare dei favolosi '70. Questi gradini di ferro correvano lungo la corteccia alla distanza di circa un passo, con un rialzo di almeno una spanna e mezza. Ce ne saranno stati un'infinità di mille.

Salivano e si inerpicavano, permettendo a chi ne avesse la pelle di trasformarsi per una buona mezz'ora in un simulacro d'edera e arrantolasi fino alla chioma gigante.

Lassù, sua maestosità l'albero gigante era stato provvisto di una piattaforma rinforzata con tanto di ringhiera mimetica in legno e ferro. Vi si arrivava attraverso un comodo pertugio nel fondo. Una capanna alla Crusoe in stile ludico-ricreativo: senza tetto, piazzata sopra il più alto tronco verde di tutta l'Australia dell'Ovest, nelle colline della zona di Margaret River.

Sono arrivato lassù eccitato, sudato e meravigliato.

1h, 17' e qualche secondo.
Tanto c'è voluto perché mi riprendessi e mi accorgessi di dove mi trovavo.

Tornato alla botola, guardati i tondini che non celavano affatto l'altitudine, e provato quel senso di impotenza da vertigine che attanaglia lo stomaco e tutto quello che si trova negli immediati dintorni, ho fatto voto di non scendere mai più.

Sono diventato l'eremita del grande albero.
Passate a trovarmi. Adoro i cookies secchi, il caffé solubile con zucchero alla vaniglia e conosco la verità sul mistero del Santuario del Saltafosso a Tiblisi.
Vi cambierò la vita.

lunedì 7 gennaio 2008


C'è stato un passo oltre il confine:
ho visto dove finisce il mare
e comincia la foresta.

Scendere negli inferi dell'anima





Sono sceso negl'inferi dell'anima.
Giù a fondo, per guardare negli occhi i miei demoni irrequieti, che scalciano e urlano e mi prendono di sorpresa quando penso ad altro.

Sono sceso negl'inferi dell'anima, cantando e ballando, in cerchio.
Stringevo dita e sfioravo capelli, una luce saliva dalle mie mani e prendeva forma nell'aria. Una coda di balena, una sfera da fattucchiera. E io la muovevo, ne facevo scintille da regalare all'universo, neanche fossero stelle novelle.

Sono sceso negl'inferi dell'anima. Ho smosso qualcosa che avevo sigillato.
Una porta, un baule, un libro, perfino. Non qualcosa di polveroso, no. Qualcosa che tenevo ben da conto, ben nascosta, per paura di guardarci dentro. Di guardarci attraverso.

Sono sceso negl'inferi dell'anima. E mi sono liberato.
Per giorni ho vagato con l'animo espanso, che inglobava le persone appena si facevano vicine.
E più ne avvicinavo, più ne volevo vicine. Troppo.

Sono sceso negl'inferi dell'anima. E sono cambiato.
Le barriere che avevo sono state allontanate, tanto da non essere quasi visibili. E il controllo che mi rinchiudeva non c'è più. Al suo posto una ferma presa di coscienza, una consapevolezza espansa, ulteriore, vivida delle mie possibilità.

Sono sceso negl'inferi dell'anima. E sono tornato.

Luoghi della memoria, luoghi della vita



Ci sono luoghi che non si scordano mai, luoghi che vorresti non aver mai visto, luoghi dai quali non puoi uscire e luoghi che ciclicamente tornano ad essere necessariamente visitati.


Il mio luogo ciclico sono le sponde di un fiume, e un sentiero, che taglia l'ansa del serpente azzurro per il lungo, creando un passaggio nel tempo e nello spazio, una bolla di fantasia nella quale io sono come sono e nient'altro.


Sono un piccolo bambino che gioca ad essere un cavaliere, che percorre una intricata via della salvezza in nome di tutte le cose buone e meravigliose che ci sono nel mondo. Sempre pronto ad affrontare chissà quali demoni e a farsi rivelare chissà quali verità dalla Grande Quercia e dagli spiriti del bosco.


Sono un ragazzo che si sdraia su un letto di sabbia che non dovrebbe essere lì, sabbia fine nascosta nel bosco lungo un vecchio ramo secondario del fiume, sabbia fresca e bagnata anche in piena canicola, sabbia che ha visto la storia, sabbia comoda per leggere un libro o scrivere un sogno.


Sono un uomo che passeggia per il letto sabbioso di un torrente, in mezzo a rovi e foglie di farnia cadute lo scorso autunno. Immerso nei profumi e nei colori. Immerso nei ricordi e nelle sensazioni calde delle sue mani che affondano nel presente e lo portano alla bocca, per ripescare le energie di un luogo che ritorna di volta in volta a voler essere visitato e onorato.

domenica 6 gennaio 2008

Il Cipresso


I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti

Van da San Guido in duplice filar,

Quasi in corsa giganti giovinetti

Mi balzarono incontro e mi guardar.


Mi riconobbero, e "Ben torni omai"

Bisbigliaron vèr me co 'l capo chino

"Perché non scendi? Perché non ristai

Fresca è la sera e a te noto il cammino...


Giosuè Carducci, "Davanti San Guido".




"Modi franchi e spontanei, forse un po' troppo schietti ma istintivamente attraenti, generosità e passione per la buona compagnia, amore per la vita semplice e capacità di entrare in empatia con tutte le manifestazioni della natura si fondono armoniosamente nel bel carattere del Cipresso (25 gennaio/3 febbraio - 26 luglio/4 agosto), persona sostanzialmente ottimista e capace di adattarsi ai molteplici casi della vita conservandone il meglio.

Piuttosto autonomo fin dall'età giovanile, dotato di intelligenza analitica e di intuito penetrante, non ricerca ossessivamente il successo in quanto per indole tenderebbe ad evitare contrasti e complessità: sa comunque dimostrare fermezza di ideali e forza di carattere, senza per questo rinnegare una costante attitudine alla benevolenza.

Apparentemente agevolato nella ricerca del partner ideale, sfugge invece ai raporti che ritiene troppo soffocanti o vincolanti, attribuendo in ogni caso valore all'amicizia - fondata però
sulla sincerità reciproca - assai più che all'amore sentimentale, nei confronti del quale può mostrarsi noncurante.

Non si accompagna volentieri con personalità troppo ambiziose o prevaricatrici, mentre può trovare l'accordo perfetto con un solido Olivo o una raffinata Betulla."



Da Il Futuro negli alberi, di Milena Ortalda - un intrigante saggio sulla mitologia arborea, che comprende usi, leggende, farmacopea e descrizione dei venticinque segni della tradizione celtica.




La nebbia è il mare in cielo...

... E noi i suoi pesci.

Volteggiando leggeri,

senza - per questo -

metter pied in fallo

sulle pietre del giorno:

forse Domani...








Non pensare alla genialità o alla mancanza d'intelligenza. Preoccupati soltanto di lavorare sodo, essere perseverante e determinato. Il motto migliore per una lunga marcia è: "non borbottare, fai un altro passo".


Il tuo futuro è nelle tue mani. Non esitare a crederlo.


Il ragazzo borioso, come l'uomo borioso, non vale niente. E' come un venditore che urla la qualità della sua merce insulsa, è la lattina vuota che fa più rumore rotolando.


Sii onesto, leale e gentile. La virtù più difficile da ottenere è la generosità, una qualità che rappresenta il grado più elevato della maturità.


Ama il mare, la spiaggia che lo circonda e le sue dune.


Mantieni puro il corpo e la mente.




Sir Fredrick Treves Bart, KCVO, CB, sergente del Re, chirurgo del principe di Galles, 1903.




da "Il Pericoloso Libro delle cose da veri uomini".