"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


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sabato 19 giugno 2010

Maremosso







Anche essere un educatore tra le Ragazze Cresciute mi richiama spesso alla mente le fantasiose letture ottocentesche che preferisco: quelle che raccontano di marinai, caccia alle balene, ricerche infinite di tesori, tradimenti e amicizie indissolubili nate e cresciute tra il sudore e i calli della vita.

Purtroppo, in questi giorni nei quali il nostro amato Paese sembra essere migrato per intero alle latitudini tipiche dei Monsoni... In questi giorni nei quali gli uragani con grandine e fulmini e scrosci portentosi sono all'ordine del giorno... In questi giorni nei quali il sole ridente sembra essere improvvisamente incappucciato e battuto come un desaparecido argentino... Proprio in questi giorni, la ciurma metereopatica svela tutti i suoi trucchi, i suoi inganni, le sue paure e le sue rabbie.

Il Capitano conosce la rotta a memoria, gli ufficiali conoscono le carte, ma la ciurma naviga a vista, in mezzo a tempeste metereologiche ed emozionali, irrazionali e reali, razionali e irreali... Così tutti noi siamo costretti a fronteggiare le rivolte in mezzo alle tempeste.

E il Capitano tiene stretta la rotta, mentre grida vigoroso gli ordini tra il vento e le nubi. E noi - nostromi, ufficiali e sottufficiali - li cogliamo a malapena, nascosti tra le parole a mezze labbra dei marinai: gocce violente dal cielo che ci insultano l'anima e il viso. Per poi riportarli, quegli ordini, con il cipiglio preoccupato di chi ha tra le mani non direttamente il timone, bensì le braccia, le gambe e la vita di quegli stessi marinai.




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sabato 14 novembre 2009

Un venerdì con le cuffiette







Il ragazzo era alto, barbuto e spettinato, con i vestiti un po’ usati, quasi venisse lì per lì da una corsa a perdifiato dietro a chissà quale bel sogno. Parcheggiò la sua auto appena fuori dal numero civico che gli avevano notificato.

- Era la sede di un vecchio supermarket – avevano precisato – non ti puoi sbagliare!.

Di fatti, il vecchio stemma del proprietario blasonava ancora le lunghe e fredde vetrate. Per la metà superiore, le vetrate erano coperte da saracinesche grigie e polverose, per la metà inferiore da uno strato di vernice bianco panna, dal quale permeava la luce giallastra dell’interno.

Il ragazzo suonò il campanello. Una voce squillante non si fece attendere, seguita a ruota dallo scatto elettrico della serratura. Appena tre secondi dopo, una figura altissima ed enorme zampettò dietro le vetrate d’ingresso. Era la Donna Cannone, vestita con una tenda di velluto nero, adornata con più accessori che curve in eccesso e sormontata da un indecifrabile cappellino in lana viola, portato sulle ventitré.

Il ragazzo allungò la mano, presentandosi, e fece scrocchiare qualcosa nascosto nelle dita di quell’insolita figura. Un sorrisino abbozzato da quel viso suino e la stretta molliccia sparì in un lampo, trasformandosi in un ampio gesto di cortesia. Misegualaprego.

Il ragazzo si servì un caffè, si accomodò in una scrivania d’angolo e si mise a leggere. Mentre leggeva, cercava di intuire qualcosa dal gran vociare che arrivava dall’enorme salone alle sue spalle. Buttando un’occhiata di tanto in tanto. Il vecchio supermarket era stato trasformato in un call-centre. Era stato sventrato da scaffali e casse e uffici, per essere rimpinzato con qualche computer e qualche cuffietta, sistemati in una squallida isola di cartone al centro dell’enorme scantinato.

La Donna Cannone era in piedi, in mezzo al salone, tra le scrivanie: si muoveva tra le postazioni telefoniche toccando gli operatori sulla spalla, uno ad uno. Tivedo Tisento Ticontrollo. Alle sue spalle, d’improvviso, spuntò la Donna Gatto, che sinuosa e flessuosa si avvicinò al ragazzo.

- Buongiorno sono Elettra, la Responsabile dell’Azienda, sono contenta che abbia accettato di sostenere il colloquio, siamo un’Azienda Leader nel settore da undici anni e ci occupiamo di vendite telefoniche per un fornitore di servizi informativi nazionale, dopo due mezze giornate di formazione, per il primo mese lavorerà a contratto con la società interinale, alla fine di questo mese, se la valuteremo idoneo, sarà messo sotto contratto a progetto direttamente da Noi, il che prevede 15 euro netti di rimborso spese al giorno e una provvigione del 4% per almeno 14 contratti stipulati nel mese-lavoro. Al termine del progetto, della durata di 3 mesi, sempre che sia nuovamente ritenuto idoneo, le faremo un nuovo contratto a progetto, con due mezze giornate di formazione per il nuovo servizio da vendere: rimborsi e provvigioni rimarranno sempre gli stessi.

- Buongiorno a lei, signora Elettra. – rispose il ragazzo.

- Bene, vedo che lei lavora al mattino, cos’è un’associazione di volontariato la sua? Mmm… e vedo che abita parecchio lontano da qui, spero davvero che questo non sia un problema. Abbiamo già avuto casi di persone che venivano da città lontane e allo scadere del contratto con l’agenzia interinale hanno preferito rinunciare al nostro contratto perché non sopportavano più di dover fare tutta quella strada, confidiamo che lei prenda da subito in considerazione la cosa e che ci pensi bene, prima di farci rifare tutto il lavoro di formazione da capo.

- Non è mai stato un problema fare un po’ di strada per andare al lavoro… –

- Bene, un’altra cosa che voglio sia chiara è che durante i due giorni di formazione che faremo (lei comincerà lunedì) è come trattare con i clienti, certo, ma soprattutto come trattare i clienti. Proprio oggi, ad esempio, un interinale di 48 anni che era con noi da appena due settimane si è preso la libertà di insultare un cliente e poi ha avuto anche la bella faccia di fare lui quello ch’era stato offeso, ha fatto fagotto e se ne è uscito sbattendo la porta!… Non sia mai, intesi? Un atteggiamento del genere rovina il clima positivo delle vendite e mette in cattiva luce tutta l’azienda, gettando nel ridicolo tutta la squadra. Un cliente trattato così è un cliente bruciato. Meno male che quel “signore” se n’è andato prima che riuscissi a prenderlo io, che ero al telefono col cliente da recuperare: lo avrei sbattuto fuori con le mie stesse mani! Che razza di ebete! –

- Ah… come hanno reagito i colleghi? –

- … in che senso scusi? –

- Che cosa hanno detto o fatto i colleghi, quando è successa questa cosa? –

- Che domande… gli si sono messi a ridere in faccia! Cosa puoi fare con uno così? Una come me passa anni a costruire un bel gruppo di venditori, con un bel senso di sana competitività, una sana voglia di fare meglio degli altri, sempre a spingersi per migliorarsi a vicenda… e poi arriva un tizio che fa una scenata del genere! Non le dico come hanno reagito! Se le facessi vedere il grafico giornaliero di ieri e il grafico giornaliero di oggi capirebbe che dramma è stato! –

- …

- Ascolti… allora noi ci vediamo lunedì alle 14.00. Puntuale, la prego, che cominciamo la formazione con gli altri nuovi come lei. Martedì prova pratica, da mercoledì si comincia con le vendite reali.

- Uh, certo, come no.

Il ragazzo si alzò, si infilò sciarpa e cappello. Raccolse lo zaino, strinse qualche mano. Con un sorriso ebete stampato in faccia. La sensazione di stordimento era completa, abissale. Uscì in strada, e l’aria fredda e buia della sera lo accolse come un abbraccio tenero e consolatorio. Di stelle non se ne vedevano, dietro ai lampioni, ma lui sapeva ch’erano là.

Il ragazzo salì in macchina. Un mese pagato dall’interinale e poi piantare un casino tale da farsi licenziare. Urlare in faccia a quella Gatta Morta che il lavoro è sacro, che il lavoratore è sacro. Che quello che offriva lei non era lavoro, ma uno schifo di schiavitù, e che quelli lì alle scrivanie non erano lavoratori, ma schiavi inebetiti da scrollare, da svegliare. Urlare a tutti di prendete coscienza, che il signore di 48 anni sì che sapeva cos’era la dignità!

Aveva bisogno di lavorare, il ragazzo, ma a tutto c’era un limite. Certo, non lo aveva mai fatto prima, di farsi licenziare.

Un sorriso gli si abbozzò sincero, illuminandogli gli occhi. Aveva tutto un fine settimana per decidere.


mercoledì 1 luglio 2009

Rotolando sotto il sole









Un sassolino,
dalla cima della montagna,
decise di farsi una ruzzolata.
Scendi qui,
Scendi là,
diventò una valanga.
E la foresta gli gridò.
chi Evviva!
chi Dove vai!
chi Ma fermati!
E il sassolino continuò.
Fin giù al fiume.
Pluf...











giovedì 28 maggio 2009

Heard in the Grapewine










L'Acquario ha una piccola corte proprio fuori dal portone. Una corte discreta, appena rimessa a nuovo, con tutto un ciottolato bianco nel mezzo e una serie di lastre grigioperla tutt'attorno. E un fontanile in pietra nell'angolo nascosto.

La Corte dell'Acquario è piena degli schiamazzi dei giannizzeri che rientrano dalle loro incursioni nel Mondo Esterno, ma è anche piena di piante, che in questo maggio di piogge e sole hanno avuto la voglia e lo spirito di darsi da fare e crescere d'un verde che più smeraldo non si può.

C'è un angolo di luce e silenzio, nella Corte dell'Acquario: se ne sta rintanato tra la porta del refettorio e le scale che salgono agli alloggi del piano superiore, dove dimorano gli avi e i saggi che tanto hanno fatto per l'esistenza dell'Acquario.

Se si entra nel refettorio all'ora del Meriggio, appena prima dell'Ora dei Giannizzeri, e si ha la pazienza ed il tempo di sedersi guardando di fuori, si può gustare tutta la meraviglia di un cielo intonacato d'indaco che a malapena riesce ad infilarsi tra le spledenti foglie di vite che pendono dal pergolante balcone.

E proprio lì sotto, dove il sole spinge quelle ombre saltellanti dentro gli occhi socchiusi su quel mondo verde-acqua, si può sentire l'aria e la calma di un cuore che piano piano riprende a respirare.



sabato 25 aprile 2009

VenticinqueaprileDuemilanove








Un post complicato, questo del Venticinqueaprile Duemilanove.Non complesso, proprio complicato: non c'è una trama ben delineata, e i pensieri si attorcigliano ogni volta di più, quando provo a metterci mano.


***


C'è Scientology, rientrata nella mia vita in maniera prepotente, per un errore tanto grave quanto banale. Una manica di delinquenti, che fanno leva su sentimenti quali il sospetto, la rivalsa, il desiderio d'essere vincenti. Ma il sospetto, prima di tutto.


Offrono strumenti per essere vincenti. Non tutti subito, sia chiaro. Un passo alla volta, perchè mica si possono capire tutte le verità in una botta sola. Allora, per essere vincenti, dicono, devi imparare a capire chi attorno a te sta mentendo, sbagliando, tramando: chi ti vuol fottere e chi ti vuol ferire, per gusto o interesse.


E allora cominci a segnarti tutti i discorsi che fai con le persone che hai vicino, le parole che ritornano e le parole che vengono usate solo una volta, mai per caso. le cose che fanno, i posti dove vanno e le persone con le quali parlano. Allora inizi a fare caso a quando uno si tocca il naso, si gratta la testa, accavalla le gambe, rotea gli occhi, sbuffa, si scaccola, trattiene una risata o una scoreggia. Quando uno si ammala, quando l'altro gli vien la cacarella e quando quell'ultimo si rompe un braccio o fa un incidente.


E inizi a perdere il senso d'insieme, il senso di comunione, il senso di attaccamento: sei sormontato da milioni di dettagli che montano e montano e montano, fino a sommergerti di indizi che credi di mettere a posto secondo un filo logico tutto naturale e invece è l'unico filo logico possibile - quello della tua paura più profonda: le persone che hai attorno intendono abbandonarti, possibilmente fregandoti.


Per questa cricca di psico-delinquenti, il primo passo è individuare una frattura nel tuo animo, una paura. Il secondo è instillarti il sospetto che quella non sia una paura, ma una realtà. Punto di appoggio e leva. Paura e sospetto, ben orchestrati e mascherati. E questo porta all'inevitabile collasso delle relazioni, tanto amicali quanto familiari.

E ti convinci che la vita è una gara, e che devi dimostrare di arrivare dove gli altri non si aspettano. E che devi dimostrare che gli altri falliranno.

Quando invece gli altri sono lì che ti vorrebbero al loro fianco, così come sei. Per amarti e mettersi in discussione con te.


E' come l'anello di Frodo: dagli enormi poteri, che logorano l'anima di chi lo usa, fino a fargli cacciare il migliore amico, convinto che si sia pappato di nascosto tutto il Pandivia. Senza rendersi conto che Gollum si sta fregando le mani...


***


C'è che ho preso il coraggio a quattro mani e ho detto ad una certa persona che la ritengo un vero e proprio punto di riferimento. E che per questo non mi verrà facile misurarmi con i problemi che abbiamo avuto nella nostra fallimentare esperienza di coppia. Non è esattamente quello che si sarebbe voluta sentir dire, ma credo fosse importante farglielo sapere.


Perchè un punto di riferimento vuol dire qualcuno con il quale vuoi confrontarti, del quale sei desideroso di avere un'opinione, per poi scontrarti, discutere, cercare di fargli cambiare idea o anche no, approfondire, litigare magari.


Qualcuno di cui avere fiducia. Anche quando si sbaglia, anche quando ci si metterebbe le mani nei capelli per le cose dette o non dette, fatte o non fatte. Di cui fidarsi, di pancia, a pelle, senza alcuna riserva. Al di là degli errori.


Perchè avere un punto di riferimento significa avere qualcuno con il quale aver voglia di condividere qualcosa, che sia un'opinione, un'esperienza personale o un momento professionale, e poi ritornarci sopra e trarne qualcosa. Per quanto bella o dolorosa sia quell'esperienza.


Un punto di riferimento è qualcuno davanti al quale non hai preoccupazione di farti vedere perdente o vincente, ma sempre e solo come sei. Per metterti, e mettervi, in discussione.


E se con questo qualcuno hai avuto una storia d'amore che faceva acqua un po' dappertutto , beh... la cosa è importante in sé, ma può creare qualche disguido tecnico di comprensione e gestione...


***


C'è che al lavoro stiamo progettando come dei matti, e che ho la sensazione - condivisa nella Sala Acquario - che noi si stia scalando a grandi falcate la Scala dell'Autocoscienza professionale. Avevo il sospetto che i confini dell'Educazione ambientale mi sarebbero stati stretti, prima o poi. E sono contento di avere come guida e partner qualcuno in grado di lasciarmi abbastanza libertà per spararle grosse e abbastanza polso da tirarmi coi piedi per terra quando esagero. certo che la soddisfazione del lavoro ben fatto nelle ultime due settimane aleggia palpabile in ogni angolo dell'ufficio.


***


C'è che il cuore è sempre là... col broncio... perchè resta in disparte.


***


C'è che è la Festa di Liberazione. E il Re del Ferro e del Fuoco non passerà a trovarmi, per tutti i suoi motivi. E questo mi rattrista.


***


Resta la Festa di Liberazione, però.

E vanno ricordati i morti, e vanno ricordati vivi, come dice un amico fotografo. Per quello che hanno fatto, per i motivi per i quali l'hanno fatto: da una parte e dall'altra. Per ribadirne le dovute differenze.


E si festeggerà, con chi ha scelto di condividere una giornata, si spera, di sole: tra una canzone partigiana, una salamella, una bottiglia di rosso, e una bella discussione accesa sull'eredità della Resistenza.




lunedì 12 gennaio 2009

Il buon lavoro











Dalle parti della Cascina Acquario, pare che le cose sciovolino meglio, col nuovo anno.


Le pareti di vetro non sembrano più così opprimenti, e il sole e il gelo e la bruma all'esterno sono sempre lì che mi aspettano: non poi così lontane come sembravano, non così distaccate come apparivano.


Questo un po' per la magica risonanza che il Parco degli Orsi mi ha lasciato, come quella di un magico gong in ottone. E un po' per quel piccolo ruolo che mi sto ritagliando tra gli affari dell'Acquario.


Che esco di testa a programmare calendari e fissare appuntamenti, ma vado in brodo di giuggiole a ideare nuovi laboratori, fare sopralluoghi e preparare le giornate di formazione per i nuovi marinai di foresta che entreranno nella squadra a primavera.


C'è da riflettere di epistemologia dell'educazione ambientale, da trovare una linea guida, da cercare tra le parole di chi su queste cose ci riflette da tempo, da capire che cos'è che ci prende e ci soddisfa così tanto nel prendere i boschi e i fiumi come aule e i pargoli come attori di quei momenti di condivisione che aiutano loro a capire il mondo e noi, di riflesso, il nostro posto al suo interno.


C'è da guardarsi intorno, apprezzare le pieghe del Presente nelle quali si nascondono il Passato e il Futuro di un territorio tanto bistrattato quanto amato e frainteso. C'è da camminarci dentro, da rivoltare i sassi e alzare le cortecce, da aprire i cespugli e scostare il muschio. C'è da odorare la rugiada e il sole di mezzogiorno. C'è da innamorarsi ad ogni passo, di una foglia di faggio qui ed una foglia di quercia là.


C'è da riempirsi il cuore.


C'è un sacco di lavoro, da fare. E ancora più strada.



mercoledì 12 novembre 2008

vita d'acquario









Con tutta la pioggia,
questa,
è vita d'ufficio.

E spuntano branchie
e pinne
da pesce in acquario.

Ma l'acqua
e le piante
flottanti

son fuori.