"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


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martedì 5 maggio 2009

Con la bricolla in spalla










Ninna nanna, dormi piccolo,
che il tuo papà ha un sacco in spalla...
e si arrampica su per la notte:
Prega la luna, che nessuno lo prenda
Prega la stella, che guardi dove và
Prega il sentiero, che ce lo riporti a casa...

Ninna nanna, ninna oh…

Ninna nanna, dormi piccolo…
il tuo papà ha un sacco in spalla
che è pieno di cose:
ha dentro il suo coraggio
ha dentro la sua paura
e le parole che non può dire…

Ninna nanna, ninna oh…

Ninna nana, dormi piccolo…
Che ti sogni con un sacco in spalla
Per arrampicarti dietro il tuo papà:
su per questa vita che viviamo di frodo,
su per questa vita che sognamo di frodo,
in questa notte che preghiamo di frodo...

Prega il Signore, a bassa voce,
con la sua bricolla a forma di croce...



(libera traduzione della "Ninna Nanna del Contrabbandiere"
di D. Van De Sfroos)



domenica 28 settembre 2008

Smemorandum etnico





Si può dimenticare il compleanno della mamma
per una cena cingalese alla quale ci si è per giunta quasi autoinvitati?

Cazzo.

Si può.



giovedì 18 settembre 2008

Ogni piccolo passo convinto





- Pronto? Buongiorno signora...

- Sì? Mi dica!

- Mi chiedevo se l'annuncio per il bilocale era ancora valido...

- Eh, sì, neh? Son stata via per dei giorni, sa? m'avran cercata, ma io mica ero a casa, neh?

- Ok... Senta, posso venire domani a vederlo?

- Orpo, certo... Abito davanti alla farmacia, io. Che macchina g'ha, lei?

- Una Twingo. Una twingo blu con i portapacchi in gommapiuma...

- Ah, sì... Va beh... si faccia trovare davanti alla farmacia alle duemmeza, che mi a guardi föra da la finestra. Cand la vedi a vegni föra mi...

- Va bene, signora, facciamo alle duemmezza, allora. A domani.

- A domani, neh?

venerdì 12 settembre 2008

Coincidenze botaniche


Mentre sorseggio il primo caffè della mattina, salta fuori che devo andare in una scuola e costruire un orto botanico con bulbi, piantine, serra, sistema idraulico e boschetto della fantasia con cigliegi robinie e querce rosse canadesi. Entro questo autunno.


Mentre sputo metà del mio primo caffè sullo schermo del computer, tra eccitazione e terrore, mi trascinano in auto fino al Comune in questione, per l'incontro con l'Assessora e l'Architetto.


Il Comune lo conosco. Ci sono cresciuto.


Si discute di soldi, che ce n'è.
Si discute del numero delle classi, che son tante ma coinvolgiamone ancora.
Si discute di sentieri sensoriali e aree ombrose, che un locus amoenus se no non è tale.


Un pizzicorio mi percorre le mani. Scusate se azzardo, ma nessuno mi ha ancora detto di quale scuola si tratta.


Sì, scusa, la Scuola elementare di via XX Settembre.


Il pizzicorio si fa certezza. E mi lascio sprofondare nel flashback.
La mia scuola.


Passo il resto della riunione e della mattinata a rovistare ricordi talmente sbiaditi che stento a riconoscerli.

C'è la Maestra Carla, che ero il suo preferito, un po' come tutti gli altri.
E che poi ci ha lasciato per far visita ad un cancro.

E Virginia che in quinta si slacciava il grembiule, mi chiamava sottovoce e mi mostrava le cosce dentro i collant nuovi.

E Valentina che mi faceva innamorare perchè era l'unica più brava di me e poi aveva gli occhi a mandorla.

E Matteo che condivideva con me i problemi di matematica, la coda delle lucertole e i giochi più pirateschi.

E Filippo, l'unico a cui abbia mai dato un pugno sul naso, colpevole di aver insultato Matteo.

E le partite di Baseball senza mazza e senza palline, giocate sul pavimento in linoleum verde della palestra, vicino ai giganteschi gradoni in cememento.

E le finestre blu a tagliola, che hanno fatto saltare l'indice a Serena.

E gli esami di quinta preparati con Emma, studiando la Prima Guerra Mondiale.

E l'odore della segatura nell'atrio, quando pioveva e tutto si inzuppava.

E le feste di compleanno a gare di chi beve più roba gasata e mangia più torta al limone.

martedì 9 settembre 2008

E ancora mi chiedo chi sia






Il Colonnello è un uomo sulla sessantina, ha pochi capelli corti e brizzolati, la pelle rugosa e il sorriso sempre pronto, a nascondere un ghigno beffardo. I suoi occhi sanno essere tanto sfuggenti quanto penetranti, quasi pericolosi. Ha le braccia lunghe, il Colonnello, e le mani grandi. Di chi per anni ha maneggiato vanghe, zappe e tornii di ogni genere. Si vede che ha lavorato, un tempo, il Colonnello.

Il Colonnello però ha anche la pancia, grossa, rotonda, dura. Gli spunta dalla camicia a righe con le maniche corte, quasi a chiamare a raccolta la fila dei bottoni, che possono rilassarsi solo nei dintorni del colletto, dove dimorano collanine hawaiane e aborigene: con una croce d'argento nascosta nel mezzo. Sono anni che il Colonnello sta dalla parte giusta della barricata. Sono anni che non deve più togliersi il nero grasso dalle unghie, al rientro a casa.

La pancia del Colonnello gli pesa, e lui cammina spedito per la strada per poi fermarsi ed appoggiare le mani sui lombi, stirandosi la schiena un po' ingobbita. Il gesto gli viene naturale, e sembra quasi si voglia fermare a guardarsi intorno per dire Un giorno tutto questo non era mio. Quasi nostalgico, quasi triste, quasi che gli manchi qualcosa, come la coscienza.

Il Colonnello è tronfio, soddisfatto, paffuto, goliardico, buffone, irriverente, mascalzone e tentacolare. Possiede più di mille milioni di soldi, sparsi per le sue ventiquattro assoimprese intercomunalprovinciali: editoria, edilizia, svago ed evasione sono i suoi terreni di caccia. E la caccia per il Colonnello è sempre Caccia Grossa.

Il Colonnello vede lontano e vola basso, tra la gente comune, quella persa in un mondo senza più legami, senza più identità, senza più comunità. E la gente persa, abbagliata dalle stelline sul suo petto, gli si aggrega intorno come ad un fuoco nel bel mezzo di una notte di novembre, quando il nevischio congela le orecchie e i capelli sanno di bagnato.

Il Colonnello però non lavora per mettere in tasca soldi. SignorNoSignore! Il Colonnello lavora per allargare il suo esercito. Lui si sposta con la sua corte, i suoi carriarmati e le sue infermiere. Passa di villaggio in villaggio a parlare con i mugnai, i contadini, i falegnami, i fabbri, i pretucoli, le mondine e le lavandaie.

Il Colonnello fa in modo che il mugnaio dia la farina ai fabbri, che diano i chiodi ai falegnami, che passino gli attrezzi ai contadini, che arino i campi per le mondine, che passino il raccolto alle lavandaie che lavino i panni ai mugnai che facciano offerte ai pretucoli che diano la loro benedizione al Colonnello.

Fa in modo che tutti dicano Che bravo il Colonnello, senza di lui non ci sarebbe questa comunità!, oppure Che bravo il Colonnello senza di lui tutta questa collaborazione sarebbe stata un banale passaggio di merci e soldi!

E forte di questo, il nome del Colonnello fa tanto rumore che sono i Re e i Governatori stessi, quale che sia la loro famiglia di appartenenza, a mandare i propri emissari per sapere Che intenzioni hai, Colonnello? E dove vuoi arrivare?

E il Colonnello risponde Caro re, caro Governatore: senza i tuoi soldi ho costruito un piccolo impero prolifico, un piccolo esercito di soddisfazione. Pensa cosa potrei fare se tu mi lasciassi usare un po' del tuo oro.

E non esiste Re o Governatore che glielo abbia rifiutato.
Senza chiedere più nulla.

E il Colonnello continua il suo giro indisturbato, senza che nessuno sappia esattamente dove abbia preso i gradi e le stelline, come abbia intenzione di spenderli o a chi debba renderne conto. Senza che nessuno si prenda il disturbo di domandare.



L'ho conosciuto, io, il Colonnello. Esiste. Calca le vie di Nebbiascura come il cortile di casa sua. E ancora mi chiedo. E mi chiederò.







giovedì 28 agosto 2008

A casa




È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna


freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.


È una notte in Italia che vedi
questo darsi da fare
questa musica leggera
così leggera che ci fa sognare

questo vento che sa di lontano
e che ci prende la testa
il vino bevuto e pagato da soli
alla nostra festa.


È una notte in Italia anche questa
in un parcheggio in cima al mondo
io che cerco di copiare l'amore
ma mi confondo

e mi confondono più i suoi seni
puntati dritti sul mio cuore
o saranno le mie mani
che sanno così poco dell'amore.


Ma tutto questo è già più di tanto
Più delle terre sognate
Più dei biglietti senza ritorno
dati sempre alle persone sbagliate

Più delle idee che vanno a morire
senza farti un saluto
Di una canzone popolare
che in una notte come questa
ti lascia muto.


È una notte in Italia se la vedi
da così lontano
da quella gente così diversa
in quelle notti
che non girano mai piano
io qui ho un pallone da toccare col piede
nel vento che tocca il mare
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.


È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

che è poi la fortuna di chi vive adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.

Questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.







"Una notte in Italia", Ivano Fossati.


Un'altra canzone non poteva essere più adatta.







martedì 5 agosto 2008

Delusi e frementi


I nomadi avevano finito di attrezzare il campo mobile.


Stakanov non la piantava di pensare alle lettere da spedire, per avvertire tutti della loro prossima partenza. E sperava che le cose, al rientro, sarebbero andate come voleva, perchè sapeva bene da che parte avrebbe pesato la bilancia professionale.


L'eremita sull'albero non ne voleva sapere di spostarsi, così fu lasciato dov'era: a penzoloni del suo platano secolare, a rimuginare della vita e delle sue conseguenze.


Bebop, il cowboy acquamarino, spruzzava acqua e sbatteva le pinne, lanciando altissimi gridi texani e scagliando ad altezze ragguardevoli i pesanti bagagli, neanche fossero stecche di ghiaccioli.


Il Marinaio di foresta bramava sentire i piedi fargli male e le gambe dolere per il troppo cammino, con un groppo all'altezza del cuore che si spandeva via via verso le braccia e le mani, pronte ad afferrare qualsiasi cosa la vita gli avesse portato davanti nelle giornate a venire.


Il Marinaio era deluso.

Era stato avvicinato dal Re del Ferro e del Fuoco, con il quale aveva un rapporto del tutto particolare e altalenante.

Il Re si era proposto come compagno di viaggio per la carovana dei nomadi sulle spine, in questo gran-tour verso Nord. Sulle prime il Marinaio non aveva saputo che dire: una proposta tanto ardita non se l'aspettava proprio. Ma un secondo dopo, il Marinaio aveva accettato di buon grado, pensando fosse la migliore occasione per costruire qualcosa che non c'era mai stato.


E allora, c'erano stati i preparativi, i chiarimenti, i progetti e le spiegazioni. E il Re del Ferro e del Fuoco si era mostrato convinto di quel che voleva. Voleva partire, gli avrebbe fatto bene. Anche a costo di abbandonare per un po' la sua consigliera, L'Interpretatrice dei Fatti, abile fattucchiera.


Poi però, il dubbio si insinuò nella mente e nelle orecchie del Re. Come ci fosse arrivato, là dentro, era di facile intuizione, ma il Marinaio non si sarebbe mai azzardato a fare ipotesi infondate.


Fu così che, prendendo come scusa una spiacevole vicenda del tutto marginale, il Re del Ferro e del Fuoco si tirò indietro. Decise che non ci sarebbe più stato un viaggio assieme. Pensando che fosse del tutto inutile cercare di costruire un rapporto nuovo col Marinaio e i suoi Nomadi.


Nè ora, nè mai.

Il Re del Fuoco e del Ferro voleva restare nel suo castello, circondato da ciò che non poteva ferirlo e lontano da tutto quello che non capiva e non voleva nemmeno vedere. Lui, così forte eppure così indifeso nei confronti del mondo, accarezzato da parole dolci e bastonato da violenti insulti, provenienti dalle stesse doppie labbra.



Così il Marinaio e i Nomadi si trovarono soli, nuovamente.

A fremere per la partenza e a godere del momento in cui i bagagli sono caricati sulle spalle e il primo passo è mosso, subito seguito dal secondo. Mentre la porta di casa, alle spalle, si chiude e non si sa bene quando la si vedrà aprirsi di nuovo.


venerdì 9 maggio 2008

Passioni ed etica del lavoro


Mio padre è sempre stato un grandissimo lavoratore. E' un imprenditore pieno di estro e da anni combatte contro la mancanza di lavoro nel suo settore. Ho sentito di altri come lui che hanno delocalizzato tutto all'estero, e chi non poteva farlo ha venduto e si è riciclato in qualche modo. Lui no. Lui tira dritto per la sua rotta, con la sua nave a duemilanodi, in mezzo ai ghiacci tropicali.

Lo fa perché la sua etica del lavoro è più forte di qualsiasi imbarazzo, di qualsiasi cedimento, di qualsiasi smacco che abbia mai potuto subire nella vita. E per questo lo ammiro.
Credo che, sino ad oggi, sia stato proprio questo il Messaggio, in assoluto l'insegnamento più grande e pervasivo per i suoi quattro marmocchi, che ormai hanno tra i 20 e i 30 anni.

C'è un però.
Un però che mi spacca la testa come un tarlo che avanza di giorno in giorno. Un piccolo tarlo apparso anni fa, che si è fatto strada tra le mie orecchie e che oggi fa tanto rumore da non permettermi quasi di pensare.

Il "però" in questione si chiama "passioni". Quelle che si possono coltivare sui banchi di scuola, tra un compito e l'altro, e che stanno al di fuori di qualsiasi routine. La passione per un certo autore, la passione per la musica, la passione per lo sport, per una squadra, per la danza, per la pittura, per le sculture in legno o in ghiaccio, per gli insetti, per la velocità, per la filosofia... non so, tutte quelle passioni lì che poi sono un vero e proprio hobby...

Il fatto è che da mio padre ci è arrivata la passione per il lavoro. O meglio, per il nostro lavoro. Quello che facciamo e che ci intestardiamo a fare.

Eppure io me lo ricordo mio padre che mi portava al fiume a far saltare le lastre di ghiaccio con i fischioni e che poi mi prendeva da parte e mi faceva vedere gli insetti, e me lo ricordo sempre indaffarato con la sua enorme macchina fotografica e le sue mille pellicole. E ricordo che mi diceva come si fa una fotografia, che cosa posso cercare e vedere. E mi ricordo che mi spingeva a essere curioso, a meravigliarmi della natura, a fermarmi a vedere il fiume che corre e l'acqua che disegna linee perfettamente confuse sulla superficie. E me lo ricordo che mi diceva sempre di camminare guardandomi intorno, di vedere le cose che succedevano intorno a me e di osservarle, capirle. E mi ricordo che lui adorava le cose delle quali mi parlava. Non avevo più di cinque anni, e me lo ricordo mio padre pieno di piccole passioni.

La cosa strana è che non me lo ricordo mio padre mentre fa queste cose con le mie sorelle e mio fratello. E in particolare con la mia sorellina ormai ventenne. Forse perchè non c'ero, è vero, ma la sensazione è quella.

Io la guardo e mi dico: Se io ho vissuto un periodo di buoi completo - tra il 1990 e il 2005 - dal quale mi sono risvegliato volendo a tutti i costi fare delle sole passioni che avevo conosciuto la mia professione... Beh, guardo lei e mi sento perso.

Mi sento perso perché, negli anni in cui questa ciurma di famiglia si stava sfaldando, ci ho provato a farle un po' io da padre: regole e paroloni, poi qualche chiacchiera da fratellone e qualche ragionamento un po' più profondo. Ma nemmeno io sono stato capace di farle scattare la scintilla per qualcosa di preciso. Anzi, credo d’esser stato persino controproducente.

E ora si ritrova a vent'anni a lavorare come una matta per avere dei soldi da spendere, si ritrova a sentirsi perduta per aver perso quello che credeva l'amore della sua vita, si ritrova a fiaccarsi di TV, palestra, e uscite con gente piena di sacchi.

Ed è strano. Perché è sempre stata una ragazzina piena di vita, volenterosa e sveglia. La migliore di noi quattro. E mi piange il cuore a pensare alle cose che potrebbe fare e non sta facendo. Forse perché mi ricorda quanti anni della mia vita ho buttato via prima di guardarmi dentro per capire chi volevo essere da grande.

E tutto questo, forse, è successo perché abbiamo ereditato una passione smodata per il lavoro. O forse perché mio padre è un capitano di lungo corso e sono anni che attraversa solo acque burrascose, e non ha mai avuto il tempo di dedicarsi ad altro che non fosse la sua nave.

Non so se posso fare lo stesso discorso con il mio fratellino e l'altra sorellina: noi tre siamo cresciuti a stretto contatto, ma poi siamo esplosi e ci siamo un po' persi, pur orbitando tutti attorno allo stesso pianeta.
Però credo che, se gliene parlassi, ci si ritroverebbero almeno quanto me, in questa piccola analisi.

lunedì 14 aprile 2008

Sarà perchè, sarà che



Mi sento ancora la coperta calda sulle spalle, e quella tenera sensazione di sabbia negli occhi che ti fa ricordare quanti sogni sei riuscito a dimenticare in una sola notte di primavera.

Sarà perchè fuori dalla finestra l'aria fredda si sposta assieme agli alberi e alle canne di bambù.

Sarà perchè fuori dalla finestra scende una pioggia che somiglia a piccole scaglie di malinconia: di quelle che ti si appoggiano alla vita ed entrano in risonanza con tutto quello che ti porti dentro, nelle ossa.

Sarà perchè ieri sono stato assalito brutalmente da una fase bradipo di dimensioni cosmiche e ne risento ancora oggi.

Sarà perchè tornando dalla gita in Camargue, i marmocchi ascoltavano vecchie canzoni che il mio cuore ha bandito e che svelano quanto la maschera da vecchio cowboy con le grinze sugli occhi proprio non gli si addica.

Sarà perchè il Paese la cui terra mi ha visto correre, cadere, piangere, rialzarmi e sorridere mille volte, è una volta di più sull'orlo del baratro.

Sarà perchè ci sono fantasmi che non mi lasciano stare e mi vengono a trovare, col loro bagaglio di sensi di colpa e soddisfazioni: e sono tutti fantasmi di donna. Non che siano fantasmi veri, s'intende: ma qui, su questa nave, a duemila nodi, i ricordi li confondiamo spesso con i fantasmi, per lo strano modo che hanno di apparire dietro un velo e sussurrare parole lontane che scuotono le ginocchia e i polmoni.

Sarà perchè so che altrove mi aspettano un abbraccio caldo e dei capelli da accarezzare, con tutta la tenerezza di un mondo che si chiude, volontario, fuori da un armadio magico. E labbra da baciare forte per l'attesa e l'ansia di essere un nomade un po' per scelta, un po' per vocazione e un po' per timore - di chissà cosa poi?


Sarà che ho bisogno di una piccola passeggiata.
E allora via, cappello in testa, sciarpa sotto il naso e bavero alzato. Un passo dopo l'altro, mi lascio dietro la primavera, le sue piogge e i suoi sussurri, un po' a specchiarsi nelle pozzanghere e un po' a saltarci dentro.















lunedì 25 febbraio 2008

Andando a dormire


Stanco e soddisfatto. Così mi piace chiudere le mie giornate.
Quando la passione per le cose che faccio mi scorre veloce tra i pensieri e le parole; e i piedi e le mani ne fanno viaggi e fatiche.

In questi giorni di fiume, nebbia, boschi, pesci e volatili migratori, ho aggiunto un nuovo piccolo passo sulla mia strada per diventare un Girografo professionista.

Tra una Nutria e qualche Tuffetto, tra una piccola rapida e un bagno nella Peste d'Acqua, sono stato ufficialmente riconosciuto come "Marinaio di Foresta abilitato alla divulgazione dei fatti della Natura lungo i principali e secondari corsi dei Fiumi dell'Impero".

Nel mio baule c'è una una bolla reale con timbro e ceralacca che lo attesta, casomai ce ne fosse bisogno.

Più che questo, posso dirmi soddisfatto per le magnifiche persone che ho potuto incontrare: a cominciare dal Pescivendolo Rosso, figlio di figli di vichinghi dal sorriso contagioso e la stretta poderosa; al Timido Insegnate, barcaiolo forzuto esperto nell'arringare mandrie di marmocchi con parole magnetiche; alla esuberante Donna di Mare, con la sua avversione per le correnti fluviali e la parlata dirompente; al Vecchio e Giovane, i pescatori di Borgo Framonti Basso, così diversi eppure così uguali come solo due amici che sembrano nonno e nipote possono essere; per finire con l'Uomo Semplice, così semplicemente semplice da risultare naturalmente piacevole e fraterno.

E poi la Mammina delle Fate e il Capitano dei Capitani, sempre attenti e premurosi, anche quando lanciano occhiate fulminanti che malcelano lo stupore per le piccoli e grandi baggianate che il sottoscritto può dire o mettere in pratica.

Il Fiume Azzurro è vita.
E in questi momenti lascio volentieri che mi scorra dentro.
Cullandomi verso le braccia di Morfeo.

sabato 23 febbraio 2008

Responsabilità

Ogni tanto La Megattera Bebop (cowboy acquamarino), quando non è in missione speciale con il sottoscritto marinaio di foresta, se ne va sgarnchire le pinne giù nelle correnti più fredde dell'Oceano Sempringuerra. Lì c'è sempre da menare qualche spruzzata in faccia ai cattivi: è così che si diverte il nostro cetaceo preferito.

Quel giorno, però, Bebop se ne stava a nuotare tranquillo controcorrente: il cappello leggermente sollevato e gli occhi di chi proprio, quel giorno, non vedeva altro che belle facce e belle storie. Persino la banda dei musi a serramanico gli sembrava roba con le ali e l'aureola.

Spinnava tranquillo e, passando davanti a due vecchi balenotteri azzurri, sentì uno dei due dire con la voce stridula dei minatonni di Frontiera: Eh, vecchio mio, quella buonanima di Jim Pinnamonca diceva sempre che solo i coraggiosi si portano a letto le delfine più belle!

Il nostro cowboy acquamarino si arrestò e - mentre pensava che "Jim Pinnamonca" sembra più un nome da pirata che da Ultima Frontiera - sentì un pensiero correre con la velocità del suono (che in acqua, sapete, si propaga in frettissima) verso una frase del padre di suo padre:

Responsabilità non è predendere una decisione, ma saperne gestire le consegunze!



Ecco: Jim Pinnamonca gli aveva fatto capire che lui, cowboy acquamarino la cui fama era d'esser sempre stato responsabile, si accorse in quel preciso istante che responsabile non lo era stato, quasi per niente!

Il padre di suo padre diceva saper gestire le conseguenze, non farsi un sacco di pensieri su quali potebbero essere!

Bebop aveva capito d'esser stato solo prudente. Certo un primo tenero passo verso l'idea che Mondo sommerso aveva di lui... Ma, in fin dei conti, non si è mai visto un cowboy acquamarino prudente. Molto meglio uno responsabile davvero.

'Fanculo tutti sti pensieri di come andranno le cose. Si disse. Vedo di fare le cose proprio come mi vengono, e se combinerò qualche casino.. beh, deciderò poi il da farsi!

E mentre spinnava via più tranquillo di prima, cantava un Dizzie Gillespie tenace e leggero...

mercoledì 20 febbraio 2008

Nomadi sulle spine, da sempre

Chris una notte si è svegliato, aveva quattro anni, e in pigiama se n'è andato in giro per sei isolati. A vedere che cosa c'era dietro l'angolo. Lo hanno ritrovato a rovistare in un cassetto nella cucina dei vicini, in cerca di biscotti.

Timothy, da che aveva imparato ad articolare qualche parola, aveva detto a sua madre Voglio vedere il mondo, Voglio andare e non fermarmi mai. Un giorno, aveva quattro anni, ha raccolto un bel bastone dal giardino, ha preso un grosso fazzoletto rosso dal cassetto di suo padre, lo ha riempito con pane, formaggio e un Big Jim. Se l'è messo su una spalla e ha aperto il cancello, facendo il primo passo nel mondo completamente da solo.

Chris venne fatto aspettare dai vicini, fintanto che i genitori venissero a recuperarlo. E la voglia di girare e vedere cosa c'era di dolce dietro l'angolo non lo ha più lasciato, crescendogli dentro fino ad esplodere.

Timothy ha cominciato a camminare, spedito, con la testa verso le fronde degli alberi. Cercava di figurarsi quali avventure strabilianti possono attendere un ragazzino con la faccia paffuta in quel mondo ch'egli sapeva essere popolato da mostri venusiani e automobili trasformabili; uomini arditi a caccia di tesori proibiti; persone che abitano con la famiglia su enormi alberi in isole sperdutissime in mezzo a chissà quale enorme mare; audaci bambini che hanno perso la mamma e stanno scalando montagne ingannevoli e beffarde che li bloccano con invincibili bufere di neve; padri inesistenti o beoni che picchiano i propri figli fino a convincerli che sarebbe meglio vivere su una zattera da fiume col proprio compagno in cerca della libertà, armati soltanto di qualche spago, una canna e tante canzoni.

Timothy non sapeva esattamente cosa stesse succedendo, ma qualcosa succedeva. Non sapeva se fossero i suoi pensieri sconclusionati o la consapevolezza infantile di che cosa voglia dire avere una casa. Non si fermò, però. Nemmeno quando le lacrime iniziarono a stracciargli la vista. Camminava a testa alta e bocca aperta, girò a destra un paio di volte. Camminò con una cantilena da tristezza nella bocca, girò a destra ancora un paio di volte e camminò ancora un pochino. Poi si fermò e suonò il campanello. E sua sorella gli chiese che cosa ci facesse in strada, così conciato. Volevo vedere il mondo, disse lui, col cuore gonfio.

Chris si è dimenticato di che cosa voleva dire avere una casa, e non c'è più tornato. Mai più.

Timothy è sempre contento di avere un posto in cui tornare. Un luogo speciale da chiamare "Casa". Lo riempie di gioia e di speranza: persino a milioni di miglia di distanza. E resta convinto che non ci sia nulla di meglio - nella vita - che tornare a Casa. Certo, per farlo, bisogna prima lasciarla.















p.s. Non conoscevo la storia di Christopher Johnson McCandless, ma se mi fosse possibile gli renderei omaggio come si fa con un Maestro, anche se lui non aveva pretesa di esserlo - a discapito di chi ne fa oggi un poster per adolescenti (o adulti mai troppo cresciuti?).

giovedì 7 febbraio 2008

Quando si ritrova il fratello perduto

Non so bene come ci si senta ad essere figlio unico. Non l'ho mai saputo.
Nella mia tribù sono il figlio più grande, quello che da piccolo è sempre stato il più diligente, il più impegnato, il più gentile, il più servizievole.

Come nei film in cui mamma e papà affrontano le più sfighe del mondo e i quattro figli devono più o meno cavarsela da soli: il grande tira le somme, la mezzana dà i consigli più arguti, il mezzano piccolo fa un po' il ribelle e la più piccola riesce sempre a dire la cosa giusta quando nessuno se lo aspetta.

Noi siamo sempre stati così. Fino a che qualcosa è cambiato. Qualcosa si è spezzato e ognuno di noi ha preso la sua deriva. Il grande inizia a fare la sua vita ovunque tranne che a casa, la mezzana comincia a scuotere la testa a qualsiasi azione di chiunque altro, il mezzano piccolo dà di matto e si infila nelle peggio compagnie, e la più piccola inizia a sparare giudizi come una vipera alla quale è stata pestata la coda.

E io come fratello maggiore ne ho sempre portato il peso, di questa deriva. Perchè è stata colpa mia. Scolpita a fuoco nelle mie parole, nei miei gesti, nel mio esserci in modo sbagliato e nel mio non esserci nel momento giusto.

Ma ieri sera ho parlato di nuovo con il mio fratellino. Che fino a pochi anni fa era la mia Nemesi, il mio Contrario. Credo sia l'unica persona con la quale sia davvero venuto alle mani.

Ci ho parlato. E' raro che accada, perchè sono spesso in giro per mari e monti. Ma ogni tanto ci si ritrova, a mangiare carne alla brace con birra e cipolle saltate, patate al cartoccio col burro e altra birra.

Ci ho parlato. E, nonostante la sua visione sia ancora lontana dalla mia, il dialogo che si instaura è serrato e contrappuntato, sereno, maschio, preciso e schietto. Un dialogo che trova energia in una successione incalzante di opinioni divergenti e spunti comuni.

Ci ho parlato. E come succede da qualche tempo a questa parte, l'ho visto crescere, farsi Uomo, essere in grado di ritagliarsi il suo spazio nel mondo - anche a gomitate se necessario. Una persona davvero con i controcoglioni, per usare un francesismo ampiamente riconosciuto.

E ne sono orgoglioso.

Queste righe le ho scritte per lui, Jack, il fratello che pensavo di aver perduto e che ora so di poter ritrovare.

Credo nel potere del dubbio

Credo nella parola

Credo nella domanda e nella ricerca di risposte

Credo che la vita sia da conquistare

Credo che comprendere non sia perdonare

Credo che l'amore eterno non esista, e che quello quotidiano sia l'unica forma vera d'amore

Credo che una scelta implichi la voglia di discutere e di mettere in gioco tutti i suoi presupposti, nella ricerca costante d’altre argomentazioni per sostenerla

Credo che il mezzo sia il fine e che il processo non abbia un prima e un dopo, ma solo un durante

Credo sia stupido chiedersi dove si sta andando, quando non ci si è mai chiesti dove ci si trova

Credo che la vita non sia un sogno ma che potrebbe essere definita un incubo per milioni di persone

Credo che il lavoro sia fatto per vivere e che non sia la vita ad essere fatta per lavorare

Credo che amare la stessa persona per tutta la vita sia possibile, a patto che se ne cerchi un motivo nuovo tutti i giorni

Credo che farsi delle domande sia legittimo

Credo che l'ignoranza sia assenza di dubbio

Credo che l'ignoranza renda felici

Credo che la felicità renda ebeti

Credo che non raggiungerò mai la felicità

Credo che la paura sia il primo sintomo dell'ignoranza

Credo che l'istigazione all'ignoranza e alla paura sia il succo del fascismo, di tutti i fascismi possibili

Credo in un anti-fascismo intimo, profondo, non "di piazza", fatto di domande e ricerche che scavalchino le paure e l’ignoranza

Credo che il dubbio sia il sale della vita

Credo che il torpore dell'ignoranza renda ottusi e incapaci di vedere le cose sotto le mille altre luci possibili e sempre vere

Credo che non esista la Verità, ma che ci siano più verità

Credo che ogni verità vada calata in un contesto preciso

Credo che la moralità sparirà dalla faccia della terra

Credo che l'uomo sia un essere profondamente egoista e quotidianamente votato alla banalità

Credo che la parola sia un'arma dolce da usare e terribile da subire

Credo che l'educazione possa diventare una forma di violenza

Credo che allevare un figlio, ponendolo sui binari contrastanti della libertà di espressione e del rispetto dei diritti altrui, oggi giorno, non sia solo difficile ma quasi impossibile

Credo che scappare non serva a nulla, anche se potrebbe essere utile farsi rincorrere dai propri dubbi e guardarli da lontano, per osservarli meglio

Credo che fare l'amore con persone diverse ogni sera sia disgustoso

Credo che ogni donna sia favolosa

Credo che ogni uomo abbia paura di ogni donna che incontra

Credo che gli occhi siano lo specchio dei sogni e che oggi non sia possibile reggere lo sguardo di nessuno sconosciuto perché si ha paura che, da lì, emergano i nostri incubi

Credo che il treno delle 710 che da Varese porta a Milano sia pieno per metà di gente che odia le amichette che urlano, e per l'altra metà di amichette stronze che lo sanno e lo fanno apposta.
Credo che, quando si raggiungerà il punto di rottura, le amichette stronze faranno la fine delle streghe dell'inquisizione

Credo che il mondo non si possa cambiare senza rivoluzioni. Credo anche che non esista nessuno disposto a farne una che sia tale dall'inizio alla fine

Credo che le rivoluzioni debbano avere una fine

Credo che l'Utopia sia figlia di Mamma Domanda e Papà Dubbio

Credo che solo i pazzi potrebbero voler continuare a passare la vita a chiedersi che cosa si meglio per l'uomo: se vivere in eterno o morire giovane

Credo che chi ha voglia di bruciarsi il cervello con le doghe o l'alcol non si rende conto di aver perso in partenza

Credo nell'anima

Credo che il nostro corpo non sia diverso da ciò che proviamo e sentiamo

Credo che il nome sia un'etichetta che impariamo ad amare, ma senza gusto
Credo di aver fatto delle immani cazzate in passato

Credo di aver fatto soffrire chi non volevo e di aver dato corda a chi non ne meritava per nulla

Credo che alcune azioni mi perseguiteranno fin dentro la tomba

Credo che sarei felice di chiedere scusa se non fosse per la cruda banalità della sofferenza che ho causato

Credo che la grandezza del mondo, se presa tutta in una volta, sia capace di muovere anche il cuore più stolto

Credo che ci sia una gran differenza tra rispetto e timore

Credo che a subire il fascino dei peggio delinquenti, siano coloro che non si chiedono la differenza tra rispetto e timore

Credo che la tirannia sia connaturata alla quotidianità umana, e che riesca a prendere il sopravvento solo quando il dubbio non riesce a intervenire

Credo che il dubbio sia l'unica arma contro ogni visione univoca e tiranna della realtà

Credo che la libertà di parola sia una necessità

Credo che dovrebbero essere banditi tutti i sistemi di espressione univoca di pensiero (anche questo)

Credo che il dubbio stia crescendo nel mondo e che il mondo sia destinato ad essere sempre più cosciente e sempre meno beota, per questo sempre meno felice

Credo che chi ci vuole beoti e felici non voglia vedersi contraddetto dai dubbiosi

Credo che chi ci vuole beoti e contenti renderà i paletti della felicità sempre più ferrei e inflessibili, salvo chiamarli “libertà”

Credo che la paura cieca sia madre della miriade di enclave di potere che detteranno i paletti per le (loro) felicità

Credo che l'amore non sia in grado di salvare il mondo, ma sia l'unica via di salvezza per la vita quotidiana

Credo che il mio futuro si stia decidendo adesso

Credo che se la vita scorre senza essere ostacolata consciamente non è degna d'essere tale

Credo che gli ostacoli più grossi siano quelli che ci impongono le nostre scelte

Credo che la soddisfazione più grande sia quella di combinare qualcosa nella vita, affrontando le conseguenze delle proprie scelte

Credo che nessuno si renda conto di quello che combina quotidianamente, piccolo o grande che sia

Credo che la democrazia rappresentativa sia una grandissima coglionata

Credo che la sola idea di stato nazionale sia una emerita cretinata

Credo che la democrazia partecipativa e locale sia la via alla libertà di espressione nel rispetto dei diritti

Credo che il mondo presto non basterà più

Credo che si assisterà ad una emigrazione interplanetaria

Credo che qualsiasi cosa sia mai stata scritta o narrata, prima o poi, troverà la sua concretizzazione

Credo che ritenere il genere umano l'unica specie senziente dell'universo sia una perfetta prova di beata ignoranza. Credo, però, che da qui a dire di aver incontrato gli alieni ci sia una sostanziale vacanza di sanità mentale.

Credo che non ci sia peggior ignorante di colui che pretende d'aver ragione

Credo che la chiesa, i comunisti, il fascio, i liberali siano lì solo per tirare scemi tutti quanti e fornire in qualche modo pezzetti immutabili di realtà, sui quali non interrogarsi mai e starsene felici per un po'

Credo che se la terra è rotonda ci sarà un motivo

Credo che l'universo abbia una fine e che noi, in qualche modo, ci si stia andando incontro

Credo che esista un qualcosa di superumano che osserva e decide

Credo che nemmeno questo qualcosa di superumano sappia bene come definirsi

Credo che la gente sia legata più a quello che vede che non a quello che prova

Credo che dubitare abbia un fine: decidere

Credo che decidere implichi una responsabilità: affrontare le conseguenze di quello che si è fatto

Credo che affrontare le conseguenze delle proprie decisioni sia, prima di tutto, metterle in dubbio

martedì 5 febbraio 2008

Nella foresta, a filo d'acqua



Ci sono giorni, ma soprattutto notti, in cui mi siedo con una tazza fumante di thé al bergamotto tra le mani, incurante del caldo che le strazia. E restando il mio corpo immobile, lascio che siano i pensieri, sempre scalpitanti, a prendere il largo: vele biancastre su legni bruni, a navigare sullo specchio d'acqua di un futuro insondabile. Forse un lago.

Ci sono giorni in cui mi fermo e mi chiedo che cosa fanno le mie mani, dove vanno i miei piedi, che cosa dicono le mie labbra. Quale che sia il mio viaggio, ci sono momenti in cui mi chiedo se una meta precisa non sia poi così superflua.

In quei giorni, e non in altri, cerco di spiegare a me stesso che essere un viandante di natura e volerlo fare anche di professione, ha una nobiltà tutta sua. Fatta di parole e gesti e soddisfazioni. Fatta di piccoli girovaghi che ti guardano aspettandosi una risposta dalla vita, e di te che gli fai capire quanto al contrario sia più prezioso continuare a domandare, a curiosare. Fatta anche di pianti, vuoti nell'animo, poche certezze e forse guai. Tutte cose che la nobiltà la conquistano attimo dopo attimo. Col passare lento della luna.

Sono un marinaio di foresta, e spingo la mia barca lungo il Fiume Azzurro. Quando mi va fermo la carovana e mi immergo nei boschi, tra i pendii dei monti e lungo i sentieri.

Avevo una Casa, ma ho scelto la foresta. Non ho terra, non ho radici. A difendermi dalla paura solo i bagagli pronti, la voglia di muovermi e il desiderio di infondere la curiosità in chi crede di averla persa o di non averla mai conosciuta.







(e, da poco, il fedele Bebop...)

venerdì 1 febbraio 2008

Questa Nave

Questa nave fa duemila nodi,
in mezzo ai ghiacci tropicali,
ed ha un motore di un milione di cavalli
che al posto degli zoccoli hanno le ali.

La nave è fulmine, torpedine, miccia,
scintillante bellezza, fosforo e fantasia,
molecole d'acciaio, pistone, rabbia,
guerra lampo e poesia.

In questa notte elettrica e veloce,
in questa croce di Novecento,
il futuro è una palla di cannone accesa
e noi la stiamo quasi raggiungendo.
(F. De Gregori)


mercoledì 30 gennaio 2008

Crepuscoli



Il momento delle scelte è un momento pieno di crepuscolo.

Si sa solo che un giorno finisce, senza che si abbia la benché minima idea della notte che incombe.

Quello che si ha negli occhi e nel cuore è la vasta immensità di un sole caldo e gentile che scende, e accende il cielo di una vita di colori pastello. E si pensa volentieri al pomeriggio, passato a rotolarsi sul prato, o alla mattina, con gli occhi meravigliati su un giorno che stava nascendo.

E si resta lì, un po' attoniti: come davanti al mare, alle nuvole di cotone e alla porta di casa dopo un viaggio durato troppo o ancora da cominciare.

Si stringono i pugni, si stringono gli occhi, si stringono i denti. Si stringe il cuore. Nella speranza che avendo scelto arrivi anche il momento in cui la tensione cali e i muscoli contratti esplodano di soffice tranquillità.

Il momento in cui si china il capo, si stacca una foglia dall'albero a fianco, e si muove il primo passo.

domenica 27 gennaio 2008





I cambiamenti arrivano quando meno ve lo aspettate.

E per quanto bravi siate a cambiare dimora tutte le notti, qualcosa vi seguirà sempre sotto il cuscino.

Dormite sodo, cari compagni di viaggio,
perchè il sole domattina vi guarderà dritto nel petto.


E al sole, come al cuscino, non si nasconde nulla.




giovedì 24 gennaio 2008

Interrare



Se sei una pianta da vaso, abituata ad essere spostata per il giardino, o da un davanzale all'altro, pensare di metter radici da qualche parte fa sempre un po' paura. Specialmente se "qualche parte" è fuori dal tuo giardino - sempre che tu ne abbia mai visto uno.

Tempo fa mi sono imbarcato in un'avventura che non sapevo quali esiti potesse dare, e che ora meno che mai mi offre risposte per il futuro. Solo speranze. E domande.

Ma è allora che ho cominciato ad accarezzare l'idea che Città dei Vicoli non sia solo un posto per viandanti che sanno guardare oltre, una testa di ponte sul mondo o un rifugio per marittime tempeste. No, non solo questo... ma anche un posto dove piantare le tende, un nuovo campo base, una fortezza dalle mura imprendibili, un porto sicuro dal quale partire con bastimenti, vivande e cavalli.

E questa idea mi si è accoccolata in grembo come fa la mia fedele gatta, col suo muso bicromatico che si struscia tra le dita ruvide.

Già...

è un po' che l'accarezzo...

E poi, non sono mica una pianta da vaso, io...

giovedì 17 gennaio 2008








Sono un orso, perché sono grande e grosso e mi muovo scuotendo gli alberi, mi gratto la schiena come posso e dove posso, e non so mai bene se mi sto comportando come si deve, ma sempre e solo come mi viene.

Sono una formica, perché lavoro sodo e corro in giro: senza una parvenza di meta, zampetto a destra e a manca portando carichi mille e mille volte più grandi di me. Eppure corro, giro e ricorro. Non una formica regina, mille formicai.

Sono un bradipo, perché mi prendo i miei tempi, perché per far scoppiare i piedi, le mani, gli occhi e il cuore c'è sempre tempo. Perchè è bello starsene appesi ad un ramo e vedere gli orsi e le formiche che corrono e si grattano la schiena.

mercoledì 16 gennaio 2008

come stai, tu?






Hai presente Indiana Jones quando scambia la statuetta maledetta con il sacco di sabbia, rimane immobile e attonito per qualche secondo a vedere la meraviglia della sua opera e poi il tempio crolla e lui deve mettersi a correre come un ossesso per non essere travolto dall'enorme masso che incombe?






Ecco.