"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


domenica 31 agosto 2008

Di risate e ali spezzate






Al rientro, un piccolo weekend di fiume senza angeli custodi, di racconti spassosamente bilingue, di passeggiate in montagna in strette gole scoscese, di affetti e amicizie a lungo trascurati.

Indossando Stivali delle Sette Leghe e valicando in quattro balzi le prealpi di Città Primadeimonti, per ritrovarsi nella piana di Nebbiascura e poi su monti alle spalle della Città dei Mattoni.

Ma saltellando felici e incoscienti per la campagna, si fa anche in tempo a calpestare qualcuno che non meriterebbe altro dolore, ma solo quiete.

E chiedere scusa mentre si cerca di spiegar d'esser stati fraintesi, non è cosa facile per i più abili oratori, figuarsi per un rozzo marinaio. Ma quiete sia.

giovedì 28 agosto 2008

Big Jim goes to Sweden






Riuscire a tradurre in parole quasi un mese di camminate in completa o semi-completa solitudine è qualcosa di poderoso. Per cui dovrò cominciare, e sperare di finire in un modo o nell'altro.


Da piccolo avevo un solo, grande eroe.
Big Jim.
E non era per i muscoli o per le mutande rosse o per il pulsantone sulla schiena.
E non era nemmeno per gli amici con i quali lottava contro le spie nemiche e il Professor Obb.

Era per i piccoli dettagliatissimi equipaggiamenti che disponeva.
Quei piccoli kit da comprare separatamente, che lo trasformavano in Big Jim Cacciatore, Big Jim Sommozzatore, Big Jim Astronauta, Big Jim Cow Boy.

Non che ne avessi uno preferito. Li adoravo tutti.
Adoravo come le piccole pistole si infilassero nelle mani di gomma.
Adoravo i disegni sui pannelli di cartone degli edifici, del camper e dell'elicottero.
Adoravo gli stivali, i pantaloni e le giacchette.
Adoravo i cappelli.

Ecco.

C'è stato un attimo, in queste giornate, nel quale il sole ha deciso di bucare le nubi e inondarmi gli occhi. E proprio in quell'attimo, mentre l'acqua del Klaralven scivolava tranquilla, mi sono reso conto che era come se mi avessero calato in una grossa scatola dei giochi e mi avessero detto Ecco, ora sei Big Jim Canoista. Sei Big Jim Canoista e hai canoa, pagaia e salvagente. Ma anche baracchino per cucinare nella tormenta, bidoni stagni, razioni per giorni e giorni, tenda, materassino e - soprattutto - piccola vanga tuttofare. Oltre ovviamente ad un poncho contro la pioggia e un nuovo cappello a tesa larga - da abbellire con qualsivoglia penna d'oca.




Ma forse è il caso di fare un passettino indietro.
Perchè non sono andato in Svezia a navigare e basta.
Ho anche camminato e fatto l'autostop. E fatto il bagno nei laghi gelati. Per un totale di quasi 600 km, tra andata e ritorno.



Sono partito dall'aereoporto di Skavsta, vicino Nykoping, a meno di un centinaio di Km a sud da Stoccolma.
Mi sono spostato verso nord-ovest e sono passato per


- Stigtoma, il paese da un solo edificio

- Yxtaholm, il castello sul lago dove sono stato attaccato dai vitelli


- Vingaker, la prima vera chiacchierata amichevole


- Orebro, la città delle paludi e dall'enorme torre-osservatorio

E poi


- Nora, dalla quale ho raggiunto l'isola di Alntorps, dove ho trascorso 3 giorni tra scoiattoli e trote


- Hallefors, il villaggio degli zombie, nel quale auto ed edifici affollavano le strade più di qualsiasi essere vivente, fatta eccezione per il maniaco guidatore del carretto dei gelati, dall'agghiacciante richiamo


- Filipstad, la città del sorriso e della mia "mamma" svedese, con i suoi gelati gratis e le sue torte regalate


- Hagfors, una palude restaurata a centro estivo


Dopo 12 giorni di cammino e autostop, finalmente Gunnerud. Buco nel mondo forestale e fluviale del Varmland, nella Svezia centrale. Base per il mio Grand Tour canoistico.


Da Gunnerud, dove mi hanno equipaggiato, sono stato trasportato in furgone fino a Branas, oltre 100 km più a nord, e lì ho cominiciato a scendere il Klaralven come solo Big Jim avrebbe potuto.

Acqua bruna quanto una Chimay, per i fondali sabbiosi ricchi di ferro. Fuoco a tarda notte, che c'era luce fino alla Mezza. Castori che si tuffano ad ogni piè sospinto. Alci che passeggiano timidi nella foresta. Stupidi topolini che vengono a chiederti se stai dormendo. Band folk tedesche itineranti che si fermano al fianco dei ponti fermando fiumane di gente. Pioggia a catinelle. Salsicce, minestre, polpette, e patate cotte nella brace.


Tornato così a Gunnerud, mi sono spostato a Stoccolma. Nella quale ho speso del tempo in compagnia di persone meravigliose, per poi scapparmene dalla città il giorno dopo, alla ricerca di incisioni rupestri vichinghe a Eskilstuna.

E poi di nuovo verso Nykoping, e l'aereoporto. E casa.



Tanta solitudine.
Tanta suggestione.
Tanta paura.
Tanta meraviglia.


La meraviglia di sentirsi diluito in un paesaggio immenso ed espanso, tra un cielo basso e gonfio, uno specchio d'acqua che intima soggezione e delle colline boscose che inducono la tentazione di carezzarne le curve con le dita.


La meraviglia del desiderio di perdersi, e lasciare che ogni parte del corpo lasci andare la presa e si metta a volteggiare per suo conto, adagiandosi dove crede sia più appropriato, per poi lasciarvisi sprofondare.


Tanta pace.
Le delusioni si sono appianate e hanno trovato altre dimensioni per esprimersi. Diventando tenacia e positività per il futuro.

Ma soprattutto, tanto tempo per scavare a fondo nella mia testa e nel mio passato. E trovare l'origine di tanti dei miei atteggiamenti, dei miei errori e delle mie piccole cose buone. E di cose interessanti ne ho trovate.
Ed era decisamente tempo che lo facessi.
Non che andasse fatto prima, ma adesso.


Senza tema di smentita sono stati i 22 giorni più significativi della mia vita.





Un ringraziamento speciale va a Ilse, i ragazzi dal Belgio, Mbabi, Anders, Natasha, Lawrence, i ragazzi di Londra che si sono incidentati in canoa, Marco e Franziska, Bijorn, Lisa e Joanna.



A casa




È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna


freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.


È una notte in Italia che vedi
questo darsi da fare
questa musica leggera
così leggera che ci fa sognare

questo vento che sa di lontano
e che ci prende la testa
il vino bevuto e pagato da soli
alla nostra festa.


È una notte in Italia anche questa
in un parcheggio in cima al mondo
io che cerco di copiare l'amore
ma mi confondo

e mi confondono più i suoi seni
puntati dritti sul mio cuore
o saranno le mie mani
che sanno così poco dell'amore.


Ma tutto questo è già più di tanto
Più delle terre sognate
Più dei biglietti senza ritorno
dati sempre alle persone sbagliate

Più delle idee che vanno a morire
senza farti un saluto
Di una canzone popolare
che in una notte come questa
ti lascia muto.


È una notte in Italia se la vedi
da così lontano
da quella gente così diversa
in quelle notti
che non girano mai piano
io qui ho un pallone da toccare col piede
nel vento che tocca il mare
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.


È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna

che è poi la fortuna di chi vive adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.

Questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato.







"Una notte in Italia", Ivano Fossati.


Un'altra canzone non poteva essere più adatta.







martedì 5 agosto 2008

Delusi e frementi


I nomadi avevano finito di attrezzare il campo mobile.


Stakanov non la piantava di pensare alle lettere da spedire, per avvertire tutti della loro prossima partenza. E sperava che le cose, al rientro, sarebbero andate come voleva, perchè sapeva bene da che parte avrebbe pesato la bilancia professionale.


L'eremita sull'albero non ne voleva sapere di spostarsi, così fu lasciato dov'era: a penzoloni del suo platano secolare, a rimuginare della vita e delle sue conseguenze.


Bebop, il cowboy acquamarino, spruzzava acqua e sbatteva le pinne, lanciando altissimi gridi texani e scagliando ad altezze ragguardevoli i pesanti bagagli, neanche fossero stecche di ghiaccioli.


Il Marinaio di foresta bramava sentire i piedi fargli male e le gambe dolere per il troppo cammino, con un groppo all'altezza del cuore che si spandeva via via verso le braccia e le mani, pronte ad afferrare qualsiasi cosa la vita gli avesse portato davanti nelle giornate a venire.


Il Marinaio era deluso.

Era stato avvicinato dal Re del Ferro e del Fuoco, con il quale aveva un rapporto del tutto particolare e altalenante.

Il Re si era proposto come compagno di viaggio per la carovana dei nomadi sulle spine, in questo gran-tour verso Nord. Sulle prime il Marinaio non aveva saputo che dire: una proposta tanto ardita non se l'aspettava proprio. Ma un secondo dopo, il Marinaio aveva accettato di buon grado, pensando fosse la migliore occasione per costruire qualcosa che non c'era mai stato.


E allora, c'erano stati i preparativi, i chiarimenti, i progetti e le spiegazioni. E il Re del Ferro e del Fuoco si era mostrato convinto di quel che voleva. Voleva partire, gli avrebbe fatto bene. Anche a costo di abbandonare per un po' la sua consigliera, L'Interpretatrice dei Fatti, abile fattucchiera.


Poi però, il dubbio si insinuò nella mente e nelle orecchie del Re. Come ci fosse arrivato, là dentro, era di facile intuizione, ma il Marinaio non si sarebbe mai azzardato a fare ipotesi infondate.


Fu così che, prendendo come scusa una spiacevole vicenda del tutto marginale, il Re del Ferro e del Fuoco si tirò indietro. Decise che non ci sarebbe più stato un viaggio assieme. Pensando che fosse del tutto inutile cercare di costruire un rapporto nuovo col Marinaio e i suoi Nomadi.


Nè ora, nè mai.

Il Re del Fuoco e del Ferro voleva restare nel suo castello, circondato da ciò che non poteva ferirlo e lontano da tutto quello che non capiva e non voleva nemmeno vedere. Lui, così forte eppure così indifeso nei confronti del mondo, accarezzato da parole dolci e bastonato da violenti insulti, provenienti dalle stesse doppie labbra.



Così il Marinaio e i Nomadi si trovarono soli, nuovamente.

A fremere per la partenza e a godere del momento in cui i bagagli sono caricati sulle spalle e il primo passo è mosso, subito seguito dal secondo. Mentre la porta di casa, alle spalle, si chiude e non si sa bene quando la si vedrà aprirsi di nuovo.


venerdì 1 agosto 2008

Bilancia professionale


Su un piatto della bilancia c'è un lavoro sicuro per almeno un anno, come sostituzione di maternità. Con stipendio fisso (part-time fino a gennaio e full-time fino a ottobre).
Sull'altro c'è un lavoro inconsistente, fatto di enormi periodi di morta e gargantueschi periodi di lavoro.


Sul primo piatto c'è un lavoro in ufficio, nel settore dell'educazione ambientale, come organizzatore, promotore nelle scuole e progettista.
Sul secondo piatto c'è un lavoro di attività sul campo, nei boschi e in fiume.


Sul primo c'è il tempo per una sola collaborazione, che comporta una crescita professionale e la possibilità di entrare, alla scadenza, nel giro degli operatori sul campo.
Sul secondo c'è tutto il tempo per un sacco di piccole collaborazioni saltuarie, nonchè periodi per lavorare all'estero.


Sul primo c'è un ambiente dinamico, ben strutturato e attivo nel settore da anni.
Sul secondo c'è un ambiente dalle enormi potenzialità di crescita ma dalle risorse (intellettuali ed economiche) fortemente limitate.


Sul primo c'è qualcuno che non conosco per nulla e che dice di essere fortemente interessato a me e al mio profilo.
Sul secondo c'è qualcuno che conosco da tre anni, assertivo per natura e ben distante dall'elargire complimenti, ma che intende puntare su di me per far crescere l'associazione.


Sul primo c'è la Ragione della crescita professionale e della "indipendenza" economica. C'è che sarei un organizzatore, più che un educatore.
Sul secondo c'è la Passione per il lavoro, l'ardore dell'essere lì e fare qualcosa di insolitamente speciale. C'è che resterei una guida, più che un educatore.


Sul primo c'è che potrei riprendere gli studi e mi dovrei sbattere un botto per fare l'università da non frequentante.
Sul secondo c'è che avrei il tempo per frequentare, ma sarei troppo impegnato a cercare lavori per tappare i buchi.



Credo di aver piazzato tutti i pesi (ognuno della sua grandezza...).


Non resta altro che togliere il fermo, e vedere la bilancia da che parte cade.


Credo sarà un'operazione piuttosto difficile.