"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


lunedì 29 settembre 2008

La leggenda del vecchio stupido indiano





Un vecchio stupido indiano era solito andare a caccia solo. Non che non gli piacesse stare con gli altri indiani, ma un po' lo infastidivano i loro schiamazzi, un po' lo infastidivano gli sguardi d'intesa dai quali si teneva fuori, un po' lo infastidivano le parole vuote e blaterate, e un po' lo infastidivano i commenti degli altri cacciatori. Perchè il vecchio stupido indiano cacciava solo volpi.


Da sempre, al vecchio stupido indiano interessava starsene da solo, inventare i propri racconti, disegnare le proprie avventure e, con quelle, stupire un qualche passante che incrociava la sua strada, di tanto intanto. Lo conoscevano tutti, il vecchio stupido indiano, ma nessuno sapeva bene che cosa avesse per la testa.


Era capitato, tempo prima, che l'indiano - allora più giovane e più ingenuo - si trovasse a caccia tutto solo, intento ad inseguire non si sa bene se una lepre o un capriolo. Correndo per il sottobosco, il giovane vecchio indiano si imbattè in una volpe. Una volpe bellissima, fulgida e profumata di selvatico, con gli occhi accesi e vividi. Una volpe ferita, con una zampa imprigionata in una tagliola. Una volpe stremata, ma ancora così accesa di rabbia da ringhiare e agitarsi nervosamente.


Il giovane vecchio indiano se ne innamorò perdutamente. Si tolse la giacca di pelle e vi avvolse la volpe e la tagliola. Facendo ben attenzione a coprire gli occhi della bestiola, così che si calmasse un poco. Sollevatala, la portò con sè in una radura isolata e lì costruì una tenda. Vi portò tutte le erbe medicinali che conosceva e con una pazienza incredibile aiutò la volpe a togliersi dalla tagliola e a far guarire i profondi tagli che le laceravano le zampe. La volpe cercò ripetutamente di mordere la mano del giovane vecchio indiano, ma questi non la spostò mai. Si lasciò mordere tutte le volte, finché i morsi non si trasformarono in flebili leccate.


Il tempo passò, e il giovane vecchio indiano invecchiò un poco. E la volpe, ancora zoppicante, con lui. Non uscivano mai soli e non si allontanavano mai troppo dalla radura. Il suo amore per quella coda e quegli occhi che di notte si accendevano erano ormai cosa nota. E tutti cominciavano a dire che il vecchio indiano non era mica tanto a posto, che una volpe è una volpe e le volpi non si addomesticano mai, anche se sono meno pericolose dei lupi. Insomma, il vecchio indiano diventò il vecchio stupido indiano, dal cuore annebbiato e dalla mente fuori asse.


Un giorno, la volpe, che aveva quasi smesso di zoppicare, uscì da sola dalla tenda. Attirata da un rumore sconosciuto quanto curioso, si diresse verso il limitare del bosco. Al limitare del bosco, si spinse fin'oltre i primi arbusti. Dai primi arbusti fino alle grandi querce. E arrivata lì non si voltò più indietro. Il vecchio stupido indiano si alzò di soprassalto e non vedendo l'amata volpe al suo posto, uscì in fretta dalla capanna e ne seguì le impronte. Riuscì a vedere dove l'amata si era fermata per voltarsi. Una, due, tre volte. Riuscì a distinguere quando l'amata aveva ripreso la corsa. Una, due, tre volte. Sempre più a lungo, sempre più veloce. Senza più fermarsi.


Non si sa bene quanto tempo lo stupido vecchio indiano sia rimasto nel bosco, girando ogni pietra e invocando il nome della sua volpe ad ogni foglia calpestata. Si sa solo che da allora, il vecchio va a caccia esclusivamente da solo. E caccia esclusivamente volpi. Le avvicina e prova ad accarezzarle. Quelle che si lasciano accarezzare, le lega ad un albero. Quelle che lo mordono, porge loro l'altra mano.




domenica 28 settembre 2008

Smemorandum etnico





Si può dimenticare il compleanno della mamma
per una cena cingalese alla quale ci si è per giunta quasi autoinvitati?

Cazzo.

Si può.



sabato 27 settembre 2008

Tra due (sacri) fuochi





Crissy è una bambina di circa undici anni.

Abita nella casa al piano terra della Grande Arca, sede del mio nuovo covo. Per inciso, la Grande Arca si chiama così per la varietà di bestie sacre che contiene, ma anche per la forma dei balconi, che ricordano i ponti delle Grandi Navi Veloci.


Crissy, al pomeriggio, tutti i pomeriggi, è a casa da sola. I suoi genitori lavorano, e la lasciano a scorrazzare per la corte ghiaiosa con la sua piccola bicicletta rossa.

A proteggere Crissy dai loschi individui venuti dal Medio Oriente che abitano sotto il tetto della Grande Arca, i suoi genitori hanno lasciato sette grosse immagini di Gesù Benedicente.

Sono lì, appoggiate ognuna contro il vetro di una delle finestre che danno sulla corte ghiaiosa, a guardare fuori minacciose. Guardano verso la corte, ma anche verso le scale che gli Infedeli devono prendere per salire nel loro sgabuzzo vicino alle ciminiere. Contemporaneamente.

Sì, perchè le immagini del Gesù Benedicente in questione, sono di quelle che si muovono quando le inclini, di quelle che ti seguono con lo sguardo quando ci passi davanti, di quelle che la Manus Dei compie il gesto a ripetizione se la guardi prima di qui, poi di là, poi di qui. Di quelle comprate nei negozi dei cinesi, per intenderci.

Degli Infedeli del sottotetto non so nulla, se non che hanno festeggiato il Ramadan con stile e senza troppo garbo: da veri praticanti, insomma. E secondo me questo pomeriggio li ho anche sentiti dire due preghiere, che non guasta mai.

TeoCon al piano terra e islamici al secondo.

Io nel mezzo.

La settimana prossima invito tutti per una cena inaugurale e vediamo che cosa succede.




giovedì 25 settembre 2008

Trent'anni



Da www.consumietici.it del Febbraio 2003.







Trent'anni.

Tanti sono trascorsi da quel giorno in cui venne colpito a morte Roberto Franceschi. Trent'anni eppure sembrano pochi per me che, come pochi altri in confronto a quanti avremmo potuto essere, ho continuato a lavorare per la politica e per il sociale senza mai perdere la speranza in un mondo diverso, più giusto.


Ma trent'anni incominciano a essere sufficienti per dare valutazioni che vadano al di là della pura cronaca. Sono sufficienti per "leggere" gli anni dal 70 al 75 con occhio di storico e non con nostalgia.


Cosa ci rimane di allora? Cosa può essere utile di quell'esperienza ai giovani di oggi?
Ne ho parlato con i giovani volontari della nostra associazione che hanno osservato come la morte di Roberto sia similare a quella di Carlo Giuliani. In molti, in troppi pensano che non sia cambiato nulla, che il sangue e il dolore di quegli anni sia passato invano. Non è vero. In quegli anni la magistratura era meno indipendente, anche quella che oggi è accusata di essere di parte (politica naturalmente perché se sono dalla parte della popolazione sono nel giusto ovviamente). In quegli anni DC e PCI e tanti altri fecero blocco per oscurare la verità sulla morte di Franceschi arrivando addirittura a far scomparire la foto che incriminava la polizia.


La situazione (malgrado tutti i rimproveri che si possono fare alla magistratura genovese) è realmente cambiate. Sia nella Magistratura sia nelle Forze di Polizia stesse, sia nella maggioranza del Movimento dei Movimenti c'è più "senso dello Stato". In generale c'è una diversa visione (più matura) della democrazia. Non sono passati invano gli anni, non è stato versato invano il nostro sangue, la nostra fatica, il nostro dolore.


Ma cosa possiamo "passare" alle nuove generazione come "riflessione utile" dell'esperienza del movimento giovanile iniziato nel 69? Più che un messaggio positivo una avvertenza. E' normale che i movimenti (che sono tali e potenti perché indirizzati su obiettivi parziali) tendano ad un certo punto a fare scelte più "complessive" nel momento in cui, è inevitabile, diventa a tutti chiaro che la soluzione di problemi anche parziali dipendono dall'organizzazione generale politica della società.


Noi l'abbiamo fatto, abbiamo generato partiti e organizzazioni. Tutto finito in nulla.
Ai movimenti e ai partiti allora questa avvertenza: ognuno faccia la propria parte. I movimenti generino lotte ed elaborazioni e i partiti le sappiano cogliere. Dirò di più che i movimenti non si facciano inglobare dai giochi dei partiti o delle loro correnti, ne stiano ben fuori. Ai movimenti non deve interessare quale partito, quale uomo politico, quale leader, quali sommovimenti si presentino in un'area politica o in un'altra. I movimenti rimangano fedeli alla loro matrice e alla loro natura.


Come ebbe a dire il grande Wilhelm Reich "il potere è la potenza che si struttura" e, nel momento in cui si struttura inizia perdere se stessa (è in analogo la scoperta di Einstein sul rapporto energia/materia). Questa è la storia di sempre. E' bene che i movimenti (che sono potenza) lascino intatta la loro forza e i partiti (che sono potere) vengano scossi dalla potenza dei movimenti rimettendosi in movimento come la società stessa. E' nella dinamica delle cose (e quindi della società) il segreto della sua capacità di rinnovamento e di riequilibrio. E' nella contrapposizione pacifica, cosciente e responsabile fra dinamica (la libera espressione della forza creativa individuale e collettiva) e la "statica" (le regole del gioco fissate per i diritti base degli individui e per la gestione del potere) che costruiremo una società più giusta.


E in questo senso voglio rendere omaggio a Roberto Franceschi come intelligenza attuale e persona viva e presente. Non è il solito peana per chi non c'è più!Con Roberto firmai la mozione per la seconda grande occupazione del liceo scientifico Vittorio Veneto di quegli anni, ma sempre con Roberto litigai duramente sull'invasione di Praga. Ed era lui ad avere ragione, che era ferocemente contro.Lui più cosmopolita, nipote di perseguitati aveva chiaro che cosa era la libertà e il diritto civile individuale e la non violenza. Io, più preoccupato del bisogno di unità del movimento socialista e comunista nel mondo, non giudicavo con durezza l'intervento del Patto di Varsavia, anzi!


Occorre dirlo chiaramente, ha vinto la mentalità che io, in piccolo, rappresentavo. E il movimento ha perso la sua bellezza, la sua forza; ha incanalato la sua potenza creativa in piccole strutture di potere che erano partiti e organizzazioni politiche.


Noi, fautori di questa mentalità, che vedeva in uno Stato Socialista illiberale la forza di contrapposizione ad uno Stato Conservatore illiberale, insieme alla repressione politico/poliziesca abbiamo fatto morire una speranza di cambiamento della società riuscendo solo a "rinnovare di poco e male" il presente.


Vi invito a andare a vedere la mostra "L'emozione e la memoria" alla Bocconi di Milano e a seguire tutte le iniziative, a partire da quella del 23 gennaio sera, che si terranno alla Bocconi per il trentennale di Roberto Franceschi.


Federico Ceratti, presidente di AceA

mercoledì 24 settembre 2008

Mezz'asta








Esistono Capitani e capitani.
Tu eri uno di quelli che non guardano in faccia a nessuno.
O meglio, uno di quelli che guardano tutti dritto negli occhi e vanno per la loro strada.
Mai uno sguardo sfuggevole.
Mai una stretta di mano languida.
Sempre deciso.
Sempre preciso.

Mi hai accolto che ero uno sbarbato senza alcuna idea della vita.
Mi hai insegnato la correttezza, mediata dalla tenacia.
Mi hai insegnato che si può credere nelle idee, vederle sfumare senza perdersi d'animo, e ricominciare a macinare terreno fino a prendere il volo.

Tu e le tue dannate sigarette arrotolate.
Tu e i tuoi occhialetti rotondi.
Tu e le tue spalle, curve una volta di più ad ogni piccolo infarto.

E ne avevi passati, di acciacchi.
Con il tuo sorriso beffardo in faccia al mondo, in faccia a chi stava dalla tua parte ma non reggeva le tue idee così radicali, così aderenti ad un'etica che pareva essersi eclissata in questa Italia che tanto amavi e tanto detestavi.
Ne avevi passati di acciacchi, sempre con la sigaretta in bocca e gli occhietti sorridenti.
Ne avevi passati, già...
E ora che sembravi risorgere, adagio adagio, stanco ma non abbattutto, uno stupido incidente ti ha levato il timone dalle mani.


Non ci siamo lasciati come avremmo voluto.
Ne portavo il rimpianto prima, figurati ora.
Abbiamo le nostre teste. Più cani sciolti che cani da muta.
E forse io son venuto su più cocciuto di te.
Io come te, ad inseguire una Balena Bianca.
Solo che ne avevi ancora così, di cose da insegnarmi.


Quello che mi rincuora, ora, sono i nostri sguardi,
le nostre strette di mano.
Sempre salde e dirette, perfino nella burrasca.
Piene di stima e, in fondo, di fiducia e affetto reciproco.
Spero la tua stima, il tuo affetto e la tua fiducia per me fossero almeno la metà di quelli che provavo per te.


Sono fiero di aver navigato sotto il tuo comando.


Buon viaggio senza ritorno, Federico,
amato amico
e Capitano.













martedì 23 settembre 2008

Chiavinmanotuttocompreso










Ho le chiavi.




Entro il primo giorno del nuovo mese.






Chi va e chi resta






C'è una personcina ruvida,

che non si sa quando parte,
che non si sa quando torna,

che si sa solo dove si sposta,
che si sa solo quanto si ferma.


E c'è un bacino ruvido del buon viaggio.

Che si sa solo che è in anticipo,
forse che sì, forse che no.



lunedì 22 settembre 2008

Di cuore





Una semplice telefonata, quando è sentita e sincera,
noi qui nella foresta, la si ricambia con un sussurrato Grazie.
Semplice, forse. Ma sentito e sincero.








In fretta e furia




- Pronto? Maestro? Buongiorno...

- Sì?

- Son stato suo allievo per qualche anno, qualche tempo fa...

- Ah, sì! Ciao! Come stai?

- Bene, Maestro. Mi scusi per la latitanza! Ora mi sono sistemato un poco... che ne pensa se riprendessi gli allenamenti?

- Ottimo, ti aspetto stasera alle 9, pronti e via!




Dopo il lavoro nuovo.

E dopo il nuovo covo.

Ora si riprende col Karate.


Una voce, sottile...





Ho nostalgia dei vicoli, puzzolenti, sempre affollati e pieni di Storie.

Del mare, che calma gli animi in burrasca.

Delle salite, che rubano il fiato ma lasciano spazio ai graffittari.

Delle scalinate, così docilmente dissestate.

Della focaccia al formaggio, che col crudo è anche meglio.

Dello yogurt, da mangiare sui gradini del presidio militare.

Della Nave Italia, che prenderci il sole son buoni tutti, ma ci farei volentieri l'amore.

Della De Amicis, a piedi nudi sulla moquette a leggere o intrattenere i marmocchi.

Della Berio, piena di facce snob e bei libri da custodire.

Di Piazza De Ferrari, coi toffa da una parte e i bauscia dall'altra.

Della passeggiata di Pegli, in due, in quattro, ma anche da solo.

Di piazza Caricamento, sui gradini a mangiar schifezze dal sapore divino.

Di Principe e anche un po' di Brignole, che quando sbuchi dalle gallerie sai di essere a Casa.

Degli autobus, impareggiabili destrieri mastodontici, leggiadri come libellule.

Della vespa, l'unico mezzo di locomozione ad avere un senso (poetico).


Ma soprattutto dei vicoli.

E degli accenti.

E di tutti i volti che lì in mezzo mi hanno accompagnato.

Per quattro anni.



Avanti e indietro.




domenica 21 settembre 2008

Terra!







Dopo anni di navigazione a vista,

il Marinaio e la disparata carovana sono approdati

in quella che pare una terra disabitata.


E ora si costruiranno un nuovo covo.

Un rinnovato rifugio tra le fronde,

una diversa caverna tra i pipistrelli.


Una solitaria foresta di Sherwood,

un'isola insolitamente sperduta.


Al quale tornare dopo le traversate e le avventure.

Tra colline boscose e lievi anse fluviali.


venerdì 19 settembre 2008

Pellicole a ritroso



La Duchessa di Borgogna si occupa un po' del perchè l'Antimateria sia stata soverchiata dalla Materia, durante il Big Bang, e un po' di come si usano i proiettori professionali nelle sale cinematografiche.


Così, lo scorso Giorno di Luna, mi ha reso partecipe dei segreti dei Fratelli Lumiere.


Sembrava essere una sera come tante altre. Settembre appena cominciato, l'aria pulita dalle ultime piogge estive, una luna tonda come un dollaro d'argento, qualche stella per non farci mancare nulla.


Ma ci trovavamo al vecchio cinema di Borgo dei Galli. Uno di quelli che sono stati restaurati dopo settantanni di attività, che quando ero piccolo mi ricordo le poltrone in velluto rosso a coste e gli schienali in legno - timore d'ogni ginocchio.


Uno di quei vecchi cinemi che quando entri ci sono le tendone in velluto, pesanti come il silenzio che sono magicamente in grado di creare, ed enormi quanto l'immensità della sala che si nasconde alle loro spalle.


Uno di quei vecchi cinemi che, dietro qualche porta e qualche scala, celano il ticchettio insistente e discreto della pellicola che viaggia a 24 fotogrammi al secondo e viene irrorata di luce animata.


Uno di quei vecchi cinemi di provincia, monosala monoaudio monoschermo monoseggiola monotoilette monoparcheggio, ricavato appena dietro l'oratorio e fiore all'occhiello delle giunte comunali sino all'avvento di quelli multisala multiaudio multischermo multiseggiola multitoilette multiparcheggio.


Uno di quei cinemi, per intenderci, che tanto sono nati come teatro e allora facciamo anche il cineforum se no finisce che chiudiamo baracca e burattini.


Quella sera la Duchessa mi ha aperto la strada dietro due tende che non avevo mai visto muoversi, lungo scale che credevo inesistenti, attraverso porticine tagliafuoco che spero non debbano mai essere chiuse. In sù, fino ad una calda saletta ingombra di strani e rumorosi macchinari luminescenti.


Ed eccoci lì, nascosti dietro quattro feritoie a vetri doppi, a mille altezze sopra le teste degli spettatori, costretti a sussurrare per non far piombare di sotto le nostre parole e le nostre risate. Io sussurravo le mie curiosità e la Duchessa, rispondendo gentilmente, governava con maestria e decisione proiettori e pellicole.


Così è passata la serata: chiacchierando del perchè il bosone di Higgs rischi o meno di inghiottirci tutti e del percome la Croce di Malta impedisca alla pellicola di incepparsi, muovendola un fotogrammo alla volta.



Duchessa, grazie di cuore.
Tornerò a farle compagnia quanto prima. Con immenso e lucente piacere.

giovedì 18 settembre 2008

Ogni piccolo passo convinto





- Pronto? Buongiorno signora...

- Sì? Mi dica!

- Mi chiedevo se l'annuncio per il bilocale era ancora valido...

- Eh, sì, neh? Son stata via per dei giorni, sa? m'avran cercata, ma io mica ero a casa, neh?

- Ok... Senta, posso venire domani a vederlo?

- Orpo, certo... Abito davanti alla farmacia, io. Che macchina g'ha, lei?

- Una Twingo. Una twingo blu con i portapacchi in gommapiuma...

- Ah, sì... Va beh... si faccia trovare davanti alla farmacia alle duemmeza, che mi a guardi föra da la finestra. Cand la vedi a vegni föra mi...

- Va bene, signora, facciamo alle duemmezza, allora. A domani.

- A domani, neh?

mercoledì 17 settembre 2008

Revisionismi glotto(il)logici




Una bella gita, passeggiando per una piana glaciale tra due pendii di colline moreniche, nella più profonda provincia di Città Primadeimonti.

Da guida, sto facendo le mie osservazioni su piante, animali e formazioni geologiche, quando ci imbattiamo in uno stagno nato da una piccola risorgiva nei paraggi.

Bimbini - Scusa, signore guida, perchè si chiama Laghetto "Dul Peder"?

Maestra - Ve lo dico io, bimbini! Una volta, qui veniva sempre un signore che di chiamava Pietro a prendere l'acqua, e tutti han cominciato a dire, "quéllì, l'è ul laghet da quéllà, l'è ul laghét dul Peder!"

Bimbini - Ma, maestra... tu parli dialetto?

Maestra - Eh, sì, parlo la lingua dei Celti!

Bimbini - .. ooohh...



L'ho bastonata. Letteralmente.

Maresciallo, il cadavere è sul fondo dello stagno.
















domenica 14 settembre 2008

Sguardi svedesi



Eskilstuna, La Quercia di Odino e Sigurd



Anatre in volo sul Klaralven.



Casa diroccata sulle sponde del Klaralven.



Eskilstuna, città vecchia.



Isola di Alntorps, veduta di Nora e dell'Angelo caduto.



Panoramafluviale.



venerdì 12 settembre 2008

Coincidenze botaniche


Mentre sorseggio il primo caffè della mattina, salta fuori che devo andare in una scuola e costruire un orto botanico con bulbi, piantine, serra, sistema idraulico e boschetto della fantasia con cigliegi robinie e querce rosse canadesi. Entro questo autunno.


Mentre sputo metà del mio primo caffè sullo schermo del computer, tra eccitazione e terrore, mi trascinano in auto fino al Comune in questione, per l'incontro con l'Assessora e l'Architetto.


Il Comune lo conosco. Ci sono cresciuto.


Si discute di soldi, che ce n'è.
Si discute del numero delle classi, che son tante ma coinvolgiamone ancora.
Si discute di sentieri sensoriali e aree ombrose, che un locus amoenus se no non è tale.


Un pizzicorio mi percorre le mani. Scusate se azzardo, ma nessuno mi ha ancora detto di quale scuola si tratta.


Sì, scusa, la Scuola elementare di via XX Settembre.


Il pizzicorio si fa certezza. E mi lascio sprofondare nel flashback.
La mia scuola.


Passo il resto della riunione e della mattinata a rovistare ricordi talmente sbiaditi che stento a riconoscerli.

C'è la Maestra Carla, che ero il suo preferito, un po' come tutti gli altri.
E che poi ci ha lasciato per far visita ad un cancro.

E Virginia che in quinta si slacciava il grembiule, mi chiamava sottovoce e mi mostrava le cosce dentro i collant nuovi.

E Valentina che mi faceva innamorare perchè era l'unica più brava di me e poi aveva gli occhi a mandorla.

E Matteo che condivideva con me i problemi di matematica, la coda delle lucertole e i giochi più pirateschi.

E Filippo, l'unico a cui abbia mai dato un pugno sul naso, colpevole di aver insultato Matteo.

E le partite di Baseball senza mazza e senza palline, giocate sul pavimento in linoleum verde della palestra, vicino ai giganteschi gradoni in cememento.

E le finestre blu a tagliola, che hanno fatto saltare l'indice a Serena.

E gli esami di quinta preparati con Emma, studiando la Prima Guerra Mondiale.

E l'odore della segatura nell'atrio, quando pioveva e tutto si inzuppava.

E le feste di compleanno a gare di chi beve più roba gasata e mangia più torta al limone.

giovedì 11 settembre 2008

Le barrage






E' come contenere un lago.

Devi aver costruito una diga, una diga bella grossa.
E il gioco sta nel controllare,
giorno per giorno, ora per ora,
le falle e le crepe e i cedimenti.

Per metterci un po' di calcestruzzo,
due travi di legno,
un po' di sputo e di catrame.
Quello che riesci, quello che puoi.

Perchè se cede, l'inondazione sarà completa.



mercoledì 10 settembre 2008

Parlar d'amori vissuti





"Quando parli dei tuoi amori, sei più vero che mai.
Starei una vita ad ascoltarti".
Europa, la fata liberal-anarchica del lago.



martedì 9 settembre 2008

E ancora mi chiedo chi sia






Il Colonnello è un uomo sulla sessantina, ha pochi capelli corti e brizzolati, la pelle rugosa e il sorriso sempre pronto, a nascondere un ghigno beffardo. I suoi occhi sanno essere tanto sfuggenti quanto penetranti, quasi pericolosi. Ha le braccia lunghe, il Colonnello, e le mani grandi. Di chi per anni ha maneggiato vanghe, zappe e tornii di ogni genere. Si vede che ha lavorato, un tempo, il Colonnello.

Il Colonnello però ha anche la pancia, grossa, rotonda, dura. Gli spunta dalla camicia a righe con le maniche corte, quasi a chiamare a raccolta la fila dei bottoni, che possono rilassarsi solo nei dintorni del colletto, dove dimorano collanine hawaiane e aborigene: con una croce d'argento nascosta nel mezzo. Sono anni che il Colonnello sta dalla parte giusta della barricata. Sono anni che non deve più togliersi il nero grasso dalle unghie, al rientro a casa.

La pancia del Colonnello gli pesa, e lui cammina spedito per la strada per poi fermarsi ed appoggiare le mani sui lombi, stirandosi la schiena un po' ingobbita. Il gesto gli viene naturale, e sembra quasi si voglia fermare a guardarsi intorno per dire Un giorno tutto questo non era mio. Quasi nostalgico, quasi triste, quasi che gli manchi qualcosa, come la coscienza.

Il Colonnello è tronfio, soddisfatto, paffuto, goliardico, buffone, irriverente, mascalzone e tentacolare. Possiede più di mille milioni di soldi, sparsi per le sue ventiquattro assoimprese intercomunalprovinciali: editoria, edilizia, svago ed evasione sono i suoi terreni di caccia. E la caccia per il Colonnello è sempre Caccia Grossa.

Il Colonnello vede lontano e vola basso, tra la gente comune, quella persa in un mondo senza più legami, senza più identità, senza più comunità. E la gente persa, abbagliata dalle stelline sul suo petto, gli si aggrega intorno come ad un fuoco nel bel mezzo di una notte di novembre, quando il nevischio congela le orecchie e i capelli sanno di bagnato.

Il Colonnello però non lavora per mettere in tasca soldi. SignorNoSignore! Il Colonnello lavora per allargare il suo esercito. Lui si sposta con la sua corte, i suoi carriarmati e le sue infermiere. Passa di villaggio in villaggio a parlare con i mugnai, i contadini, i falegnami, i fabbri, i pretucoli, le mondine e le lavandaie.

Il Colonnello fa in modo che il mugnaio dia la farina ai fabbri, che diano i chiodi ai falegnami, che passino gli attrezzi ai contadini, che arino i campi per le mondine, che passino il raccolto alle lavandaie che lavino i panni ai mugnai che facciano offerte ai pretucoli che diano la loro benedizione al Colonnello.

Fa in modo che tutti dicano Che bravo il Colonnello, senza di lui non ci sarebbe questa comunità!, oppure Che bravo il Colonnello senza di lui tutta questa collaborazione sarebbe stata un banale passaggio di merci e soldi!

E forte di questo, il nome del Colonnello fa tanto rumore che sono i Re e i Governatori stessi, quale che sia la loro famiglia di appartenenza, a mandare i propri emissari per sapere Che intenzioni hai, Colonnello? E dove vuoi arrivare?

E il Colonnello risponde Caro re, caro Governatore: senza i tuoi soldi ho costruito un piccolo impero prolifico, un piccolo esercito di soddisfazione. Pensa cosa potrei fare se tu mi lasciassi usare un po' del tuo oro.

E non esiste Re o Governatore che glielo abbia rifiutato.
Senza chiedere più nulla.

E il Colonnello continua il suo giro indisturbato, senza che nessuno sappia esattamente dove abbia preso i gradi e le stelline, come abbia intenzione di spenderli o a chi debba renderne conto. Senza che nessuno si prenda il disturbo di domandare.



L'ho conosciuto, io, il Colonnello. Esiste. Calca le vie di Nebbiascura come il cortile di casa sua. E ancora mi chiedo. E mi chiederò.







lunedì 8 settembre 2008

Al giro di boa


Arrivano giornate, nel corso egli eventi, che si distinguono per la chiarezza del cielo, il caldo gentile del sole e la virata improvvisa degli odori verso una tonalità umida e rossastra.

Sono le giornate settembrine, cariche di una malinconia provocante, che spinge a guardare verso l'autunno già in cammino e l'inverno incombente come si guarderebbe un castello diroccato, poco prima di entrarvi: carico di memorie nascoste, ma pronto ad un'esperienza completamente rinnovata.

Ancor più cariche di energia lo sono, queste giornate, se si accompagnano a grandi novità e cambiamenti, tanto nella testa e nel cuore, quanto nelle mani e nelle gambe.
Il giro di boa è arrivato mentre me ne stavo a navigare tra i boschi del nord, senza quasi che me ne accorgessi, leggero e acrobata come un piccolo geco alla sua prima caccia solitaria.

Prendere coscienza che esistono Nomi che ritornano o Nomi che mai se ne sono andati vuol dire molto, nella vita di un marinaio.
Ancor più significativi sono i motivi per i quali questi nomi continuano ad apparire, anche dopo averli chiusi nei più reconditi cassetti. Magnificamente impensabile, infine, è quando si riesce a prendere una decisione sul come ci si dovrà comportare, verso questi Nomi. E perchè.

Anche l'aver cambiato del tutto luogo e mansioni del mio vagabondaggio professionale promette grandi cose.
Mi si prospettava un ambiente stranamente alternativo, chiuso tra una scrivania di compensato e quattro mura in vetro-cemento. E invece mi si offre carta bianca sui progetti e la possibilità di mantenere inalterata la mia natura di guida escursionistica. Un piccolo universo nel quale dar finalmente libero fondo ad estro, fantasia e voglia di coinvolgimento.

Ed è così che questo Giorno della Luna si lascia alle spalle la prima settimana di settembre, nella quale notte e giorno si sono inseguiti senza soluzione di continuità: tra gnocchi fritti, Mercanti di Liquori, grappini, birre, affetti, tenerezze e qualche ciurma di marmocchi desiderosa di apprendere i segreti dei naviganti di fiume.

Una prima settimana settembrina chiamata a portare questa nave dai Mari Estivi dell'Introspezione oltre la boa, verso le Acque Autunnali delle Meraviglie.