"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


martedì 23 dicembre 2008

Ovunque vai, ci sei già...









Che la mania di andare non placa mai.

E tre mesi di quattro mura e un tavolo si fanno sentire.

Nelle ossa intorpidite, nel ginocchio che vorrebbe star male, nello spirito che langue.

Quindi zaino in spalla.

Si va in mezzo alla neve.
Quella seria.




giovedì 11 dicembre 2008

Turbinando









Preso tra gli affanni della vita solitaria, mi rendo sempre più conto di quanto il tempo mi sfugga sotto il naso, infilandosi nella sciarpa, tra le pieghe del cappoto, come una sbuffata d'aria fredda ingrata e certosina.



Stanno filando bene, queste giornate di vita vissute un po' come essere adulti , ma non troppo.



Filano via veloci tra una balena in legno e qualche bastone magico, lavorati e levigati in serate solitarie passate a rivedere vecchie glorie come Moby Dick, LadyHawke, La Cosa e i succulenti 26 episodi di Cowboy Bebop. Che tanto non stancano mai.



Filano via con la ruvida carta vetrata tra le mani, e il legno liscio sotto le dita, e la polvere profumata sparsa un po' sui pantaloni e un po' tra i capelli.



Filano via veloci tra una riga di Potter ed una di Nietzsche, che si mescolano amabilmente tra pensieri un po' apocalittici e un po' farfalloni, in quelle domande tutte interiori che vagano tra Chi sono io? e Avrò mica bisogno di coccole?



Filano via come il Rhum, che dalla cambusa mi passa tra le mani e lo vedo finire nelle casse degli artigiani e commercianti sotto casa: barbieri, ortofrutticoli, alchimisti, focacciari...



Filano via che tra una dichiarazione d'amore coi fiocchi (di neve) e una di amicizia con le palle (di natale), ricevo più affetto che un bambino nella culla, non sapendo bene che cosa ridare in cambio, se non quello che sono.

E il punto è che non lo so più con certezza. Da un po'. Che il vento soffia da un pezzo, tanto che anche i muri iniziano a gemere.


Perchè le giornate filano via, ed io, con loro, sono in mezzo al turbine.

Bisogna portar pazienza.
E continuare a scavare.

Ancora per un po'.




mercoledì 3 dicembre 2008

Condivisioni partigiane









Sai quando ti ha sussurrato Che bello, si vede che siete felici?


Al di là di tutto, quel giorno, eravamo felici davvero.


Tu di presentarmelo, io di conoscerlo.


Tutt'e due di avere un pezzetto enorme della tua vita da condividere.





Un po' di mare dentro, e fuori










Non sono fatto per restare in città.
Che io ci sia nato o ci sia diventato, insofferente alla claustrofobia da lastricato e cemento, non saprei dirlo. Dico solo che dopo qualche minuto passato nel mezzo di un ingorgo di viandanti, se riuscissi ad afferrare la prima scopa volante nei dintorni mi alzerei in volo ancor prima di aver detto Quidditch!



L'unica città che mai e poi mai mi ha fatto sentire così legato, è Città dei Vicoli.
Con i suoi labirinti, con i suoi odori, le sue puzze, i suoi pezzi di cielo, le sue vie sempre quelle mai uguali. Il suo mare.

Il mare a Città dei Vicoli è fondamentale. Ma non perchè dà lavoro ai portuali e a tutto il mondo, da quelle parti. Anche, ma non per quello. E' fondamentale, perchè la Città gli respira addosso.

Come in un enorme, collettivo esercizio Zen. Ci si ingabbia nello stomaco tutte le preoccupazioni della giornata, poi si apre una finestra, si svolta una curva, si sbuca da un angolo... ed il mare è lì. Immenso e inevitabile.
E il respiro, le tensioni, ti escono fuori.
Scivolano via. Non dalla bocca: dall'ombelico.
E ti senti vuoto. Libero.




La stessa insofferenza che nutro per la città, la nutro per il lavoro fatto nelle Stazioni di posta. Al chiuso. Quelli senza viaggi, senza avventure.




In queste giornate di aria frizzante e cieli tersi, passati a guardarle scorrere da dietro un pesante vetro a quadrettoni, dovrei sentirmi come un orso russo: blindato in qualche circo a ciondolare il testone da una sbarra all'atra.


E invece no. A dirla tutta, la testa vaga per le lande infinite dei ricordi e della fantasia, ma mai più del dovuto.


Di Stazioni di posta, lungo il mio cammino, ne ho viste parecchie. Ce n'era una nella quale mi sono ritrovato a preparare intrugli quasi immangiabili per viaggiatori volanti, un altro nel quale mi si voleva sorridente anche se le persone con le quali parlavo stavano al di là della cornetta, e un posto nel quale intessevo strane notizie inventandole o rappezzandole qua e là.


Insomma, come un buon viaggiatore, un po' nomade e un po' no, ci sono stati momenti della vita nei quali ho preferito fermarmi dal continuo vagabondare, e prendermi una pausa, tirar su un po' di Rhum da barattare con un pezzo di pane o altro. Ed è sempre stato uno strazio.


Però, di Stazioni di posta come quella nella quale mi sono fermato ora, non ne avevo mai trovate.

Perchè se è vero che lavoro sodo e la testa mi gira e anche fatico a starmene seduto, spesso mi ritrovo a passeggiare nel cortile o sotto il portico, sorseggiando un caffé lungo e guardando le nuvole, preparandomi a qualche strano avvenimento che presto incomberà sulle nostre testoline fumanti. Insomma, mi sento quasi a Casa. E per un viaggiatore irrequieto vuol dire molto, ve lo assicuro.



E' un po' come guardare il mare.
Solo che è dentro.