"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


mercoledì 20 febbraio 2008

Nomadi sulle spine, da sempre

Chris una notte si è svegliato, aveva quattro anni, e in pigiama se n'è andato in giro per sei isolati. A vedere che cosa c'era dietro l'angolo. Lo hanno ritrovato a rovistare in un cassetto nella cucina dei vicini, in cerca di biscotti.

Timothy, da che aveva imparato ad articolare qualche parola, aveva detto a sua madre Voglio vedere il mondo, Voglio andare e non fermarmi mai. Un giorno, aveva quattro anni, ha raccolto un bel bastone dal giardino, ha preso un grosso fazzoletto rosso dal cassetto di suo padre, lo ha riempito con pane, formaggio e un Big Jim. Se l'è messo su una spalla e ha aperto il cancello, facendo il primo passo nel mondo completamente da solo.

Chris venne fatto aspettare dai vicini, fintanto che i genitori venissero a recuperarlo. E la voglia di girare e vedere cosa c'era di dolce dietro l'angolo non lo ha più lasciato, crescendogli dentro fino ad esplodere.

Timothy ha cominciato a camminare, spedito, con la testa verso le fronde degli alberi. Cercava di figurarsi quali avventure strabilianti possono attendere un ragazzino con la faccia paffuta in quel mondo ch'egli sapeva essere popolato da mostri venusiani e automobili trasformabili; uomini arditi a caccia di tesori proibiti; persone che abitano con la famiglia su enormi alberi in isole sperdutissime in mezzo a chissà quale enorme mare; audaci bambini che hanno perso la mamma e stanno scalando montagne ingannevoli e beffarde che li bloccano con invincibili bufere di neve; padri inesistenti o beoni che picchiano i propri figli fino a convincerli che sarebbe meglio vivere su una zattera da fiume col proprio compagno in cerca della libertà, armati soltanto di qualche spago, una canna e tante canzoni.

Timothy non sapeva esattamente cosa stesse succedendo, ma qualcosa succedeva. Non sapeva se fossero i suoi pensieri sconclusionati o la consapevolezza infantile di che cosa voglia dire avere una casa. Non si fermò, però. Nemmeno quando le lacrime iniziarono a stracciargli la vista. Camminava a testa alta e bocca aperta, girò a destra un paio di volte. Camminò con una cantilena da tristezza nella bocca, girò a destra ancora un paio di volte e camminò ancora un pochino. Poi si fermò e suonò il campanello. E sua sorella gli chiese che cosa ci facesse in strada, così conciato. Volevo vedere il mondo, disse lui, col cuore gonfio.

Chris si è dimenticato di che cosa voleva dire avere una casa, e non c'è più tornato. Mai più.

Timothy è sempre contento di avere un posto in cui tornare. Un luogo speciale da chiamare "Casa". Lo riempie di gioia e di speranza: persino a milioni di miglia di distanza. E resta convinto che non ci sia nulla di meglio - nella vita - che tornare a Casa. Certo, per farlo, bisogna prima lasciarla.















p.s. Non conoscevo la storia di Christopher Johnson McCandless, ma se mi fosse possibile gli renderei omaggio come si fa con un Maestro, anche se lui non aveva pretesa di esserlo - a discapito di chi ne fa oggi un poster per adolescenti (o adulti mai troppo cresciuti?).

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