"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


giovedì 1 luglio 2010

Settling down, a little bit...





C‘era stato un tempo in cui, nella carovana, “Minaccia” era una parola tabù. Di quelle parole nella testa di tutti, sulle labbra di nessuno. Tutti sentivano che spostarsi al canto degli anziani li esponeva agli umori delle altre popolazioni: della gente che viveva nelle capanne, nelle case, tra la pietra delle torri e il legno delle palizzate. Dal giorno che si erano messi in viaggio, i Nomadi avevano sempre viaggiato con i loro carrozzoni pronti, e non avevano mai avuto altro che le pelli delle tende a difenderli dalle stelle e quattro fuochi a difenderli dai lupi. O dai malumori dei Murati Vivi: quelli che uscivano dalle mura coi forconi per scacciarli dai “loro terreni" - gli stessi che chiedevano cure, predizioni, lavoro duro e canzoni.

Ora che la carovana si era decisa a fermarsi più a lungo in quel posto tanto cercato e tanto anelato, “Minaccia” non era più un tabù. Quella parola iniziava a risuonare sulle labbra di tutti, e aveva il sapore di una cosa vecchia, passata. Era successo che, piantando tende meno provvisorie e trasformando i carrozzoni in grandi sale comuni, tutta la carovana aveva dovuto cambiare ritmi e modi. Si era dovuto guardare l’Intorno senza viaggiarci attraverso. Ci si era dovuti dare il tempo dell’attesa, e non dell’andare: per l’attesa di conoscere i boschi e le risorse, s’erano inviati gli uomini; per l’attesa di conoscere la lingua del posto e i modi di dire d’altrove, s’erano inviate le donne; per l’attesa di sapere di usi e costumi, s’erano inviati giovani e fanciulle. Tutti erano partiti con doni e notizie dal mondo attorno: tutti erano tornati con notizie, doni e ospiti incuriositi – senza forconi né pretese.

Gli anziani sapevano che i loro canti li avevano guidati giustamente, che il loro tempo era arrivato, che era tempo di cantare nuove parole, nuove strofe. La frenesia c’era ancora, ma non era più quella dei bagagli pronti: era più quella della trasformazione, di un intreccio in evoluzione. Quella di uno Spirito guida che trova il terreno in cui seppellirsi per sempre e da vita ad una Pianta-tra-le-piante. Era il tempo di cantare questa trasformazione, era tempo di aprire alle “minacce” e di accoglierle, per ri-conoscerle e ri-conoscersi.

Se – o quando – un giorno la carovana si fosse rimessa in movimento, i nuovi anziani avrebbero saputo trovare un rinnovato Spirito guida ed intessere nuove canzoni del cammino, nuove strofe dell’andare. Ma non ora.




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