
Coi tempi che corrono, potevo forse lasciarlo lì?
La retrospettiva della fantasiosa vita di un educatore-geografo, un po' nomade e un po' no.
Qualche minuto per me.
A chiusura di una giornata cominciata con la nebbia fitta, e le brina che si stendeva dalle tegole ai fili d'erba, passando per le cancellate arrugginite e i muretti sbrindellati. Col sole ch'era una lama gialla all'orizzonte: tagliava le nuvole bianche e striate in fette sottili, simili al raso azzurrato che mi padre usava quando ideava nuove creazioni in tessuto.
Qualche minuto per me.
A chiusura di una giornata continuata in mille posti diversi, in un sali-scendi dalla piccola auto blu elettrico che tra qualche settimana non ci sarà più. Lei che è stata mille volte in Francia, in Spagna, in Liguria, in Veneto, in Piemonte, e sa Dio dove ancora. Lei che ha totalizzato 360.000 Km in 10 anni tondi. Che ha fatto l'amore quando lo facevo io, che ha imprecato quando imprecavo io, che ha sbandato quando sbandavo io, che non mi ha mai lasciato a piedi - tranne quando ho distrutto un cerchione due mesi dopo aver preso la patente e ho chiamato papà in soccorso. Lei che si è meritata la pensione, o un posto nel Paradiso delle Automobili Fedeli, per l'impeccabile stato di servizio.
Qualche minuto per me.
A chiusura di una giornata che ha visto dedicare l'intero pomeriggio e tutte le energie rimaste ad una classe di ragazzotti di terza media, in pieno imbarazzo ormonale e con nessuna voglia di stare seduti dietro ai banchi di scuola. Frementi e agognanti di prendere in mano vanga e piccone per cominciare la costruzione di questo stagno didattico che assieme ci stiamo immaginando.
Qualche minuto per me.
A chiusura di una giornata nella quale mi sono gongolato in una nuova spiegazione su cosa sia quello strano mantello nel quale mi avvolgo. Non è il mantello di Batman o Zorro, non è perché dirigo una rappresentazione del Presepe vivente, non è perché mi sto improvvisando zampognaro. E' un tabarro, come quello che usavano i contadini e i montagnini fino a qualche decennio fa o, meglio ancora, gli anarchici tra l'Otto e il Novecento, attraversando in bicicletta le nebbie della Pianura Padana, di nascosto dai monarchici e dai fasci. Mi manca il fiocco, ma per quello c'è ancora tempo.
Qualche minuto per me.
A chiusura di una giornata che, in serata, promette ancora qualche chilometro in più: l'ultima sfida, prima di finire tra le braccia della principessa e affondare mani e volto tra i suoi capelli bronzati e profumati di pino. In un tripudio di parole, racconti, coccole e ronfate.
In questi giorni non faccio che parlare. Parlare da arrabbiato. Parlare forte, parlare alto, perché sono ancora molti quelli che girano con le dita nelle orecchie.
Parlo della Corte Costituzionale che bypassa le Leggi regionali che bloccavano la costruzione di centrali nucleari nel loro territorio, o che respinge il ricorso delle Regioni contro il Decreto Ronchi, frustrando le speranze di tutti i cittadini che pretendono che l'acqua sia un diritto non commerciabile.
Parlo delle motivazioni che vogliono Dell'Utri intermediario di mafia, e di un sistema parlamentare che lascia lui e il beneficiario delle trattative liberi di governare invece che costringerli a soggiornare nelle patrie galere.
Parlo dell'arbitraria e "liberale" decisione del governo di intascarsi il 75% del 5xMille del 2009. Trecento mila euro frutto di donazioni libere e consapevoli dei cittadini. Salvo poi chiarificare: "Siamo stati fraintesi: intendiamo solo dare un acconto, più tardi daremo anche il resto..."
Parlo del colpo di mano grazie al quale le scuole private si sono viste ridare i fondi tagliati, mentre la scuola pubblica muore sotto edifici fatiscenti, dirigenti scolastici aziendalisti e burocrati, e insegnati pettegoli e chini a qualsiasi colpo basso pur d'essere più produttivi.
Parlo della volgarità barbarica, deludente e strisciante sventolata dai praticanti della "politica del fare". Una volgarità mai fine a se stessa, sempre finalizzata a costruire un'immagine e un comportamento nei quali la gente possa trovare un'istintiva identificazione, un anestetico punto di riferimento al quale delegare ogni pulsione e desiderio di rivalsa.
Parlo della vigliaccheria che spurga dalle invocazioni della pena di morte: un grido impulsivo e volgare, che arriva dal ventre di chi non intende trovare alcuna risposta costruttiva al delitto.
Ecco perché fatico a scrivere. Perché, in qualche modo, preferisco parlare. E Denunciare. E Resistere.