"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


martedì 28 ottobre 2008

La fiaba del castoro testardo


Stufo di continuare a fare e disfare tane e dighe ad ogni piena o acquazzone, un giorno, un castoro si intestardì e decise che avrebbe eretto la più grande e possente delle dighe. Mai nessuna piena, mai nessuna pioggia, mai nessuna calamità avrebbe potuto infrangerla o travolgerla.


Avrebbe avuto piccoli canali di sfogo, grossi tronchi di mezzana e sostegno, e chiuse da aprire a piacimento. Sarebbe stata tutta costruita con la sola forza dei suoi dentini aguzzi e delle sue zampette pelose. Avrebbe trasportato grossi tronchi e piccoli rametti spingendo veloce la sua coda pinnuta da un capo all'altro del fiume, andando a cercare quello di cui aveva bisogno fin dentro la foresta.

Avrebbe prediletto i tronchi di ontano e salice per le fondamenta, mentre avrebbe cercato le querce e i faggi per le travi e i sostegni. Avrebbe cercato i noccioli per i piccoli pertugi e le foglie di castagno per tappare i buchi che inevitabilmente si sarebbero aperti, qui e là.

Piano piano, un passo alla volta, il piccolo castoro si mise all'opera. E con il tempo i risultati non tardarono. Il corso del fiume cominciava a ingrossarsi, allargandosi in un piccolo lago alle spalle della diga.

Ogni piccolo tronco era una goccia fermata.

Lavorando alacremente, il piccolo castoro non si era reso conto degli animali della foresta che lo guardavano come fosse uscito di senno. Che cosa voleva fare, allagare la valle? E Tutti gli animali che vivevano vicino al fiume, a loro non pensava?
Niente da fare.

Il piccolo castoro sgagnava tronchi come nessuno dei suoi simili aveva mai saputo fare. Dentate veloci e precise troncavano anche gli ostacoli più duri. E una maestria ingegneristica innata gli permetteva di incastrare i fusti così bene da trovare risposta alle più assurde domande della Fisica.


Alla fine, soddisfatto, il castoro si fermò e chiuse gli occhi.
Conosceva la sua diga centimetro per centimetro.
E dai centimetri si fece guidare fino alla sommità.

Arrivato in cima, aprì gli occhi e vide davanti a sé un nuovo, immenso lago. Sulla superficie del lago il sole rosso del tramonto sfavillava e ballava, portato sulla musica del primo vento d'autunno.


Il cuore del castoro traboccava.
La sua diga c'era. Era forte. Era la diga più forte del Creato.
Il fiume era scomparso.
La valle era sommersa.
I torrenti scendevano tranquilli fino allo specchio d'acqua.


E ora?
Si chiese il piccolo castoro.


E ora che faccio?
Si ripetè il piccolo castoro.


E ora dove la costruisco un'altra diga?
Rifletté il piccolo castoro.


Sospirò, e scese lentamente verso l'ultimo legnetto che aveva inserito nel suo capolavoro, in fondo: dove una volta scorreva il fiume.


Se ne faccio uscire solo un poco, più a valle avrò ancora un posto dove costruire altre dighe.
Si disse convinto.


Afferrò il legnetto tra i denti.
Lo tirò.

Un piccolo rivolo cominciò a sgorgare.

Il castoro sorrise. Soddisfatto.


E poi più nulla.







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