"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


sabato 22 novembre 2008

Lettera di un solitario novello












Vorrei qui, davanti a Voi miei più cari affetti,
prendere in considerazione alcuni pensieri che vanno vagando liberamente, da ormai qualche tempo a questa parte, per le stanze del mio animo, il più delle volte passando da una camera all'altra con grande fracasso e sbatter di porte e inferiate.

Vedete, alcuni ed alcune di voi, si fregiano di potermi dire chi sono e cosa faccio della mia amabile seppur semplice vita. La qual cosa non è per nulla disprezzata, qui dalle mie parti, non fosse che taluni e talune di voi hanno la malcelata abilità di usare parole taglienti quanto la sottile ceramica bianca delle stoviglie in frantumi.

Ancora peggio, se fosse possibile, è la condizione di tal altri e tal altre che, più amabilmente forse nei modi, a me si avvicinano con grandi fusa e bisogno d’affetto, per poi ammutolirsi e allontanarsi dopo aver incontrato il mio sguardo che li - o le - interroga, chiedendo loro un seppur misero giudizio di approvazione per il mio menare questo corpaccione bonario in giro per i cortili del mondo.

Ecco, lasciate dunque che vi dica, senza alcun fronzolo di diplomazia - a me per altro cara sin dai tempi della più immemore gioventù - che tali sguardi di accondiscendente disapprovazione hanno francamente stufato, passando ogni limite di decenza e benevolente sopportazione. E non sarebbe così, se non foste proprio voi i proprietari di tali sguardi.

Perché, vedete, nella vita ho sempre amato consegnando il cuore nelle mani della persona amata, smisuratamente, intimamente e pubblicamente, senza mai fare segreto di questa mia inclinazione al sentimento fiero e verace, a questo mio espandermi finanche ad inglobare la persona amata, allacciando in lei i fili che muovevano i miei arti, le mie membra, le mie ossa e i miei pensieri.

E tale comportamento, capirete bene, mi ha sempre portato a vivere nel mondo come il guardiano di un faro, tutto proteso tra le onde incombenti e il fuoco, lassù in cima, da tenere acceso: immerso nel vuoto e collegato al mondo con pochi e rari spostamenti. Poco propenso alla vita tra grandi numeri di persone, ho sempre preferito, e voi lo sapete bene, gli incontri più intimi, nei quali intrattenere discorsi non di circostanza, ma profondi e lungimiranti, alle volte persino filosofeggianti e astratti, volti per la maggior parte a sviscerare qualche condizione di umana infelicità, al fine di ritrovarne un senso ed un capo, per capire dove poi sarebbe stato bene intervenire, e come.

Amici, voi che mi guardate con feroce accondiscendenza, e voi altri che mi parlate duramente, questa mia spiccata incapacità - sarebbe oltremodo delizioso poter dire desiderio - di una vita mondana, si sta, di questi tempi, trasformando in una sorta di disprezzo per tutte le situazioni nelle quali gentiluomini e gentili donzelle si riuniscono al solo scopo di dar fondo ai propri istinti sociali e appagare un bisogno - a mio avviso indotto - di felicità collettiva.

Per questo vi invito a riflettere sulle mie scelte di vita. Sul mio spostamento in una tana tanto lontana da voi tutti e da quel mondo che non riesco più quasi a riconoscere, da quella Società che vorrei così tanto poter amare, ma che mi appare come un ammasso di stupide risate e impegni a vuoto.

Per questo, ancora, vi invito, voi che siete persone a me care, a prendere in considerazione questo mio attaccamento ad un lavoro che molto spesso non comprendete, che forse vi affascina perché distante dalla vita che fate, ma che in cuor vostro non porterà mai a nulla di vero e di concreto.

Perché, vi dico, l'andar per boschi e per fiumi, e il veder zampillare la curiosità negli occhi della gente - una curiosità non ancor adombrata dalla bramosia dilagante, una curiosità per le cose semplici e complesse della Natura, dell'Uomo e della Donna - ecco, queste scintille di curiosità sono per me la Vita.

Specialmente ora, che mi sono reso conto - e qualcuno di voi, miei cari e amati amici, cerca di dirmelo da tempo - che io, dell'Amore, per un po' è bene che ne faccia a meno. L'Amore, che tanta vita ha riempito in me, sia con la sua assenza che con la sua presenza, ingombranti e dolorose entrambe, a modo loro. L'Amore che mi turbava in continuazione, senza resta e senza pietà. L'Amore, che aveva il volto delle Meraviglie che ho amato, con tutto me stesso, eclissandomi pure, senza saper bene che fare di quel che rimaneva del mio animo stracciato e grondante sentimenti.

Ecco, voi che mi parlate taglienti e voi che mi guardate negli occhi un po' di sbieco , voi che cercate di avvicinarvi ma non sapete bene che dirmi, voi che mi volete bene ma non sapete bene come dimostrarmelo, voi che mi sentite distante e non sapete come tenermi accanto.

E' a voi che dico Da oggi, per quanto ancora non so, il mio cuore ha bisogno di tirare un sospiro, di smettere di battere così veloce da non riuscire a pensare. Di riprendere il ritmo che aveva prima che la bramosia d'amare s'impadronisse di lui, incatenandolo alla più alta e bella colonna d'avorio del creato.

E' a voi che dico, vi sembrerà d’ora innanzi ch'io sia più cinico, più solitario, più duro, più grezzo, più inattaccabile e più incapace di amare di quanto non lo sia mai stato. E così sarà, in parte. Così sarà perché, qui, attorno al cuore, ho eretto una diga. Puntellata con querce e tronchi di abete. Profumata di resine e timo e muschi. Colorata delle foglie rosse dell'autunno. Ma pur sempre una diga.

Ricordatevi, voi - solo e soltanto voi che mi parlate duramente e che mi guardate di sbieco dopo avermi amato -, di non temere per me. Di non temere che il mio cuore si inaridisca e non sia mai più in grado di provare qualcosa che per una vita mi ha dato vita, quando non cercava di togliermela. Perché, per quanto spessa possa essere, la diga serve a tenere dentro qualcosa, conservandola.

E non temete, questo ve lo chiedo in ginocchio, di avvicinarvi alla mia ricercata solitudine. Perché - di questo ne sono sicuro - senza le vostre mani, le vostre lacrime e le vostre parole, la siccità dell'animo non tarderebbe davvero a farmi visita.


Solo,
fatelo con la grazia che sapete.






4 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è chi la sua caratteristica è la solitudine, chi è la paura di confrontarsi, chi la ricerca d sé stesso, chi la grazia.
Io, la grazia, no.
Però magari la comprensione.
Con difficoltà, con tempi lunghi, con qualche dubbio, anche.
La grazia, no. Neanche il credere a tutto soltanto perchè uno lo dice.
Io, come caratteristica, ho il capire il perchè delle cose, anche sbagliando, anche soffrendoci su.

Mi sono presa quella, di virtù, quando hanno spaccato il vaso di pandora.
Poteva andare meglio, ma anche peggio: potevo essere bionda.

Comunque la comprensione, anche quella l'ho pescata dal vaso di pandora.
Quindi - per quel che mi riguarda - non c'è niente da spiegare, perchè le cose si capiscono, e si accettano, alla lunga, per come sono.
Un bacino

Anonimo ha detto...

Tommaso, cheppalle! Questo blog comincia a sembrare la rubrica dei cuori solitari.

Ti saluto e ti suggerisco un libro: "gli orrori dei ghiacci e delle tenebre" di Christoph Ransmayr. Mi pare di aver capito che per un po' le tue articolazioni ti terranno distante dai freddi sentieri in quota e dai gelidi nevai: questo libro potrebbe essere un discreto palliativo.

Tom ha detto...

Ehehehe, Diabboliko come sempre, eh? ;-)

Naa, Dugongo, le mie articolazioni non mi stanno tenendo lontano da nulla e da nessuno.

Ieri freddo gelido in liguria, sul Vara, e oggi freddo gelido in Palude Brabbia.


Per la rubrica dei cuori solitari, non so che dire... io di anninci non ne ho messi... e tu? Vuoi metterne?

Tom ha detto...

Piccola Grande e Tenera (quasi)anonima, grazie per la delicatezza. E la grazia che credi di non avere, ma che dimostri.