"Le storie servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come le poesie e la musica, come il teatro e lo sport... Servono all'uomo completo e, vorrei aggiungere, a completare un uomo."
Gianni Rodari


mercoledì 28 maggio 2008

IRIS

Per qualcuno, il momento della partenza può essere traumatico, anche quando è agognato e sospirato. Specialmente se la vita che si lascia la si è costruita giorno dopo giorno, dentro a piccole e grandi sofferenze, mescolandovi le grandi illusioni di un Amore così difficile da scovare, e aggiungendoci un velo di stima di sé una volta ogni tanto, come le toppe colorate su un vestito troppo usato.

Qualcuno di questa stoffa deve essere per forza di cose una persona speciale. Una persona che riesce a leggere la realtà attraverso un filtro tutto suo. Una persona dalla sensibilità inusuale, dalle energie incontrollabili e travolgenti, eppure di una fragilità mai provata. Una sorta di supereroina di cartacrespa.

Ho conosciuto questa Piccola Grande Amica anni fa, quando ancora non sapevamo quali mari avremmo dovuto solcare e quanti di questi mari avremmo solcato assieme.

L'ho vista crescere, tra un pianto e una risata, un abbraccio e una bevuta, un po' nella sua mansarda soppalcata, un po' nella mia camera riarrangiata. Sono passati quasi tre lustri da quando incrociavamo gli sguardi nei corridoi della nostra comune cascina, qui a Città di Mezzobosco, assieme a mille altri marmocchi che non capivano niente di quello che gli capitava intorno.

Sono passati tre lustri nei quali abbiamo condiviso e scambiato opinioni su che cosa sia l'Amore, quello Vero, e su quali illusioni siano più giuste da confondere coi Sogni, e su quali desideri valessero la pena di vedere una vita sacrificata fino in fondo.

L'ho vista crescere, e maturare giorno dopo giorno una smodata voglia di lasciarsi alle spalle questa brutta e piccola cittadina, che troppo le ricordava lo sguardo perso della madre e urla velate del padre, così come gli amori troppo grandi per essere coltivati e le delusioni troppo cocenti per essere lavate via.

L'ho vista crescere e prendere il coraggio un poco alla volta, fino all'ultima delusione, fino all'ultima domanda senza risposta. Ed eccola qui, che fa i bagagli, indaffarata come non mai: segretamente innamorata del mondo, con il mondo che l'aspetta a braccia aperte, passa le ultime giornate nella vecchia casa a chiamare gli amici di un tempo e a incontrare gli amori andati. Quasi a cercare l'unica conferma che le si legge negli occhi: Ho paura, ma ce l'ho fatta.

Ed eccola, la piccola grande Iris, che si era messa in testa di partire per la sua Grande Avventura ben prima di sapere quale fosse. Con un bagaglio di sogni in mano e un fazzoletto pieno di ricordi appeso al bastone. Che mi viene a trovare, e con un bacio sulla guancia mi dice Addio.

E allora Addio, dolce amica, ero fiero di te quando ancora ti sentivi persa.


Ora che hai trovato una via, la tua storia mi ricorda quella di un piccolo rimorchiatore che, quando la tempesta abbattè il faro, si gettò a sfidare onde che nessun altro avrebbe potuto sovrastare, per segnalare con le sue piccole lanterne la direzione ai mercantili in arrivo.


E ne sono orgoglioso.







P.s.
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise


Black bird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
all your life
you were only waiting for this moment to be free


Blackbird fly, Blackbird fly
Into the light of the dark black night.


Blackbird fly, Blackbird fly
Into the light of the dark black night.


Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise,oh
You were only waiting for this moment to arise, oh
You were only waiting for this moment to arise
(Blackbird - The Beatles)




lunedì 26 maggio 2008

A giorni di navigazione dalla costa


Da giorni, le labbra del capitano,
solitamente serrate,
s'inarcavano impercettibilmente
in qualcosa che somigliava in tutto
ad un vero e proprio sorriso.

A marcare la scomparsa dal volto
di quell'espressione concentrata
di chi è sempre pronto a salpare,

sostituita dallo sguardo perso
nell'utopia di chi vive un viaggio che
comincia a dare i suoi frutti.



martedì 20 maggio 2008

E intanto piove




In questa giornata in cui il fiume è troppo intento ad abbuffarsi di pioggia per lasciarci lo spazio di navigarlo, sto lavorando per mettere insieme i pezzi di una nave. Una nave da foresta un po' speciale. Avrà un sacco di remi e un bell'albero maestro nel mezzo. Remi che la sollevino sulle fronde degli alberi e vele che raccolgano la spinta delle nuvole. Avrà un sacco di scudi colorati lungo i fianchi, e una serie di pannelli di legno che coprano il lunghissimo ponte: pannelli di legno che possano essere rimossi quando c'è bel tempo. Avrà una chiglia del miglior legno da nave che sia mai stato usato, robusto e leggero, incatramato a dovere per coprire ogni fessura. Una chiglia fendiroccia, per approdare sulle montagne e non temere le colline. E avrà una prua slanciata, col volto d'un serpente marino intagliato nell'ebano più scuro. Un serpente marino con ali di drago. Avrà anche un robusto rostro, appena sotto la linea di galleggiamento. E la barra del timone la ricaverò dalla mascella di una balena, la più grossa e resistente. Sarà un Drakkar in piena regola, la mia nave da foresta, e mi condurrà tra le lande e le montagne e i laghi della Svezia, il prossimo mese d'Agosto.





lunedì 19 maggio 2008

Annessie e connessie




Prendere un treno da Città di Mezzobosco alle 9.30, arrivare a Città dei Vicoli alle 12.42, pranzare a bistecche e formaggi e banane e melone, stropicciarsi per delle ore, andare in manifestazione per difendere il valore della laicità e del dubbio, andare per librerie e theerie, farsi offrire un aperitivo a the e cioccorì dalla Signora delle spezie, cenare con altre sei meravigliose persone e i loro peluche, giocare al gioco degli incipit e arrivare un po' terzi e un po' secondi, ideare il brunch del secolo e addormentarsi con dolcezza, poi svegliarsi grugnendo e ammorbidirsi stropicciando letti e divani, preparare da mangiare col the buonissimo, il miele, le mozzarelline e le uova di lompo e di gallina e il prosciutto, poi far finta di iniziare a prepararsi per uscire e finire col disfare la camera appena riassettata, andare in biblioteca e poi in libreria in cerca di guide geografiche e poi a mangiare lo yogurt col cocco le noci il miele e il melone, pianificare la vacanza del millennio con paure e ansie ed entusiasmi, baciarsi un po' parlando della Svezia sdraiati sotto ad una fontana e avviarsi felici e di corsa alla stazione e prendere un Treno della Madonna con su Dio in persona che viene anche lui a Città di Mezzobosco.

E' incredibile come due settimane di avventure riescano a condensarsi in due strabilianti giornate.

Grazie
Anche e soprattutto per la pazienza che dimostri nei confronti di questo malcelato cialtrone che tanto ti tiene sulle spine...
^_^

giovedì 15 maggio 2008

La quadratura del cerchio


Sono le quattro del pomeriggio. Io e un collega sbarchiamo nel solito posto, facciamo scendere i clienti e sistemiamo i gommoni sul carrello. Sull'altra sponda, lontana una settantina di metri, in piena riserva del Parco naturale, unafollaemmezza con una miriade di gazebo artigianali, un nugulo di griglie fumanti e un piccolo palco improvvisato. Dietro al palco un generatore da campo, acceso. Di fianco al palco, due muri di altoparlanti. Al centro del palco, un Dj con microfono e piatti per i dischi. Al di qua del fiume che geme e gorgoglia, distinguiamo nettamente le parole e la cadenza dei peruviani di Città Grande di Nebbiascura.



Dj - Vamonos, a bailar!

Collega - Cazzo, diluviasse tanto da portarli via tutti...

Io - Beh, dai, al massimo chiamiamo la forestale!

Cliente - MAcchè forestale, pe'quilì ga mandariia l'accalappiacan!

Co - Davvero... BRAVI - applaudendo verso i peruviani - CHE TANTO L'ITALIA E' TUTTA VOSTRA! E NON SI VEDE PIU' NEMMENO UN ITALIANO DA QUESTE PARTI!

Cl - Dici bene! I vegnan chi e i fan ma'i voran! Sembran lur i padrun!

Dj - Hola a todas y todos! A bailar!

Co - Ma vedrai che adesso cambia tutto! Basta immigrati!

Io - 'scolta, ci sono fenomeni sociali che non possono essere contrastati. L'uomo migra da sempre. Ora son d'accordo che ci vuole del controllo in più, ma anche come integrazione e lavoro siamo proprio indietro!

Co - Bravo! Son proprio quelli che parlano come te che hanno mandato in malora tutto quanto! ... Spero proprio che cambino le cose... ALTRIMENTI DALL'ITALIA ME NE VADO IO!

Io - ......

Dj - Escucha me, a bailar!





mercoledì 14 maggio 2008

Une petite interruption

Ogni tanto le sirene tornano a cantare. Belle come non mai.


E quando si mettono d'impegno, il loro canto spacca i timpani e corre lungo le vene e i nervi, fino a toccare le corde tese del cuore.


E fa male ascoltare quel canto pieno di dolore e angoscia di chi ha perso qualcosa di più caro della vita, e non desidera altro che gli sia restituito.


Ed esistono marinai che, disperati, si gettano dal ponte della nave e nuotano in mezzo a flutti spaventosi, facendosi frantumare il cranio sugli scogli, pur di soccorrere tanta tristezza.


E ci sono marinai che, invece, si levano la cintura di cuoio e se la stringono in mezzo ai denti, e la strizzano tanto da farsi uscire sangue dalla bocca. E col cuore pieno di rattoppi, si spezzano la schiena sui remi per portare la nave in salvo da tanta nostalgia. Intonando un controcanto straziato.



Non si torna a riva.
Non si torna a Casa.
Quale che sia la nostra Itaca,
l'abbiamo lasciata.
Quale che sia la nostra maledizione,
l'abbiamo recitata.
E mentre la barra è fissata
e i remi sgridano le onde,
noi restiamo inquieti
tra il mare aperto e le nuvole sponde.





sabato 10 maggio 2008

Invidie e raccomandazioni

Tra una pagaiata e l'altra, io e il marinaio spagnolo abbiamo scortato una vagonata di bionde donzelle che festeggiavano due addii al nubilato, questo pomeriggio.


^_^








Questo post potrei anche chiuderlo qui, e non aggiungere niente che il sorriso melone che avevo stampato in faccia oggi pomeriggio non racconti già da solo....





Ma vorrei dire solo che le nubili bacucche sono arrivate belle piene di vino, con un'ora di ritardo, sballandoci la tabella di marcia in una maniera allucinante. Tant'è che abbiamo dovuto volare bassi sulle onde, saltando da un ramo all'altro del fiume. Le abbiamo pucciate tre secondi nella risorgiva, gli abbiamo fatto provare un brevissimo tratto di nuoto in corrente, il salto sotto al Ponte e poi tutte a casa!


Dopo di loro abbiamo imbarcato un gruppo di ragazzi "difficili" di un noto quartiere out di Città Grande di Nebbiascura: un fascio di nervi che aspettavano solo una minuscola miccia per esplodere in entusiasmi e urla di gioia. E un po' ci siamo riusciti. Anche questa discesa è andata un po' per le lunghe, nonostante la sera fosse ormai alle porte, assieme ai venti impetuosi dei temporali di questa notte.


Insomma, ho finito davvero tardi. Con grande dispiacere di qualche dolce persona che aspettava (più che legittimamente) una telefonata... giusto per sapere se ero ancora vivo!


E domani, il vostro super-tripper si alza all'alba per una nuova ed entusiasmante avventura acquatica! Seguita da una fuga a Città Dei Vicoli (finalmente!!!!), per poi riprendere in mano l'attrezzatura da anfibio nel pomeriggio del giorno di Marte...


Come dire che prima di allora, io due righe proprio non riesco a scriverle!

venerdì 9 maggio 2008

Passioni ed etica del lavoro


Mio padre è sempre stato un grandissimo lavoratore. E' un imprenditore pieno di estro e da anni combatte contro la mancanza di lavoro nel suo settore. Ho sentito di altri come lui che hanno delocalizzato tutto all'estero, e chi non poteva farlo ha venduto e si è riciclato in qualche modo. Lui no. Lui tira dritto per la sua rotta, con la sua nave a duemilanodi, in mezzo ai ghiacci tropicali.

Lo fa perché la sua etica del lavoro è più forte di qualsiasi imbarazzo, di qualsiasi cedimento, di qualsiasi smacco che abbia mai potuto subire nella vita. E per questo lo ammiro.
Credo che, sino ad oggi, sia stato proprio questo il Messaggio, in assoluto l'insegnamento più grande e pervasivo per i suoi quattro marmocchi, che ormai hanno tra i 20 e i 30 anni.

C'è un però.
Un però che mi spacca la testa come un tarlo che avanza di giorno in giorno. Un piccolo tarlo apparso anni fa, che si è fatto strada tra le mie orecchie e che oggi fa tanto rumore da non permettermi quasi di pensare.

Il "però" in questione si chiama "passioni". Quelle che si possono coltivare sui banchi di scuola, tra un compito e l'altro, e che stanno al di fuori di qualsiasi routine. La passione per un certo autore, la passione per la musica, la passione per lo sport, per una squadra, per la danza, per la pittura, per le sculture in legno o in ghiaccio, per gli insetti, per la velocità, per la filosofia... non so, tutte quelle passioni lì che poi sono un vero e proprio hobby...

Il fatto è che da mio padre ci è arrivata la passione per il lavoro. O meglio, per il nostro lavoro. Quello che facciamo e che ci intestardiamo a fare.

Eppure io me lo ricordo mio padre che mi portava al fiume a far saltare le lastre di ghiaccio con i fischioni e che poi mi prendeva da parte e mi faceva vedere gli insetti, e me lo ricordo sempre indaffarato con la sua enorme macchina fotografica e le sue mille pellicole. E ricordo che mi diceva come si fa una fotografia, che cosa posso cercare e vedere. E mi ricordo che mi spingeva a essere curioso, a meravigliarmi della natura, a fermarmi a vedere il fiume che corre e l'acqua che disegna linee perfettamente confuse sulla superficie. E me lo ricordo che mi diceva sempre di camminare guardandomi intorno, di vedere le cose che succedevano intorno a me e di osservarle, capirle. E mi ricordo che lui adorava le cose delle quali mi parlava. Non avevo più di cinque anni, e me lo ricordo mio padre pieno di piccole passioni.

La cosa strana è che non me lo ricordo mio padre mentre fa queste cose con le mie sorelle e mio fratello. E in particolare con la mia sorellina ormai ventenne. Forse perchè non c'ero, è vero, ma la sensazione è quella.

Io la guardo e mi dico: Se io ho vissuto un periodo di buoi completo - tra il 1990 e il 2005 - dal quale mi sono risvegliato volendo a tutti i costi fare delle sole passioni che avevo conosciuto la mia professione... Beh, guardo lei e mi sento perso.

Mi sento perso perché, negli anni in cui questa ciurma di famiglia si stava sfaldando, ci ho provato a farle un po' io da padre: regole e paroloni, poi qualche chiacchiera da fratellone e qualche ragionamento un po' più profondo. Ma nemmeno io sono stato capace di farle scattare la scintilla per qualcosa di preciso. Anzi, credo d’esser stato persino controproducente.

E ora si ritrova a vent'anni a lavorare come una matta per avere dei soldi da spendere, si ritrova a sentirsi perduta per aver perso quello che credeva l'amore della sua vita, si ritrova a fiaccarsi di TV, palestra, e uscite con gente piena di sacchi.

Ed è strano. Perché è sempre stata una ragazzina piena di vita, volenterosa e sveglia. La migliore di noi quattro. E mi piange il cuore a pensare alle cose che potrebbe fare e non sta facendo. Forse perché mi ricorda quanti anni della mia vita ho buttato via prima di guardarmi dentro per capire chi volevo essere da grande.

E tutto questo, forse, è successo perché abbiamo ereditato una passione smodata per il lavoro. O forse perché mio padre è un capitano di lungo corso e sono anni che attraversa solo acque burrascose, e non ha mai avuto il tempo di dedicarsi ad altro che non fosse la sua nave.

Non so se posso fare lo stesso discorso con il mio fratellino e l'altra sorellina: noi tre siamo cresciuti a stretto contatto, ma poi siamo esplosi e ci siamo un po' persi, pur orbitando tutti attorno allo stesso pianeta.
Però credo che, se gliene parlassi, ci si ritroverebbero almeno quanto me, in questa piccola analisi.

giovedì 8 maggio 2008

Buonanotte





Buona notte, pratolina.

Che questa volta i sogni belli

non li tengo tutti per me.




La curiosità salverà qualcuno, prima o poi!


Questa mattina mi sono trasformato in Tobia Ilguardianodelbosco.

Tobia Ilguardianodelbosco è un omone di poche parole, sempre vestito di verde e con uno strano cappello infarcito di mille penne: ogni giorno ne indossa una diversa, dopo averla chiesta in prestito a qualche amico volatile, appena prima che spunti il Sole. Oggi Tobia portava una penna di corvo, nera, lucida, grande e stranamente morbida.

In questa giornata maggiolina, l'omone dei boschi aveva il compito di accogliere una ciurma tutta particolare: navigatori poco esperti ma intraprendenti e molto curiosi. Non erano certo gente di Città Grande di Nebbiascura, ma avevano sicuramente bisogno di una bella dose di pozione boscosa verdaiola.
Così Tobia li presentati al bosco, facendo passare tra le loro manine un passaporta donatogli poco prima da una farnia: toccando la foglia e dicendo il proprio nome, tutto il Bosco sarebbe venuto a conoscenza della loro presenza, senza così esserne turbato.

I piccoli erano venuti per capire qualcosa di più della Natura, e il Guardiano sapeva che per farlo avrebbero dovuto potenziare i loro poteri magici. Poteri che ogni essere umano ha, ma che molto spesso si dimentica di possedere.

Per fare questo, però, avrebbero avuto bisogno di qualcuno che di magie se ne intendeva ben più di un semplice guardiano dei boschi. Così, Tobia li ha portati con sé lungo il sentiero, tra le fronde più fitte. E laggiù, appena prima di un crocevia, si è messo a chiamare in un sussurro: "Issi! Issi Barissi! Dove sei fata? Abbiamo bisogno di te!". E allo stesso modo, anche i piccoli si sono messi a sussurrare: "Issi Barissi? Dove sei fatina?"

Richiamata da così tanto entusiasmo e curiosità, la fata Issi Barissi è apparsa tra le foglie verdi di un giovane roverello: saltellando e cantando al suono di una nenia magica e incantatrice. I bimbi, curiosi, hanno chiesto quali fossero questi poteri magici nascosti da rafforzare, e la fata ha spiegato che avrebbe potenziato, con la buona volontà dei bimbi, la loro vista, il loro tatto, l'olfatto, l'odorato e il gusto, facendo loro dono delle magie degli Elfi.

Entusiasti, i trenta ometti si sono lasciati trasportare e trasformare in giovani folletti. Con gli occhi bendati hanno toccato i nidi del Picchio e della Cinciallegra, e usmato l'Erba cipollina, il Timo e i Fiori di campo. Hanno poi osservato da vicino le sgrufolate del Cinghiale tra le foglie umide. Hanno ascoltato le chiacchiere degli uccellini e il mormorio del ruscello. E poi hanno gustato il Polline e la liquirizia. E poi, e poi, e poi... un sacco di altre cose!



Non c'è che dire: una mattinata all'insegna della benevolenza e dell'intraprendenza. Al contrario della ciurma sbruffona e amorfa che è scesa in fiume ieri, e che ho poi accompagnato per boschi, in una passeggiata alla riscoperta di quello che può offrire il mondo fuori da un infernale schermo TV - senza per altro scalfire la scorza debosciata di questa marmaglia.

Questo mi fa pensare che ci sia un'età dopo la quale non siano più recuperabili. Che ci sia un momento, da posizionare tra i 16 e i 18, nel quale scatta qualcosa. Come a tutti, come sempre (chi più chi meno...). Solo che oggi giorno non scatta più verso la maturità, ma verso il rincoglionimento. Ma mi fa anche sperare che, forse, se ci si lavora con una intensità adeguata, si possono salvare ben prima del punto-di-non-ritorno.


Viva i bimbini curiosi!


E viva le attività che li incuriosiscono ancor di più!



mercoledì 7 maggio 2008

"Explicatio" non petita...

... Accusatio manifesta.
Potrei dire parafrasando un detto latino che amava citare una vecchia professora filosofeggiante, quando ancora ero un ragazzino che correva sul molo guardando i mercantili partire e sognando dentro quali barili avri potuto vivere la migliore delle avventure.


In questo caso, però, il vostro marinaio di foresta una spiega anche non richiesta la deve per forza di cose buttare sul piatto. Per vedere di trovare un minimo bilancio in questo mare magnum di parole.


Primo.
Il mio è il secondo lavoro più bello del mondo solo perchè sono un cialtrone modesto. Se non fossi modesto, sarebbe il primo. Anche se c'è chi, teneramente, non acconsentirebbe a questa definizione.


Secondo.
Questo pomeriggio ho preso il coraggio a due mani e ho cercato di risolvere la mia "situazione-non-contrattuale", possibilmente peggiorandola. Ma forse no. Nel senso che ho rifiutato un fisso per una quantità di giornate definite, per tenermi la mia paga "a chiamata" e la libertà di decidere se qualche giornata in più per me e per i miei cari la tengo esente da impegni lavorativi.


Terzo.
Forse sarebbe il caso di fare il punto della mia situazione "progettuale".
Partiamo dal presupposto che se dovessi fare lo stesso lavoro per 5 giorni a settimana per un paio d'anni, diventerei pazzo.


Aggiungiamoci il fatto che adoro starmene in giro per mari e monti senza fissa meta, un giorno qui e un giorno là, al soldo di compagnie diverse per interessi e attività.


Moltiplichiamo per il fatto che non esiste - o ancora non ho trovato - una associazione in campo educativo-ambientale che assuma qualcuno (al massimo ci sono contratti a progetto).


Quindi dividiamo il tutto per la mia costanza nel ricercare nuovi contatti e nuove situazioni di ingaggio in questo campo.


Il risultato è quanto mai sconcertante: sono in un limbo tra il precario relativamente libero di muoversi ma pagato un tot al chilo, e il libero professionista pieno di impegni e pagato tre/quattro tot al chilo.


Insomma, sembra che la rotta che sto prendendo sia quella di raggruppare, assaporare, gestire, gustare più collaborazioni possibili, fare Rete e poi cercare di mettermi in gioco in prima persona, gestendo un'attività mia - magari assieme a qualche collega conosciuto lungo la rotta.

Il precariato, da queste parti, avrà forse vita lunga. Ma sicuramente gliela renderò una vita d'inferno.

Riflussi e precariato


Il mio potrebbe essere il secondo lavoro più bello del mondo, ma a volte mi sento così stufo...

Stufo di prendere accordi volanti, a voce, senza uno straccio di riga scritta.

Stufo di capire una cosa e poi vedermene affibiare un'altra, perchè da bravo ingenuo ho dato per scontati alcuni diritti fondamentali.

Stufo che per costruire una mia professionalità io debba pagare in termini di servilismo e volontariato.

Stufo che il mio entusiasmo e la la mia volontà siano trattati come cieca obbedienza e stupida abnegazione.

Mi è capitato due anni fa, quando ho aiutato un professore a redigere una enciclopedia geografica. Mi è ricapitato quast'anno lavorando con i bambini terminali in ospedale a Città dei Vicoli.
E - sebbene in misura minore - mi ricapita ora, un po' in tutte le collaborazioni che sto portando avanti.

Perchè anche in questo lavoro non esistono una contrattazione che sia tale, un accordo preso guardandosi negli occhi, una valutazione del lavoro basata sulla qualità della vita e non sul ritorno di chi ti stipendia?

Forse perchè il mio ufficio è un bosco, la mia scrivania la riva di un fiume e il mio caffè è l'acqua gelida? Impareggiabile, forse. Ma non basta.

Anche se ho il secondo lavoro più bello del mondo, per Dio, voglio la mia professionalità.


Voglio la mia dignità.

martedì 6 maggio 2008

Tendresse, comment tu t'appelles?





A volte, la tenerezza si trova
laddove non sembra
esservene traccia alcuna.

E' allora che la si chiama
per nome: cercando poi
di scoprire come possa

fare capolino anche mentre
ci si sta guardando dentro.
Tanto a fondo da dover
chiudere gli occhi.

Magari avvolti da
una coperta di lana,
mentre il mondo, fuori,
accende un fuoco
per l'ultima notte.





lunedì 5 maggio 2008

La lezione svizzera


Ho passato quattro splendidi giorni gomito a gomito con alcune delle persone più genuine e interessanti che abbia mai conosciuto. Riuscire a staccarsi è stata davvero una dura prova.

In pochi giorni eravamo riusciti a creare un'atmosfera tutta particolare, fatta di domande curiose e risposte intime, affetto adolescenziale e condivisione matura, spirito d'iniziativa e inventiva spiritosa.

Nel pomeriggio del Giorno del Sole ci siamo dovuti dividere, perché così come il gruppo è stato formato e ha lavorato splendidamente, era allora il tempo che i singoli tornassero alle vite di sempre.

Ed ecco: ci siamo ritrovati in cerchio, sotto un sole di mille colori, in quel prato ormai divenuto il nostro dispensatore di piccoli segreti.

Sparsi tutt'attorno, giacevano i nostri petits milieux personnels. Lungo il fiume, tra gli alberi dei pendii, in cima a piccole colline custodite da alberi solitari: uno alla volta si stagliavano nel paesaggio come piccole candele nella notte.

E noi sapevamo che erano lì, a risplendere per noi una volta di più, nascosti agli occhi degli ignari passanti. In un paesaggio mai del tutto conoscibile, ma sempre e comunque riconoscibile, sapevamo leggere le curve degli alberi e delle rocce per ritrovare il luogo dove il nostro spirito aveva dimorato per quel breve spazio eterno.

Gli ultimi balli, gli ultimi canti, il meraviglioso mandala di foglie e sabbia, fiori e legnetti, funghi e cortecce: tutto aveva il dolce sapore della soddisfazione, della leggera consapevolezza che l'esperienza aveva fatto il suo corso.

L'ultimo cerchio, dopo l'abbraccio finale, si era stretto fin dentro al cuore, e noi tutti stentavamo a lasciarlo. Una storia ancora, dai. E poi un'altra e un'altra ancora. Chi teneva gli occhi chiusi, chi abbozzava un sorriso, chi appoggiava lo sguardo sui piedi, chi tendeva la mano alla persona accanto, chi chiedeva un abbraccio e chi lo concedeva felice, chi ascoltava in silenzio e chi sospirava a metà, trattenendo il fiato.

Poi, nello sguardo di qualcuno, si è accesa una luce, una consapevolezza che ha presto contagiato tutti gli altri.

Una strana voglia di andare, di rimettersi in cammino, per ritrovare quel mondo che aveva vissuto per giorni senza sapere nulla di quello che era stato condiviso, detto, conosciuto, consigliato e mostrato in quella piccola grande valle.

Una strana voglia di mettere in gioco tutta quella esperienza, per trovare un modo col quale tenere alta la speranza e la consapevolezza che, un passo alla volta, qualcosa di concreto può e deve essere fatto.

Qualcosa di concreto per ricostruire questo mondo imperfetto, pensato per gli esseri-formiche e lasciato incompleto dagli Dei costruttori alla vista dell'ingordigia delle proprie creature.

E allora, eccola, la lezione svizzera. Il primo passo è l'impegno personale. Ma il secondo è l'Educazione. L'educazione per la Natura e con la Natura.





P.s. il tortino salato è finito in mezzo minuto....