
Tempi così contrastanti e gonfi d'emozioni non si ricordavano da anni. Forse da mai. Si erano alternate esperienze dai sapori più diversi, e la bocca ancora poteva distinguerne i singoli retrogusti.
C'era il sapore pungente del rafano, che riportava alla mente il trauma e la liberazione di una separazione definitiva, di quelle che si trascinano in un interminabile balletto di lividi e unguenti, finché i danzatori non si rendono conto che di quella danza straniante e deliziosa ne stanno morendo.
C'era il sapore morbido dell'imbarazzo, ad incrociare gli sguardi mentre i sorrisi si facevano risate e tutto il quadro si arricchiva d'una mano che arricciava capelli lunghi e castani, mentre l'altra si stendeva sul tavolo in attesa di un tocco fintamente casuale.
C'era il sapore aspro e dolce delle more di gelso, frodate con gli amici in un campo dietro al cimitero d'un paesino di fiume, mentre la luna piena creava ombre profonde e buie: tana e rifugio di centinaia di lucciole, tornate dal paradiso per la nostra meraviglia.
C'era il sapore verde dei fili d'erba, strappati e infilati tra le labbra alla conclusione delle mattinate più intense, passate a camminare e mostrare il mondo piccolo ai piccoli del mondo, quando poi ti sdrai sul prato e senti il mondo che ti sorregge e ti culla.
C'era il sapore conviviale della pizza, annaffiata di chiacchiere infite tra sesso, religione, vizi e filosofie, e di innegabili racconti sugl'amori passati, presenti e futuri.
C'era il sapore dolce dei petali di robinia, che cascavano in mezzo al bosco come neve ancor più lieve, imbiancando i corpi sdraiati e addormentati all'ombra maculata: tra scaglie di sole, radici, formiche e coccinelle.
C'era il sapore deciso del formaggio stagionato, stemperato dal miele di castagno, a ricordare gli entusiasmi ingenui che animano il sottobosco di queste terre, desideroso di farsi sentire con voci nuove e rinnovate.
C'era il sapore dell'incertezza, quello delle scommesse volute e cercate, del baratro sotto i piedi prima di stendere le ali: dannatamente simile al sapore metallico dei baci rubati e mai più restituiti.
C'era il sapore pungente del rafano, che riportava alla mente il trauma e la liberazione di una separazione definitiva, di quelle che si trascinano in un interminabile balletto di lividi e unguenti, finché i danzatori non si rendono conto che di quella danza straniante e deliziosa ne stanno morendo.
C'era il sapore morbido dell'imbarazzo, ad incrociare gli sguardi mentre i sorrisi si facevano risate e tutto il quadro si arricchiva d'una mano che arricciava capelli lunghi e castani, mentre l'altra si stendeva sul tavolo in attesa di un tocco fintamente casuale.
C'era il sapore aspro e dolce delle more di gelso, frodate con gli amici in un campo dietro al cimitero d'un paesino di fiume, mentre la luna piena creava ombre profonde e buie: tana e rifugio di centinaia di lucciole, tornate dal paradiso per la nostra meraviglia.
C'era il sapore verde dei fili d'erba, strappati e infilati tra le labbra alla conclusione delle mattinate più intense, passate a camminare e mostrare il mondo piccolo ai piccoli del mondo, quando poi ti sdrai sul prato e senti il mondo che ti sorregge e ti culla.
C'era il sapore conviviale della pizza, annaffiata di chiacchiere infite tra sesso, religione, vizi e filosofie, e di innegabili racconti sugl'amori passati, presenti e futuri.
C'era il sapore dolce dei petali di robinia, che cascavano in mezzo al bosco come neve ancor più lieve, imbiancando i corpi sdraiati e addormentati all'ombra maculata: tra scaglie di sole, radici, formiche e coccinelle.
C'era il sapore deciso del formaggio stagionato, stemperato dal miele di castagno, a ricordare gli entusiasmi ingenui che animano il sottobosco di queste terre, desideroso di farsi sentire con voci nuove e rinnovate.
C'era il sapore dell'incertezza, quello delle scommesse volute e cercate, del baratro sotto i piedi prima di stendere le ali: dannatamente simile al sapore metallico dei baci rubati e mai più restituiti.
Nessun commento:
Posta un commento