
Il vento spazzava le fronde degli alberi come non si vedeva da tempo, e la pioggia batteva sul tetto con forza, in goccioloni freddi e insistenti. Il ragazzo restava seduto proprio vicino alla finestra, leggermente aperta, come ad invitare vento e pioggia a farsi strada in casa, a prendere una tazza di caffè. Carta e penna sullo scrittoio, un vecchio bastone e un coltello da intaglio appoggiati lì vicino, un libro spiegazzato buttato sulla coperta stropicciata ai piedi del letto. Era una mattina d’inizio settimana, e c’era tutto il tempo del mondo per svegliarsi e combinare qualcosa di buono. Ora poteva immaginare i fiumi gonfiarsi e i sentieri dei boschi trasformarsi in un tappeto di aghi, fango e foglie, o i funghi ingrossarsi per poi marcire, gli scoiattoli al riparo di qualche tronco mentre rosicchiavano le riserve di pigne, o un qualche riccio appallottolato sotto una siepe pronto per andare a stanare lombrichi e coleotteri. Poteva pensare alle trote, all’immensa loro sfortuna di non sapere che effetto facesse la pioggia sul viso, o agli aironi, che se ne volavano con quel loro incedere altezzoso e non curante delle nuvole o della pioggia. Poteva immaginarsi mentre affondava le dita nel pelo soffice di un gattino ormai cresciuto e lontano. Di lì a qualche tempo avrebbe scritto, avrebbe intagliato, avrebbe preso la tela cerata per una camminata sotto l’acqua sferzante. Per il momento, però, c’era tutto il tempo del mondo.
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